lunedì 10 ottobre 2011

Stranezze della matematica-fisica giustificate da analogie con il senso comune

La fisica quantistica e la fisica relativistica, pur nella loro sostanziale differenza, hanno in comune un segno distintivo che il Nipote di Rameau di Diderot avrebbe chiamato "idiotismo di mestiere": e cioè l'oggetto delle loro indagini deve essere perlomeno strano e bizzarro, se non straordinario. Di conseguenza, il modello matematico, con il quale assicurano di fornire l'unica descrizione e spiegazione possibili, deve essere insolito e incredibile. Ma, nonostante ciò, esse si appellano costantemente al senso comune per giustificare e rendere comprensibile il loro modello. Per questa ragione, fanno un uso continuo e ostinato del metodo dell'analogia. E, se riescono a trovare una analogia tra il loro modello e il modo di pensare comune, credono in tal modo di averlo reso plausibile.

Soprattutto Einstein ha utilizzato il metodo induttivo come punto di partenza di ogni sua elaborazione e il metodo dell'analogia con il senso comune come spiegazione dei suoi modelli matematici. Egli non ha mai preso in considerazione i risultati della filosofia del passato (Leibniz, Spinoza, Hume, Kant, Hegel), per la quale il senso comune fondato sulla induzione è sempre stato considerato soggetto all'apparenza fallace.

I fisici teorici non hanno mai voluto togliere fiducia al senso comune fondato sull'induzione, quindi non hanno mai capito che qualsiasi modello strano, anche se può apparire più sensato con una analogia intuitiva, non ci guadagna granché, perché, oltre a rimanere strano, finisce col condividere con l'induzione la mancanza di certezza. Potremmo, perciò, dire che essi, appartengano alla fisica delle particelle o alla fisica cosmologica, sono accomunati da questa forma di "idiotismo di mestiere", confermando che essere talenti o geni della matematica non significa essere profondi pensatori. Per questa ragione è spesso penoso leggere le loro pubblicazioni: perché, oltre a doversi sorbire le stranezze dei loro modelli, occorre sorbirsi anche il contorno delle pietose analogie, ad uso e consumo del pensiero comune. 

In questo modo, comunque, si rivela la loro logica matematica, la quale può ben immaginare di concepire qualsiasi stranezza, ma non sa riflettere in altro modo che con le banalità del senso comune, immaginando forse di dover convincere non pensatori profondi, ma gente comune: non studiosi, ma bottegai e artigiani. Così, invece di affermare: "noi utilizziamo questa matematica, partendo da questi assiomi, e sviluppiamo queste equazioni per utilizzarle in questo o quel modo", essi affermano: "ipotizziamo che il nostro oggetto d'indagine abbia queste caratteristiche strane, ad esempio che l'universo abbia quattro o più dimensioni, ed ecco il modello che abbiamo escogitato per comprendere questa stranezza... della natura".

Dopo di che si arrampicano sugli specchi per cercare di mitigare le loro stavaganze, appellandosi al modo di pensare dei bottegai e degli artigiani. Ad esempio, per giustificare la relatività generale di Einstein, per renderla comprensibile a qualcun altro che non fosse il solito Eddington, i fisici relativistici hanno concepito l'analogia tra l'universo e un'amalgama di spazio-tempo, incurvato dalla gravitazione. Ma chi volevano persuadere con questa analogia: gli orefici o i capomastri?

C'è comunque chi giustifica questo modus operandi con argomenti che vale la pena di considerare, anche perché forniscono, involontariamente, una prova negativa del primato della matematica pura in fisica. Alludiamo a Peter Atkins ("Il dito di Galileo" 2004), che parte da una tesi interessante: l'Ottocento è stato l'epoca dei congegni (dei meccanismi), mentre oggi ci troviamo nell'epoca delle astrazioni (della matematica pura): "Gli scienziati del XXI secolo credono che la struttura profonda dell'universo possa essere espressa solo in termini matematici, e che ogni tentativo di correlare la matematica a modelli visualizzabili sia irto di pericoli. Oggi l'astrazione fa tendenza, è il paradigma dominante della conoscenza. Qualunque teoria finale, se ne esiste una, sarà, probabilmente, una descrizione puramente astratta della struttura fondamentale del mondo, una descrizione che potremmo possedere ma, forse, non capire".

Con tutta evidenza l'autore, qui, mette le mani avanti per eventuali teorie incomprensibili; ma, per indorare la pillola, pone tutte le teorie matematiche astratte nella medesima condizione: sebbene fondamentalmente incomprensibili, troveranno sempre divulgatori paraninfi che, per renderle appetibili, faranno ampio uso di analogie con il senso comune.

