venerdì 9 luglio 2010

Il fallimento del riduzionismo in fisica e il mistero risolto della gravitazione

Il riduzionismo mostra il suo fallimento proprio nella "più fondamentale" delle scienze naturali, la Fisica. Ciò che sorprende è che nessun fisico, finora, se ne sia accorto. Il riduzionismo cartesiano, ovvero il passaggio dal complesso al semplice, si è manifestato in fisica nella ricerca del costituente ultimo della materia, mediante il passaggio al sempre più piccolo. Ma, se consideriamo i risultati di questa pratica, scopriamo che non si può scendere nel sempre più piccolo per la semplice ragione che c'è un momento in cui questa "discesa" appare rovesciarsi decisamente nel suo opposto: la risalita nel sempre più grande. E' un vero e proprio rovesciamento dialettico, realmente sotto gli occhi di tutti, ma nessuno riesce a vederlo per una forma di cecità che Marx chiamò “Judicial blindness”.

Finché si rimane nell'ambito molecolare si può anche pensare che il grande, il corpo, sia composto di parti più piccole, le molecole. Però, poi, scoprendo che le molecole sono a loro volta composte di parti ancora più piccole, gli atomi, cominciò a evidenziarsi un fatto sottovalutato (perché ritenuto una semplice questione quantitativa): la somma delle masse degli atomi di una molecola è più grande della massa della molecola stessa; in altre parole, la formazione di una molecola richiede una perdita (sia pure modesta) di energia (o massa) dei suoi atomi: è il cosiddetto "difetto di massa".

Scoprendo sperimentalmente che anche l'atomo è composto di parti più piccole, il nucleo e gli elettroni, la maggior parte dei fisici, nei primi decenni del Novecento, s'impuntarono a "vedere" soprattutto l'esistenza di un enorme spazio vuoto all'interno dell'atomo formato da un piccolissimo nucleo e da ancor più piccoli elettroni, tanto da spingere alcuni fisici idealistici a strepitare per la scomparsa della materia. Nessuno, invece, riuscì a "vedere" che stava emergendo qualcosa di più profondo dalla materia: per formare molecole e per formare atomi occorre dispendio di energia nei cosiddetti componenti. E questo dispendio cresce tanto più quanto più si scende nel piccolo: quindi è maggiore nella formazione degli atomi e minore nella formazione delle molecole.

Sottovalutando il "difetto di massa", aiutati dalla sua relativamente modesta entità, i fisici continuarono riduzionisticamente a concepire i corpi materiali composti di parti più piccole, a loro volta composti di parti ancora più piccole, fino ad arrivare prima o poi alla particella elementare ultima. Non si rendevano conto che in questa "discesa" riduzionistica dal grande al piccolo, ad ogni "tappa” cresceva l'energia perduta dai cosiddetti componenti: ossia cresceva il "difetto di massa" necessario a produrre il cosiddetto composto, e cresceva in maniera smisurata, come evidenziarono i quark.

Il "difetto di massa" dei quark è così grande che è impossibile concepirli come semplici componenti dei nucleoni (protoni e neutroni). Partendo da queste riflessioni, chi scrive si limitò a rilevare, nel suo primo volume di fisica, che nei nucleoni non si possono trovare i quark tali e quali sono originariamente. Ma per lo stesso motivo, a ragione del "difetto di massa", ossia della perdita di energia che permette la formazione degli atomi e delle molecole, non ha senso neppure dire che le molecole sono composte di atomi e gli atomi sono composti di nuclei, ecc.: nel "tutto" i singoli costituenti sono mutati, hanno perso energia (massa). E ciò comporta due conseguenze nuove e fondamentali.

La prima è oggetto di questo "paragrafo": riguarda il fallimento del metodo riduzionistico, il quale, mentre pensa di scendere nel sempre più piccolo, arriva a un punto di svolta, a partire dal quale si comincia decisamente a salire nel sempre più grande incommensurabilmente. Si potrebbe affermare, in particolare, che la pretesa ricerca del sempre più piccolo (spazialmente) conduce al suo opposto, al sempre più grande (energeticamente o massivamente). E la conferma di questa tesi è già nella "letteratura" della fisica quantistica: è un dato sul quale se ne dicono di tutti i colori, senza “vedere” che il sempre più piccolo (10-33cm), oItre a durare poco (10-44 sec), equivale all'incommensurabilmente grande: la cosiddetta massa di Planck (1019GeV). Come volevasi dimostrare.

La seconda conseguenza del "difetto di massa" o meglio del dispendio di energia nella produzione delle forme materiali: atomi, molecole, stelle, ecc. riguarda la questione della gravitazione. Chi scrive può affermare di essere rimasto vittima della "judicial blindness", riguardo alla gravitazione, per oltre due decenni, pur avendo da sempre respinto l'esistenza di una "forza" gravitazionale. La cosiddetta "forza" è solo un nome improprio dato al concetto di "attrazione", opposto polare del concetto di "repulsione" (energia). I fisici hanno sempre creduto di dover scomodare qualcosa di esterno ai corpi, chiamandola forza, per giustificare un'attrazione come quella che si manifesta nei cosiddetti legami tra particelle o come quella che si manifesta tra i gravi.

Sebbene sia Hegel che Engels avessero stabilito come principio dialettico, in generale, che la repulsione è originaria e l'attrazione è derivata, né loro né altri, in seguito, hanno ritenuto che l'attrazione non fosse altro che una conseguenza della perdita di repulsione. Ad esempio, che cosa può tenere uniti gli atomi nella molecola, se non quella perdita di energia che ha modificato i primi costringendoli a costituire la molecola stessa? Insomma, la cosiddetta forza di attrazione altro non è che la conseguenza di una perdita di repulsione (energia). A questa conclusione chi scrive era già arrivato nel suo primo volume di fisica, ma non fino al punto di vedere la conseguenza della perdita di repulsione (energia) in relazione alla gravitazione.

Insomma, è la perdita di energia delle particelle che finiscono col formare un grave, una stella, o una galassia, ecc. che rappresenta l'essenza stessa della attrazione dei gravi, della gravitazione. E l'esempio che illustra meglio questa ipotesi è il grave chiamato erroneamente "buco nero", ossia un corpo cosmico che il collasso gravitazionale estremo ha prodotto, facendogli perdere il massimo di energia attiva (radiante), e facendogli acquistare il massimo della densità della materia e, di conseguenza, il massimo dell'attrazione gravitazionale.

In conclusione, non solo la gravitazione non è una forza, ovvero un qualcosa di esterno al grave, ma è la sua stessa essenza naturale: questa attrazione intrinseca al grave esiste proprio perché le parti che in passato lo hanno formato hanno perso una determinata, specifica quantità di energia repulsiva originaria. Questa perdita, da tempo riconosciuta come energia potenziale gravitazionale, altro non è che l'essenza stessa della gravitazione.

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