Tra le numerose varietà di pluralismo democratico, va annoverato il pluralismo anarchico di Feyerabend, che rappresenta la protesta libertaria contro l'autoritaria logica formale. Feyerabend si dichiara "Contro il metodo"* e, sebbene abbia in mente soprattutto il neopositivismo e il neoempirismo logico, di fatto egli è contro ogni metodo scientifico, e dimostra questa sua opposizione anche con un'esposizione volutamente disordinata e caotica. Così le affermazioni e le citazioni si susseguono senza alcun ordine, se non quello dettato dalla volontà di apparire a tutti i costi anarchico, come se potesse esistere una forma anarchica di esposizione.
Nella prefazione al suo libro, Feyerabend scrive: "Il presente saggio è scritto nella convinzione che l'anarchia, benché forse non costituisca la filosofia politica più attraente, sia però un'ottima base su cui fondare la epistemologia e la filosofia della scienza. Non è difficile scoprirne il perché". Egli è convinto che si possa fondare una teoria della conoscenza sull'anarchia, ma poi mette le mani avanti: "Non dobbiamo temere che la minore preoccupazione per la legge e l'ordine, implicita nell'adozione dell'anarchia, possa portare al caos". Qui, però, non è in discussione un sentimento come il timore, qui si tratta di stabilire come possa l'anarchia fondare una epistemologia.
In politica, anarchia significa negazione del potere e della autorità, ossia negazione del binomio "legge e ordine", in qualunque forma esso si presenti storicamente. Nella filosofia della scienza, anarchia può solo significare, in primo luogo, la negazione dell'ordine della natura e delle leggi scientifiche che lo definiscono, in secondo luogo, la negazione di ogni teoria scientifica, sia essa imposta arbitrariamente dall'uomo alla natura, sia essa imposta legittimamente dalla natura all'uomo.
Ora, un pensiero che si fondi sull'anarchia non può andare oltre la rilevazione del caos naturale. Stranamente, però, l'anarchico Feyerabend non solo non spreca una parola sulla necessità, ma neppure sul caso. Egli rileva soltanto che una teoria "conterrà una buona percentuale di chiacchiere, dalle quali ciascuno potrà trovare ciò che ritiene più importante". Ma che cosa è questa, se non una scelta arbitraria, puramente casuale, di ciò che è "più importante"?
Dire anarchia, significa, nel campo della teoria della conoscenza, fare dei miscugli a proprio piacimento. Così Feyerabend può esprimere la sua ammirazione per il marxismo, ma solo per "i suoi elementi anarchici, e solo nella misura in cui possono essere usati per la critica della scienza e della filosofia"; lo stesso vale per Lenin "a causa della sua comprensione della complessità delle condizioni storiche", e per la Luxemburg "perché nell'elaborare il suo metodo tiene sempre presente l'individuo (lo stesso non si può dire di Sir Karl Popper)". E poteva mancare, considerando i tempi della contestazione studentesca, il doveroso omaggio a Mao, "perché è pronto ad abbandonare la dottrina per l'esperimento"?
In gastronomia, i miscugli, gli intrugli sono fatti pur sempre con metodo, secondo precise ricette con qualche gustosa variante. In anarchia, invece, gli intrugli sono indistinti, caotici: così noi non sappiamo quanta dose di marxismo, leninismo e maoismo ecc., il miscuglio del contrometodo di Feyerabend possa accettare o tollerare. Lo potremo intuire quando avremo compreso il principale scopo epistemologico che egli si è posto.
Come punto di partenza troviamo lo straordinario principio, "l'unico presente nella metodologia anarchica": "Tutto va bene". Su un simile principio c'è poco da riflettere o da discutere; semmai verrebbe da pensare immediatamente che, come principio, "va male". Poiché molti devono aver dato questa valutazione senza pensarci troppo sopra, Feyerabend si è dovuto giustificare: "Molti amici mi hanno criticato per aver elevato un'asserzione quale "tutto va bene" al rango di un principio epistemologico basilare. Non si sono resi conto che stavo scherzando".
