martedì 12 luglio 2011

Il "noumeno" e la "cosa in sé" di Kant

I filosofi di professione, gli accademici, come Abbagnano, semplificano molto il pensiero di Kant quando identificano il "noumeno" con la "cosa in sé"; in questo modo esprimendo, implicitamente, la seguente critica alla filosofia trascendentale: concepire la "cosa in sè" come esistente ma inconoscibile è qualcosa di puramente pensato, quindi può essere soltanto un concetto astratto dell'intelletto; quindi, la "cosa in sé" è per noi vuota, e non possiamo neppure dire se essa esista in noi o fuori di noi. Insomma, la "cosa in sé" è proprio come il "noumeno".

Allora, per quale ragione Kant ha concepito il "noumeno"? Non era sufficiente il concetto di "cosa in sé" inconoscibile e, quindi, vuota per noi? Sembra quasi che egli non si sia fidato di chiudere semplicemente a chiave la "cosa in sé" per nasconderla agli occhi della conoscenza; perciò ha ritenuto più sicuro circondare il mondo della "cosa in sè" con uno spazio vuoto nel quale l'intuizione sensibile, nel tentativo di raggiungerla, non potesse fare altro che precipitare: questo è il "noumeno".

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Nota tratta da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
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