venerdì 21 ottobre 2011

L'etica postmoderna e la malìa della postmodernità di Bauman

In "Una teoria sociologica della postmodernità" (1991), Bauman scrive: "La problematica etica specificamente postmoderna sorge principalmente da due caratteristiche fondamentali della condizione postmoderna: il pluralismo dell'autorità e la centralità della scelta nell'autocostituirsi degli agenti [i singoli individui che agiscono] postmoderni". "Il pluralismo dell'autorità, o piuttosto l'assenza di un'autorità con ambizioni globalizzanti, ha un duplice effetto. Innanzi tutto, esso esclude l'imposizione di norme costrittive alle quali ogni agenzia [il luogo dell'azione] debba obbedire".

Allora sorge "il problema delle regole". Ma, non si sa bene perché, le regole dovrebbero essere negoziate e il "negoziato di regole" dovrebbe assumere "un significato specificamente etico". Ancora, non si sa bene perché, il pluralismo delle autorità dovrebbe favorire "la riassunzione della responsabilità morale". L'unico perché addotto da Bauman è che gli scopi non possono essere dimostrati mediante il "monologo", ragion per cui dovrebbero essere soggetti a un "dialogo" e dovrebbero avere "un'autorità del tipo che appartiene unicamente ai valori etici".

Come abbiamo già dimostrato in altro luogo, la scelta è qualcosa di troppo soggettivo e arbitrario per poter costituire da fondamento per l'azione umana guidata da scopi. La scelta, in quanto individuale, è soggetta al caso delle preferenze dei singoli individui. Dunque, se questa è la condizione fondamentale "postmoderna", allora la "postmodernità" si risolve in anarchia. Ma non è finita: se alla scelta, come preferenza individuale, si pretende associare il valore etico, si crea semplicemente una contraddizione per l'esistenza individuale, nella forma di esigenza "etico-dialogica".

A chi sceglie, mentre crede di prendere decisioni, guidato da pluralistiche preferenze e interessi individuali, si pretende imporre il dialogo per motivi puramente etici, o meglio per un'astratta etica che impone di tener conto anche delle scelte preferite dagli altri, perché come scrive Bauman: "Nella condizione postmoderna, l'agente è necessariamente non soltanto un individuo che agisce e prende decisioni, ma è un soggetto morale".

Il sociologo pretende insegnare all'individuo egoistico che quando sceglie è un soggetto morale! Poiché, però, la scelta in sé segue solo le preferenze individuali, il sociologo è costretto a insegnare anche questo: "L'adempimento di funzioni vitali richiede quindi che l'agente sia un soggetto moralmente competente (sic!)". Dobbiamo ridere? Non sarà il sociologo questo soggetto moralmente competente che pretende insegnare il pluralismo etico in una società dove domina il pluralismo anarchico degli egoismi individuali?

La conclusione che segue rivela la "postmoderna" ambizione del sociologo Bauman: assoggettare gli individui a una nuova dittatura, quella dell'ermeneutica fondata sull'etica "postmoderna": "La sostituzione dell'ambizione ad essere giudici di "convinzioni comuni", guaritore di pregiudizi ed arbitro della verità con quella di chiarire norme interpretative e facilitare la comunicazione: ciò equivarrà alla sostituzione del regno del legislatore con la pratica di un interprete". Ma questo è ciò che avviene da tempo nella pratica giuridica, producendo un arbitrio e un'anarchia che non si erano mai visti prima.

L'ermeneutica non può risolvere l'anarchia del pluralismo; al massimo può relativizzarla tentando di far convivere assieme cose tra loro contradditorie e opposte come, ad esempio, la libertà con il caso, la gioia con l'incertezza, il disfattismo con un modo di vivere più ammaliante, ecc.

In un saggio del 1992, "Il reincantamento del mondo...", Bauman, prima, tenta di definire la "postmodernità" con un lungo brano confuso e farraginoso, poi crede di aver trovato la soluzione. Ma solo le ultime sei righe del brano svelano l'arcano della "postmodernità", ovviamente contro le intenzioni del suo autore. Che cosa significa la "postmodernità? "Significa un centro commerciale (shopping mall) che straripa di merci la cui utilità più importante è la gioia (!) di acquistarle, ed un'esistenza che somiglia a una prigione (!) che dura tutta la vita nel centro commerciale. Significa la libertà esilarante (!) di essere alla ricerca di qualsiasi cosa e l'incertezza frastornante (!) che induce a chiedersi: cos'è che valga la pena di cercare e in nome di che cosa si dovrebbe cercare".

Che cosa c'è di più gradevole della "libertà esilarante" e di più spiacevole della "incertezza frastornante"? Eppure, secondo Bauman, entrambe possono convivere senza contraddizioni. Il fatto è che ciò che questo passo rivela è la schiavitù dello shopping realizzata nell'epoca della "postmodernità". E se non c'è nulla da cercare, e nessun motivo per il quale valga la pena di cercare, è solo perché lo scopo vitale sembra già realizzato nel "comunismo dello shopping", unica garanzia della sopravvivenza della società capitalistica. Tutto il resto non conta, tanto meno le singole individualità.

Ma Bauman, a questo punto, vicino alla sua soluzione, non riesce a dire altro che insensatezze. Dapprima presenta la "postmodernità" come "forse più di qualsiasi altra cosa, uno stato d'animo": stato d'animo "di filosofi, pensatori sociali, artisti, di tutti quegli individui sui quali noi facciamo affidamento quando ci troviamo in uno stato d'animo pensoso (!), o quando semplicemente ci fermiamo un momento per scoprire da dove ci muoviamo o siamo mossi". Poi, concepisce questo "stato d'animo" come "distruttivo, quanto mai irriverente, caustico, disfattista". Questo stato d'animo "si batte decisamente per una vita senza verità, modelli e ideali"! "L'animo postmoderno sembra condannare ogni cosa e non propone nulla. La demolizione è l'unica occupazione per la quale l'animo postmoderno sembra adatto. La distruzione è l'unica costruzione che conosce".

Insomma, la "postmodernità", nella versione di Bauman, è uno stato d'animo nichilista. Allora qual è la conclusione, la soluzione? Innanzi tutto, occorre stabilire che questo nichilismo, che tutto cancella, distrugge e annulla, un compito pratico-economico lo svolge: tiene sgombra la strada da ogni aspirazione che non sia la malìa dello shopping creata dal marketing: "Tutto sommato -scrive Bauman- la postmodernità può essere considerata come quella che restituisce al mondo ciò che la modernità, presuntuosamente, le aveva tolto; come un re-incantamento del mondo che la modernità cercò strenuamente di dis-incantare".

Contro la "presunzione" della scienza di togliere al mondo ogni forma di magìa, Bauman rivaluta l'incantamento del mondo prodotto dai maghi del marketing, che si manifesta come incantamento delle masse di shopper negli shopping mall. Evidentemente non sapeva che la scienza del Novecento non ha coltivato la "presunzione" di disincantare il mondo, come dimostra, per fare solo un esempio, la teoria M a 11 dimensioni.

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Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)

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