Insomma, scusatemi, ho solo scherzato, ma ora dirò come la penso (seriamente): "Le teorie della conoscenza, così come io le concepisco, si sviluppano esattamente come tutto il resto (sic!): troviamo nuovi princìpi, abbandoniamo i vecchi". Insomma quando Feyerabend non scherza, celia. Ma, volendo ugualmente prendere sul serio il "contrometodo" di Feyerabend, dovremmo dire che esso rappresenta un fenomeno di stanchezza nei confronti del gran numero di teorie, e di chiacchiere attorno a queste teorie, che son venute fuori, rispettivamente, nelle scienze naturali e nella teoria della conoscenza: stanchezza giustificata da questo eccessivo dispendio.
Feyerabend lo vede, ma nel contempo lo legittima attribuendolo a un principio: al "principio di proliferazione"; anzi considera questa proliferazione come una "metodologia pluralistica" idonea alla individualità, alla libertà di creazione artistica e anche "come mezzo necessario per scoprire e persino mutare le proprietà del mondo in cui viviamo" .
Abbiamo già visto che Kuhn ha legittimato il reale dispendio della scienza contemporanea come pluralismo democratico, competitivo; Feyerabend sembra invece legittimarlo in senso anarchico, spensierato e pacioccone: è la differenza che passa, ad esempio, tra due personaggi come Dawkins e Gould. Per Feyerabend, la metodologia pluralista favorirebbe anche la "coincidenza tra la parte (l'uomo singolo) e il tutto (il mondo in cui viviamo), tra ciò che è puramente soggettivo e arbitrario e ciò che è oggettivo e legale...".
In questa affermazione c'è la prova che egli non scherzava, quando diceva che "tutto va bene". Perché, se veramente il pluralismo anarchico favorisse la coincidenza della casualità relativa ai singoli con la necessità relativa ai complessi, allora tutto dovrebbe funzionare come un orologio; ma così non è e non può essere, perché, come abbiamo visto, la dialettica singolo-complesso non si riduce alla comoda metafisica del tutto da una parte (i singoli uomini dominati dal caso e dall'arbitrio) e tutto dall'altra (lo Stato con le sue leggi e l'ordine necessari).
Se si elimina dalla teoria della conoscenza una questione seria come quella del rapporto singolo (casuale) - complesso (necessario), che cosa rimane? Nulla più che questioni meschine. Così Feyerabend si preoccupa del fatto che la "proliferazione", ovvero la metodologia pluralista, provoca "tensioni e cattiverie" "in una comunità scientifica guerresca". In altre parole, vede il lato negativo di quella competizione democratica della quale Kuhn ha visto il lato positivo. Però a Feyerabend non manca la facile soluzione alle "tensioni e cattiverie" tipiche della concorrenza in seno alla comunità scientifica, così come non era mancata a Kuhn.
Nella prefazione al suo libro, Feyerabend scrive: "Il presente saggio è scritto nella convinzione che l'anarchia, benché forse non costituisca la filosofia politica più attraente, sia però un'ottima base su cui fondare la epistemologia e la filosofia della scienza. Non è difficile scoprirne il perché". Egli è convinto che si possa fondare una teoria della conoscenza sull'anarchia, ma poi mette le mani avanti: "Non dobbiamo temere che la minore preoccupazione per la legge e l'ordine, implicita nell'adozione dell'anarchia, possa portare al caos". Qui, però, non è in discussione un sentimento come il timore, qui si tratta di stabilire come possa l'anarchia fondare una epistemologia.
In politica, anarchia significa negazione del potere e della autorità, ossia negazione del binomio "legge e ordine", in qualunque forma esso si presenti storicamente. Nella filosofia della scienza, anarchia può solo significare, in primo luogo, la negazione dell'ordine della natura e delle leggi scientifiche che lo definiscono, in secondo luogo, la negazione di ogni teoria scientifica, sia essa imposta arbitrariamente dall'uomo alla natura, sia essa imposta legittimamente dalla natura all'uomo.