Per giustificare questa tendenza egli fornisce la seguente motivazione: poiché gli esseri umani tentano sempre di interpretare la matematica, "soprattutto quella usata a sostegno della fisica, in modo "casereccio"", allora succede che "per visualizzare lo spin dell'elettrone immaginiamo un elettrone che ruota come una palla; ma, sullo sfondo, sappiamo che lo "spin" è in realtà una entità straordinariamente astratta, le cui caratteristiche non sono compiutamente afferrabili da questa raffigurazione classica, alcuni aspetti della quale, inoltre, possono essere fuorvianti. La teoria delle stringhe è un altro esempio in cui "facciamo finta" di poter cogliere il concetto matematico di stringa multidimensionale come se parlassimo di una vera stringa oscillante a tre dimensioni".

Dopo questi paragoni con i quali Atkins giustifica il metodo dell'utile finzione, ecco come immagina che la teoria finale, una volta raggiunta, possa essere propagata: "Anche se la teoria finale potrà essere altamente astratta, non c'è dubbio che essa conterrà immagini ordinarie, suggestive e poco accurate del suo contenuto, e che ci sarà un futuro infinito per gli autori di divulgazione scientifica che troveranno modi nuovi e attraenti per rendere digeribili le future teorie finali". Insomma, c'è proprio da stare allegri per il futuro della fisica teorica, la quale ci sta preparando una soluzione finale irrealistica, presentata in molteplici fogge (intuitive per il senso comune): quelle che i divulgatori inventeranno.

Ma non è finita qui. Atkins insiste: "Per darvi un'idea di quello che ho in mente, posso fare ricorso al tentativo fallito ma bello (sic!), del grande John Wheler, il quale mezzo secolo fa si domandava se la roba con cui è fatta la realtà ultima non sia un agglomerato di enunciati della logica predicativa". E ancora: "Nessuno ha la minima idea di quale forma assumerà questa teoria definitiva, anche se possiamo coglierne vaghi indizi nella teoria delle stringhe, in speculazioni alla Wheeler e in teorizzazione di fantasia come quelle cui ho fatto cenno alla fine del capitolo 10".

Il "cenno" riguardava l'idea platonica-pitagorica della matematica come essenza del mondo: "Quando la matematica si confronta col mondo fisico, si riflette in uno specchio. I nostri cervelli e la matematica che questi secernono (sic!) hanno esattamente la stessa struttura logica dell'universo fisico, la struttura dello spazio-tempo e delle entità che vi dimorano". Perciò non ci dobbiamo meravigliare "che la matematica prodotta dal cervello sia il linguaggio perfetto per descrivere il mondo fisico".

Dopo essersi sbilanciato a favore della matematica pura, Atkins sembra ripensarci e fare un passo indietro: "Tutto questo è, probabilmente, un non senso". Ma il passo indietro gli serve solo a prendere la rincorsa per il balzo successivo: "Ma facciamo finta (!) che non lo sia. Una implicazione sarebbe che la matematica è la struttura profonda del mondo: l'universo con tutto quello che c'è dentro è matematica, nient'altro che matematica, e la realtà è una impressionante manifestazione della matematica (sic!!!). Questo è platonismo estremo, ultra-neoplatonismo, che altrove ho definito "strutturalismo profondo". Se cose tangibili -terra, aria, fuoco e acqua- non sono altro che aritmetica. Se davvero è così, allora il teorema di Godel si applica, in qualche modo, all'universo intero, e, noi non potremo sapere mai se l'universo è davvero autocoerente (!?)".

Dopo questa dichiarazione di totale sottomissione all'idealismo matematico (pitagorico e platonico) e alla conseguente irrealtà della fisica teorica, Atkins conclude compiaciuto: "Tutto quello di cui noi possiamo essere certi è che, quando arriverà la rivelazione finale, resteremo a bocca aperta scoprendo tutta l'ingenuità delle nostre precedenti convinzioni". Al contrario, è proprio non arrivando a una reale teoria finale che si manifesterà l'ingenuità di una generazione di fisici teorici, la quale, da oltre un trentennio, ha preteso vedere la teoria finale della loro scienza, non considerando che solo da pochi secoli la specie umana ha preso a studiare la fisica della materia, avendo alle sue spalle qualche decine di secoli di civiltà e davanti a sé parecchie migliaia di secoli per progredire (così si spera).

In conclusione, "tutto quello di cui possiamo essere certi" è che la specie umana è scientificamente ancora troppo giovane per illudersi di trovare qualche teoria finale. Ma possiamo avere anche la ragionevole fiducia che essa, per esprimere il massimo delle sue capacità scientifiche, dovrà realizzare molteplici teorie, specifiche per ogni campo di ricerca, teorie diverse (a ragione dei diversi livelli e dei diversi processi della materia da indagare), il cui fondamento unificante sarà  la dialettica di caso e necessità.

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Scritto nel 2009
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