lunedì 5 dicembre 2011

I] Kant: la cosa in sé inconoscibile e il caso inesistente

L'incolmabile separazione tra la sfera dell'intelletto puro e la sfera della esperienza sensibile

Nella prefazione alla seconda edizione della "Critica della ragion pura", Kant espone il suo programma per una teoria della conoscenza soggettivistica: "Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi, condotti a partire da questo presupposto, di stabilire, tramite concetti, qualcosa a priori intorno agli oggetti, onde allargare in tal modo la nostra conoscenza, sono andati a vuoto. E' venuto il momento di tentare una buona volta, anche nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall'ipotesi che siano gli oggetti a doversi regolare sulla nostra conoscenza; ciò si accorda meglio con l'auspicata possibilità di una conoscenza a priori degli oggetti, che affermi qualcosa nei loro riguardi prima che ci siano dati".

Vedremo in seguito che se kant può "immaginare benissimo" la possibilità della conoscenza a priori è solo perché distingue tra l'oggetto in se stesso, che chiama cosa in sé e considera inconoscibile, e l'oggetto sensibile, che chiama fenomeno e considera il reale oggetto dell'esperienza; ed è quest'ultimo che si può e si deve regolare sulla nostra conoscenza, in quanto dipendente dal soggetto stesso del quale esso costituisce l'esperienza.

Ma l'idea fondamentale kantiana della inconoscibilità della cosa in sé può essere considerata anche da un punto di vista nuovo. Per il pensiero dialettico, la vera inconoscibilità riguarda, secondo la tesi principale del presente studio, la singola cosa di un complesso. Il riduzionismo deterministico, invece, ha sempre posto come vero oggetto della conoscenza la singola cosa, considerandola il semplice a cui deve essere ridotto il complesso.

Ora, poiché questa era l'impostazione ancora dominante del suo tempo, l'affermazione: "Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti", rappresentava di fatto una dichiarazione di sfiducia nei confronti del riduzionismo cartesiano. Quindi l'idea della inconoscibilità della cosa in sé può essere considerata come negazione del metodo riduzionistico. Perciò, affermando l'inconoscibilità della cosa in sé, Kant si è opposto, anche se inconsapevolmente, alla conoscibilità della cosa singola.

Insomma, se per vera conoscenza s'intendeva  la determinazione dei singoli oggetti o eventi di un complesso, secondo la pretesa del determinismo riduzionistico, inaugurata da Cartesio, allora Kant aveva ragione di affermare l'inconoscibilità della cosa in sé. Ma egli ha negato quella impostazione non perché fosse consapevole del reale motivo della inconoscibilità: ossia della casualità relativa alla singola cosa in sé; lo ha fatto soltanto perché quell'impostazione non funzionava. Kant ha pensato: se l'esperienza non permette di conoscere la cosa in sé oggettiva, la conoscenza non può regolarsi sugli oggetti. Se quella non era la via giusta, allora doveva essere giusta la via opposta: ossia che gli oggetti si regolassero sui concetti. Il soggettivismo kantiano fu quindi una giustificabile reazione al fallimento del riduzionismo deterministico, ma rivolta nella direzione sbagliata. E' ciò che dimostreremo.

Nella prefazione alla "Critica della ragion pura" sembra che l'autore inizi, come tutti, dall'esperienza: "Non c'è dubbio che ogni nostra conoscenza incomincia con l'esperienza", ma poi afferma: "da ciò non segue che derivi interamente dall'esperienza". Si tratta perciò, per lui, di vedere se esiste una conoscenza "indipendente dall'esperienza e anche da ogni impressione sensibile. Conoscenze siffatte sono tutte a priori, e sono distinte dalle empiriche, che hanno la loro sorgente a posteriori, ossia nella esperienza".

Kant parte dunque dalla distinzione metafisica tra la conoscenza a priori e la conoscenza a posteriori, che pone in due sfere del tutto separate e opposte. Dopo aver introdotto questa dicotomia nella teoria della conoscenza, sorge però il problema di collegare i concetti a priori dell'intelletto con i concetti a posteriori dell'esperienza sensibile. Nella "Analitica trascendentale" scrive a questo proposito: "Nel fatto che le leggi dei fenomeni della natura debbano accordarsi con l'intelletto e la sua forma a priori, ossia con la sua facoltà di congiungere il molteplice in generale, non c'è nulla di più strano di quanto ci sia nel fatto che i fenomeni stessi debbano accordarsi con la forma a priori della intuizione sensibile".