Ora, un pensiero che si fondi sull'anarchia non può andare oltre la rilevazione del caos naturale. Stranamente, però, l'anarchico Feyerabend non solo non spreca una parola sulla necessità, ma neppure sul caso. Egli rileva soltanto che una teoria "conterrà una buona percentuale di chiacchiere, dalle quali ciascuno potrà trovare ciò che ritiene più importante". Ma che cosa è questa, se non una scelta arbitraria, puramente casuale, di ciò che è "più importante"?
Dire anarchia, significa, nel campo della teoria della conoscenza, fare dei miscugli a proprio piacimento. Così Feyerabend può esprimere la sua ammirazione per il marxismo, ma solo per "i suoi elementi anarchici, e solo nella misura in cui possono essere usati per la critica della scienza e della filosofia"; lo stesso vale per Lenin "a causa della sua comprensione della complessità delle condizioni storiche", e per la Luxemburg "perché nell'elaborare il suo metodo tiene sempre presente l'individuo (lo stesso non si può dire di Sir Karl Popper)". E poteva mancare, considerando i tempi della contestazione studentesca, il doveroso omaggio a Mao, "perché è pronto ad abbandonare la dottrina per l'esperimento"?
In gastronomia, i miscugli, gli intrugli sono fatti pur sempre con metodo, secondo precise ricette con qualche gustosa variante. In anarchia, invece, gli intrugli sono indistinti, caotici: così noi non sappiamo quanta dose di marxismo, leninismo e maoismo ecc., il miscuglio del contrometodo di Feyerabend possa accettare o tollerare. Lo potremo intuire quando avremo compreso il principale scopo epistemologico che egli si è posto.
Come punto di partenza troviamo lo straordinario principio, "l'unico presente nella metodologia anarchica": "Tutto va bene". Su un simile principio c'è poco da riflettere o da discutere; semmai verrebbe da pensare immediatamente che, come principio, "va male". Poiché molti devono aver dato questa valutazione senza pensarci troppo sopra, Feyerabend si è dovuto giustificare: "Molti amici mi hanno criticato per aver elevato un'asserzione quale "tutto va bene" al rango di un principio epistemologico basilare. Non si sono resi conto che stavo scherzando".
Insomma, scusatemi, ho solo scherzato, ma ora dirò come la penso (seriamente): "Le teorie della conoscenza, così come io le concepisco, si sviluppano esattamente come tutto il resto (sic!): troviamo nuovi princìpi, abbandoniamo i vecchi". Insomma quando Feyerabend non scherza, celia. Ma, volendo ugualmente prendere sul serio il "contrometodo" di Feyerabend, dovremmo dire che esso rappresenta un fenomeno di stanchezza nei confronti del gran numero di teorie, e di chiacchiere attorno a queste teorie, che son venute fuori, rispettivamente, nelle scienze naturali e nella teoria della conoscenza: stanchezza giustificata da questo eccessivo dispendio.
Feyerabend lo vede, ma nel contempo lo legittima attribuendolo a un principio: al "principio di proliferazione"; anzi considera questa proliferazione come una "metodologia pluralistica" idonea alla individualità, alla libertà di creazione artistica e anche "come mezzo necessario per scoprire e persino mutare le proprietà del mondo in cui viviamo" .
Abbiamo già visto che Kuhn ha legittimato il reale dispendio della scienza contemporanea come pluralismo democratico, competitivo; Feyerabend sembra invece legittimarlo in senso anarchico, spensierato e pacioccone: è la differenza che passa, ad esempio, tra due personaggi come Dawkins e Gould. Per Feyerabend, la metodologia pluralista favorirebbe anche la "coincidenza tra la parte (l'uomo singolo) e il tutto (il mondo in cui viviamo), tra ciò che è puramente soggettivo e arbitrario e ciò che è oggettivo e legale...".
In questa affermazione c'è la prova che egli non scherzava, quando diceva che "tutto va bene". Perché, se veramente il pluralismo anarchico favorisse la coincidenza della casualità relativa ai singoli con la necessità relativa ai complessi, allora tutto dovrebbe funzionare come un orologio; ma così non è e non può essere, perché, come abbiamo visto, la dialettica singolo-complesso non si riduce alla comoda metafisica del tutto da una parte (i singoli uomini dominati dal caso e dall'arbitrio) e tutto dall'altra (lo Stato con le sue leggi e l'ordine necessari).
