mercoledì 5 ottobre 2011

Lezione 4°. La concezione anarchica (pessimistica) di teoria della conoscenza di Popper

Per comprendere questa versione anarchica (pessimistica) di teoria della conoscenza è sufficiente leggere le ultime quattro pagine del libro che stiamo considerando, "Logica della scoperta scientifica", 1934. "La scienza -scrive Popper- non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza (episteme): non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità, come la probabilità". Insomma, la scienza non è conoscenza: questa è la sua pessimistica conclusione!

Allora che cosa è la scienza? "E tuttavia la scienza ha qualcosa di più di un semplice valore di sopravvivenza biologica. Non è solo uno strumento utile. Sebbene non possa mai raggiungere né la verità né la probabilità, lo sforzo per ottenere la conoscenza e la ricerca della verità sono ancora i motivi più forti della scoperta scientifica". Ma se la conoscenza non può essere scienza, che cosa sarà mai la "scoperta scientifica"?

"Non sappiamo, possiamo solo tirare a indovinare. E i nostri tentativi di indovinare sono guidati dalla fede non scientifica, metafisica (se pur biologicamente spiegabile) nelle leggi, nelle regolarità, che possiamo svelare, scoprire". Insomma, la scoperta scientifica è "tirare a indovinare", ma poi noi sveliamo "leggi" e "regolarità" che in realtà sono soggettive, perché dipendono dalla nostra fede metafisica, non scientifica. Questo è un guazzabuglio! Se noi crediamo alle leggi e alle regolarità in maniera non scientifica, ma metafisica, che senso ha parlare di scoperta scientifica? E poi che cosa significa  questo tirare a indovinare?

"Come Bacone, potremmo descrivere la nostra scienza contemporanea "il metodo di ragionamento che oggi gli uomini applicano ordinariamente alla natura" come consistente di "anticipazioni affrettate e premature" e di "pregiudizi"."
Però, continua Popper, dopo aver fatto premature e ardite anticipazioni, le controlliamo, tentiamo di rovesciarle. "Usando tutte le armi della nostra armeria logico matematica e tecnica, tentiamo di provare che le nostre anticipazioni erano false, allo scopo di avanzare, in loro luogo, nuove anticipazioni ingiustificate e ingiustificabili, nuovi "pregiudizi affrettati e prematuri", per usare l'espressione denigratoria di Bacone".

La scienza, per Popper, non tende quindi alla verità scientifica, non progredisce per accumulo di verità ma per accumulo di "falsità"; essa non è capace di scoprire e verificare verità, ma possiede la strana proprietà di produrre e svelare falsità: le ipotesi, le anticipazioni da correggere e sviluppare, sono per lui un qualcosa di falso da attaccare con tutte le armi della logica matematica, e da sostituire con altre ipotesi e anticipazioni false, e così all'infinito.

Questa visione pessimistica della scienza, che si ricollega alla visione ingenua dei suoi primordi, non può neppure beneficiare dell'ottimismo di quest'ultima, perché ne rifiuta l'idea di progresso, la quale risente "troppo di reminiscenze baconiane: suggerisce troppo da vicino l'industriosa raccolta degli "innumerevoli grappoli, ubertosi e maturi" da cui Bacone si aspettava di veder fluire il vino della scienza: ricorda troppo da vicino il mito baconiano di un metodo scientifico che parte dalla osservazione e dall'esperimento e da qui procede alla teoria" .

Popper si genuflette di fronte al reale fallimento del metodo empirico fondato sul determinismo riduzionistico: "per quanto industriosamente le raccogliamo e le scegliamo, da esperienze sensibili non interpretate non potremo mai distillare la scienza. I soli mezzi a disposizione sono le idee ardite: sono il solo organo, i soli strumenti di cui disponiamo". Insomma, poiché non siamo in grado di risolvere il problema dell'induzione di Hume, non possiamo ricavare leggi certe in maniera induttiva. In questo modo viene consacrata, come unica forma di scienza, la produzione di idee ardite (falsificabili).

E che cosa dobbiamo farci con queste idee ardite? Dobbiamo usarle, scrive Popper, "per guadagnare il nostro premio"! E quelli che non vogliono esporsi al rischio della confutazione "non prendono parte al gioco". La scienza è dunque un gioco, ma uno strano gioco: si vince il premio osando offrire idee ardite e falsificabili ben sapendo che qualcuno si divertirà a confutarle, ossia a "falsificarle". Ma allora in che cosa consiste il rischio, quando tutti sanno che si tratta di idee che chiunque può "falsificare", ossia "dimostrare" che sono false?

