Tratto da"Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)
Nell'editoriale di Limes (4.2005, "Cindia La sfida del secolo"), si può leggere: "Dopo quattro anni di una "guerra al terrorismo" di dubbia efficacia, gli strateghi di Washington tornano a concentrarsi sulla partita del secolo. Inforcando gli occhiali del determinismo geopolitico, i think tank paragovernativi vedono nella Cina di oggi -e a maggior ragione nel fantasma di Cindia, o peggio, nel "triangolo strategico" Pechino-Delhi-Mosca evocato dai Russi- l'Unione sovietica di ieri. Come nella guerra fredda si trattava di tagliare le unghie all'orso sovietico, così per i prossimi decenni l'imperativo è stroncare le velleità di Pechino".
Il paragone tra l'Unione sovietica di ieri e la Cina di oggi non ha alcun senso, perché significherebbe attribuire a Pechino il ruolo assunto da Mosca nella guerra fredda, che fu quello di indebolire, con la sua arretratezza, il principale mercato di ieri: il mercato europeo; ma nella attuale globalizzazione Pechino, con il suo sviluppo, rafforza il principale mercato di oggi, quello asiatico. Inoltre non c'è paragone tra la passata arretratezza sovietica e l'attuale sviluppo cinese.
Limes cita una recente affermazione di un esponente di punta della amministrazione Bush: "Lo scenario peggiore per gli Stati Uniti è una Asia da cui siamo esclusi ... Negli ultimi cento anni abbiamo cercato di restare impegnati dappertutto e di impedire a qualsiasi altra potenza industriale di dominare una determinata regione". Se questo è vero (fu, infatti, il ruolo di Mosca, nel periodo della guerra fredda, a impedire a Bonn di dominare la regione europea), la Cina di oggi dovrebbe, semmai, essere paragonata alla Germania di ieri. Così, per impedire a Pechino di dominare la regione asiatica, occorrerebbe attribuire a un'altra potenza il vecchio ruolo dell'Unione sovietica. Ma quella strategia è acqua passata che non macina più.
Nell'editoriale di Limes (4.2005, "Cindia La sfida del secolo"), si può leggere: "Dopo quattro anni di una "guerra al terrorismo" di dubbia efficacia, gli strateghi di Washington tornano a concentrarsi sulla partita del secolo. Inforcando gli occhiali del determinismo geopolitico, i think tank paragovernativi vedono nella Cina di oggi -e a maggior ragione nel fantasma di Cindia, o peggio, nel "triangolo strategico" Pechino-Delhi-Mosca evocato dai Russi- l'Unione sovietica di ieri. Come nella guerra fredda si trattava di tagliare le unghie all'orso sovietico, così per i prossimi decenni l'imperativo è stroncare le velleità di Pechino".
Il paragone tra l'Unione sovietica di ieri e la Cina di oggi non ha alcun senso, perché significherebbe attribuire a Pechino il ruolo assunto da Mosca nella guerra fredda, che fu quello di indebolire, con la sua arretratezza, il principale mercato di ieri: il mercato europeo; ma nella attuale globalizzazione Pechino, con il suo sviluppo, rafforza il principale mercato di oggi, quello asiatico. Inoltre non c'è paragone tra la passata arretratezza sovietica e l'attuale sviluppo cinese.
Limes cita una recente affermazione di un esponente di punta della amministrazione Bush: "Lo scenario peggiore per gli Stati Uniti è una Asia da cui siamo esclusi ... Negli ultimi cento anni abbiamo cercato di restare impegnati dappertutto e di impedire a qualsiasi altra potenza industriale di dominare una determinata regione". Se questo è vero (fu, infatti, il ruolo di Mosca, nel periodo della guerra fredda, a impedire a Bonn di dominare la regione europea), la Cina di oggi dovrebbe, semmai, essere paragonata alla Germania di ieri. Così, per impedire a Pechino di dominare la regione asiatica, occorrerebbe attribuire a un'altra potenza il vecchio ruolo dell'Unione sovietica. Ma quella strategia è acqua passata che non macina più.
Il passo che segue ha senso solo se lo correggiamo con opportune precisazioni tra parentesi: "Ma se lo scontro [solo apparente] con l'URSS verteva sulla dimensione ideologico-militare [che fingeva una parità USA-URSS inesistente], con la Cina ci si misura [realmente] anzitutto sul fronte economico [che la Cina sta dominando]. Alle chiacchiere sul Free trade si sovrappone negli Stati Uniti (e in Europa) una prassi spesso violentemente protezionistica. Il liberismo si riduce al tentativo di aprire i mercati altrui serrando il proprio. Torna di moda l'ideologia delle guerre commerciali...".
Ma se il trucco del Free trade, accompagnato dal nuovo protezionismo, funziona con gli altri PVS, e soprattutto con quelli più poveri, non funziona affatto con la Cina: Pechino esporta quanto e dove vuole, soprattutto in America e in Europa, e nel contempo tiene chiuso il suo mercato interno senza l'ausilio dei dazi doganali, ma soltanto grazie al basso costo delle proprie merci. Ad esempio, chi può pretendere di esportare in massa le automobili sul mercato cinese, quando i cinesi le producono in casa proprio a costi così inferiori?