Insomma, non c'è nulla di strano nel fatto che due cose tanto diverse tra loro come l'aposteriori e l'apriori debbano accordarsi. E invece non solo è strano ma anche impossibile che queste due sfere si accordino necessariamente. Anche ammettendo, per assurdo, che si possa avere un concetto a priori di una cosa reale mai vista prima, dove trovare il termine medio che colleghi necessariamente quel concetto con l'esperienza di quella cosa?

Scrive Kant: "In realtà, le leggi non esistono nei fenomeni, ma solo relativamente al soggetto a cui i fenomeni ineriscono, in quanto possiede un intelletto; allo stesso modo [...] i fenomeni non esistono in sé, ma soltanto relativamente al medesimo essere, in quanto ha i sensi". Insomma, è solo grazie alla nostra sensibilità che esistono i fenomeni ed è solo grazie al nostro intelletto che esistono le leggi. "Ma i fenomeni non sono che rappresentazioni di cose, le quali restano sconosciute rispetto a ciò che possono essere in sé".

Se i fenomeni sono rappresentazioni delle cose in sé inconoscibili, è come se fossero niente; e se sono qualcosa, è solo perché noi li sperimentiamo. Sembra una situazione senza via d'uscita. A questo punto, Kant osserva: "Non essendo che semplici rappresentazioni [NB di cose in sé inconoscibili], i fenomeni non obbediscono ad altre leggi di connessione all'infuori di quelle prescritte dalla facoltà di connettere". Ma che cosa può connettere il pensiero umano in simili circostanze? Chi collega i fenomeni della sensibilità alle leggi dell'intelletto?

Kant è costretto ad affermare: "Ma nemmeno la facoltà pura dell'intelletto è in grado di imporre, mediante categorie, leggi a priori". Infatti, come potremmo trovare connessioni su determinati fenomeni a priori, prima di averli sperimentati? Ma, paradossalmente, conclude: "Le leggi particolari, riguardando fenomeni empiricamente determinati, non possono essere totalmente (sic!) ricavate dalle categorie, pur sottostando ad esse in ogni caso (sic!)". Insomma, egli ha preteso che l'intelletto puro non contaminasse i suoi concetti con l'esperienza, ma nello stesso tempo ha preteso che fosse l'intelletto puro a dettar legge, nonostante non potesse dire niente sui fenomeni che sono gli oggetti della sensibilità, dell'esperienza.

Il filosofo di Konigsberg ha posto la teoria della conoscenza in una situazione insostenibile: da un lato, la conoscenza a priori che dipende dall'intelletto puro, dall'altro i fenomeni della sensibilità; e, nonostante non si veda alcun termine medio che connetta due sfere così opposte, egli ha preteso che la seconda sfera, quella della sensibilità, dei fenomeni, dovesse sottostare alla prima sfera, quella dei concetti a priori dell'intelletto puro, che non deve assolutamente contaminarsi con la seconda sfera. E poi tra queste due sfere ha posto le "leggi particolari" che non si sa proprio da dove possano saltar fuori.

Secondo Kant: "Non c'è possibile pensare alcun oggetto se non per mezzo di categorie, e non c'è possibile conoscere un oggetto se non per mezzo di intuizioni corrispondenti a quei concetti". Poiché si tratta di oggetti dell'esperienza, gli unici accessibili alla conoscenza, egli ha sostenuto che non è possibile pensare alcun fenomeno se non per mezzo di categorie, le quali, però, non appartengono alla sfera dei fenomeni. Allora come procedere? Il compimento di una simile impresa è stato la fatica di Sisifo di questo grande studioso che, se ha fatto compiere progressi alla cosmologia, come filosofo della scienza ha posto la scienza stessa in una situazione impossibile.

Com'è possibile, infatti, conoscere un fenomeno della natura, se il soggetto della conoscenza è scisso in due sfere tra loro incomunicabili: il suo intelletto puro e la sua sensibilità (il primo che non deve contaminarsi con il fenomeno, e la seconda che è a tal punto compenetrata nel fenomeno, che questo esiste solo in essa e solo in quanto essa esiste)? Come vedremo, Kant non riuscirà nel suo intento, costretto a procedere mediante la scissione di tutti i concetti, categorie, giudizi della logica, ossessionato da una duplice e opposta esigenza: quella di tracciare un confine tra la sfera dell'intelletto puro e la sfera dell'esperienza sensibile, e quella di accordare l'una sfera all'altra per poter garantire la conoscenza delle leggi particolari dei fenomeni. (Continua)

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza " (1993-2002) Inedito

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