In realtà, Popper ha fatto di necessità virtù: della cieca necessità del dispendio relativo alla produzione "scientifica" ha fatto la virtù del gioco del tirare a indovinare. In questo modo ha legittimato la "scienza" teorica del Novecento, soprattutto la fisica, il cui livello non è mai stato così scadente. Il rischio d'essere confutati, falsificati non ha impedito, infatti, a ogni teoria "ardita" e arrischiata di trovare la sua nicchia nella torre di Babele delle teorie "scientifiche". C'è posto per tutti nel pluralismo democratico delle teorie: basta essere della partita, basta essere riconosciuti dalla "comunità scientifica".

C'è forse da stupirsi se oggi gli scienziati vanno a caccia di premi e di prebende più che di verità scientifiche, magari accontendosi di una sola "idea ardita" per farsi conoscere? Piaget rappresenta un bell'esempio di questo genere, che è anche una riprova dell'attuale, specifico dispendio della scienza: egli dice, nella sua autobiografia, che con una sola idea, "sviluppata sotto vari aspetti", ha potuto pubblicare ventidue volumi e ottenere ben sei lauree ad honorem e due decine di cattedre. Solo che, mentre di queste ultime faceva incetta lui stesso, dei primi si occupavano i suoi assistenti.

Ma vediamo come dovrebbe comportarsi lo scienziato di fronte alla natura. Popper comincia con un'affermazione ragionevole e condivisibile, che non rappresenta una novità: "L'esperimento è azione pianificata, ciascun passo della quale è guidato dalla teoria". Ma poi sbarella: "Dobbiamo essere attivi: dobbiamo "fare" le nostre esperienze. Siamo sempre noi a formulare le questioni da porre alla natura: siamo noi a tentare sempre di nuovo di porre queste questioni in modo da ottenere un "si" o un "no" ben chiari (perché la natura non ci dà la risposta, se non facciamo pressioni per ottenerla)".

Insomma, lo scienziato dovrebbe utilizzare il "terzo grado" per "ottenere un "si" o un "no" ben chiari"! Anzi, nella visione pessimistica di Popper, la natura deve essere costretta a dare un "no" non equivoco. "Una volta per tutte, scrive Keyl -e io sono pienamente d'accordo con lui- desidero proclamare la mia ammirazione illimitata per il lavoro dello sperimentatore, per la sua lotta per strappare fatti interpretabili alla natura riluttante, che sa così bene come opporre alle nostre teorie un No decisivo o un Si che nessuno può sentire".

Così, la natura è concepita a immagine e somiglianza di un'entità che si nega ostinatamente, sulla quale lo sperimentatore fa pressioni per ottenere un no decisivo, che lo attrae molto più di un flebile si per il quale non ha orecchie! Allo sperimentatore popperiano non piace concludere secondo il "vecchio idolo" della conoscenza assolutamente certa e dimostrabile, perché "L'esperienza della oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo". "Possiamo essere "assolutamente certi" solo delle nostre esperienze soggettive di convenzioni, solo nella nostra fede soggettiva".

Ecco la "novità" della teoria di Popper: la riproposizione del vecchio soggettivismo kantiano. Ma almeno Kant cercava certezze nei concetti a priori dell'intelletto, mentre qui tutto è negato, sia "il possesso della conoscenza della verità irrefutabile" sia "la ricerca critica, persistente e inquieta della verità", che farà pure "l'uomo di scienza", ma, come abbiamo visto, riceve dalla natura decisivi no. E, dopo simili conclusioni, Popper ha la faccia tosta di chiedersi: "Il nostro dev'essere un atteggiamento di rassegnazione?" E ha persino la sfacciataggine di rispondere: "Non credo. La scienza non persegue lo scopo illusorio di rendere le sue risposte definitive, e neppure probabili. Piuttosto il suo progresso tende sempre verso lo scopo infinito, e tuttavia irraggiungibile, di scoprire problemi sempre nuovi, più generali e profondi, e di sottoporre le sue risposte, sempre date in via di tentativo, a controlli sempre più rinnovati e sempre più rigorosi".

Se questo nullismo non è rassegnazione è solo perché assomiglia molto a una disperazione violenta. Qui c'è odio nei confronti di una natura che va per la sua strada, noncurante dei divieti e dei controlli imposti dal soggettivismo, sia esso kantiano, machista, popperiano, ecc. Ma, in fin dei conti, se astraiamo dal verbalismo di Popper, stringi, stringi, che cosa rimane di tutta questa concezione? La semplice constatazione metafisica che, se la scienza non può essere assolutamente vera, deve essere falsa: di conseguenza, nessuna teoria può essere verificabile, perciò potrà essere solo falsificabile.

-------

Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito.

1 commento:

  1. Hello, just wanted to say, I liked this article.
    It was practical. Keep on posting!

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...