Dal punto di vista strategico, per non mettere a repentaglio la propria egemonia mondiale, Waghington, per contenere Pechino, dovrebbe impedire qualsiasi alleanza tra Cina, India e Russia. Ma come può farlo, e con quali costi e risultati? Ad esempio, per rendere l'India in grado di competere economicamente con la Cina così da frenarne lo sviluppo, l'America si vede costretta a dare una mano, sia pure modesta, allo sviluppo indiano. Ma ciò può favorire l'ipotesi di "Cindia", termine, non a caso, coniato da alcuni intellettuali indiani.
Un'India rafforzata nel suo sviluppo diverrebbe il secondo gallo nel pollaio asiatico, ma potrebbe adottare una strategia opportunista, come fu quella dell'URSS di Stalin nella seconda guerra mondiale: allearsi con il miglior offerente, che oggi è, senza alcun dubbio, la Cina. Del resto i cinesi giocano nelle relazioni internazionali una carta vincente: il primo ministro Wen Jiabao, in visita a Delhi ha, infatti, affermato che la cooperazione tra Russia, India e Cina potrà contribuire a democratizzare le relazioni internazionali", cioè a superare l'unilateralismo USA per costruire un mondo multipolare.
Alle parole, intanto, seguono i fatti: nell'Agosto 2005 ci sono state le prime manovre aeronavali congiunte di Cina e Russia, e già si discute di coinvolgere anche l'India, con gran dispiacere di Washington. Insomma, la minacciosa pretesa di Bush, "o con noi o contro di noi", di imporre al mondo una egemonia unilaterale di lungo periodo, sembra aver prodotto l'effetto contrario.
E così, nonostante la Cina costituisca il principale problema strategico per l'egemonia USA, l'America non può evitare la convenienza di vestire i suoi cittadini con i prodotti dell'abbigliamento cinesi a basso costo, con conseguentemente contenimento dell'inflazione nonostante la forte svalutazione del dollaro resa necessaria per rendere meno gravoso il proprio debito internazionale; non può evitare di riempire i forzieri di Pechino con i dollari USA, e deve accettare d'indebitarsi con la Cina riempiendola di buoni del Tesoro americani. Per non parlare del contributo dato dalle grandi corporations statunitensi allo sviluppo industriale delle regioni più sviluppate della Cina.
Ma se il trucco del Free trade, accompagnato dal nuovo protezionismo, funziona con gli altri PVS, e soprattutto con quelli più poveri, non funziona affatto con la Cina: Pechino esporta quanto e dove vuole, soprattutto in America e in Europa, e nel contempo tiene chiuso il suo mercato interno senza l'ausilio dei dazi doganali, ma soltanto grazie al basso costo delle proprie merci. Ad esempio, chi può pretendere di esportare in massa le automobili sul mercato cinese, quando i cinesi le producono in casa proprio a costi così inferiori?
Dal punto di vista strategico, per non mettere a repentaglio la propria egemonia mondiale, Waghington, per contenere Pechino, dovrebbe impedire qualsiasi alleanza tra Cina, India e Russia. Ma come può farlo, e con quali costi e risultati? Ad esempio, per rendere l'India in grado di competere economicamente con la Cina così da frenarne lo sviluppo, l'America si vede costretta a dare una mano, sia pure modesta, allo sviluppo indiano. Ma ciò può favorire l'ipotesi di "Cindia", termine, non a caso, coniato da alcuni intellettuali indiani.
Un'India rafforzata nel suo sviluppo diverrebbe il secondo gallo nel pollaio asiatico, ma potrebbe adottare una strategia opportunista, come fu quella dell'URSS di Stalin nella seconda guerra mondiale: allearsi con il miglior offerente, che oggi è, senza alcun dubbio, la Cina. Del resto i cinesi giocano nelle relazioni internazionali una carta vincente: il primo ministro Wen Jiabao, in visita a Delhi ha, infatti, affermato che la cooperazione tra Russia, India e Cina potrà contribuire a democratizzare le relazioni internazionali", cioè a superare l'unilateralismo USA per costruire un mondo multipolare.
Alle parole, intanto, seguono i fatti: nell'Agosto 2005 ci sono state le prime manovre aeronavali congiunte di Cina e Russia, e già si discute di coinvolgere anche l'India, con gran dispiacere di Washington. Insomma, la minacciosa pretesa di Bush, "o con noi o contro di noi", di imporre al mondo una egemonia unilaterale di lungo periodo, sembra aver prodotto l'effetto contrario.
E così, nonostante la Cina costituisca il principale problema strategico per l'egemonia USA, l'America non può evitare la convenienza di vestire i suoi cittadini con i prodotti dell'abbigliamento cinesi a basso costo, con conseguentemente contenimento dell'inflazione nonostante la forte svalutazione del dollaro resa necessaria per rendere meno gravoso il proprio debito internazionale; non può evitare di riempire i forzieri di Pechino con i dollari USA, e deve accettare d'indebitarsi con la Cina riempiendola di buoni del Tesoro americani. Per non parlare del contributo dato dalle grandi corporations statunitensi allo sviluppo industriale delle regioni più sviluppate della Cina.