Se si elimina dalla teoria della conoscenza una questione seria come quella del rapporto singolo (casuale) - complesso (necessario), che cosa rimane? Nulla più che questioni meschine. Così Feyerabend si preoccupa del fatto che la "proliferazione", ovvero la metodologia pluralista, provoca "tensioni e cattiverie" "in una comunità scientifica guerresca". In altre parole, vede il lato negativo di quella competizione democratica della quale Kuhn ha visto il lato positivo. Però a Feyerabend non manca la facile soluzione alle "tensioni e cattiverie" tipiche della concorrenza in seno alla comunità scientifica, così come non era mancata a Kuhn.
Quest'ultimo aveva proposto la tolleranza fra paradigmi diversi fino al punto di onorare la stupidità e la genialità allo stesso modo; il primo propone "soltanto meno moralismo, meno serietà, meno preoccupazione per la verità, una coscienza professionale meno boriosa, un atteggiamento più giocoso". Se Kuhn aveva detto: il successo arride al più bravo nel risolvere i rompicapi, e chi non vi riesce non deve lamentarsi come l'artigiano con i suoi strumenti, Feyerabend dice: meno serietà, meno boria, si tratta solo di un gioco.
E quando cita Mead che dice "questo si accompagna alla continua richiesta di non essere troppo efficienti, troppo precoci, di non emergere troppo. Non bisogna mai superare i propri compagni più di un tanto", egli in realtà dà man forte a Kuhn, perché dicendo: questo è il dolce che vi offro: "libertà di scelta nelle questioni pratiche e in quelle intellettuali", senza pretese di superiorità, è come se dicesse, assieme a Kuhn: signori create tutti i paradigmi che volete, siate pluralisti, ma senza guerra di tutti contro tutti, con tolleranza reciproca.
In sostanza, se Kuhn, pur invocando la tolleranza, non può evitare al suo pluralismo competitivo il rischio delle "tensioni e cattiverie" tra competitori, Feyerabend le elimina (naturalmente solo nelle intenzioni) affermando un pluralismo pacioccone. Resta però una differenza tra i due, e cioè che, se il primo è efficientista e razionale, il secondo è anarchico e pasticcione. Il dolce che offre è in realtà un miscuglio senza ricetta e senza dosi, come si può evincere dal lungo brano che riportiamo in chiusura del paragrafo:
"L'idea che la scienza possa e debba essere condotta secondo regole fisse e che la sua razionalità consista nell'accordo con tali regole è irrealistica e viziosa. Non è realistica, perché presenta una visione troppo semplicistica delle capacità umane e delle circostanze che incoraggiano o causano il loro sviluppo; è viziosa, perché il tentativo di imporre delle regole creerà indubbiamente delle limitazioni a ciò che gli uomini potrebbero essere e ridurrà la nostra umanità aumentando le nostre qualifiche professionali. Possiamo liberarci da questa idea e dal potere che essa esercita su di noi 1) con un attento studio dell'opera di rivoluzionari come Galileo, Lutero, Marx o Lenin; 2) con la conoscenza della filosofia hegeliana e dell'alternativa fornita da Kierkegaard; 3) ricordando che l'attuale separazione tra scienza e arte è del tutto artificiale (...), dovremmo anche ricordare che una poesia, una commedia, possono essere tanto intelligenti quanto istruttive (Aristofane, Hocchuth, Brecht); che può essere divertente sostenere una teoria scientifica (Galileo, Dirac); e che infine possiamo cambiare la scienza e farla corrispondere ai nostri desideri".
Di fronte a un simile pasticcio, si può solo dire che almeno una cosa buona si trova in Feyerabend, che non si trova in Popper e in Kuhn: l'esortazione allo studio attento!
*Con questo titolo è uscito nel 1973 il libro di P.K. Feyerabend che abbiamo preso in considerazione in questo paragrafo.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato Volume primo Teoria della conoscenza (1993-2002) Inedito
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