lunedì 17 ottobre 2011

Megaverso o multiverso di Susskind: soluzione statistica solo sfiorata

Susskind ("Il paesaggio  cosmico", 2009) osserva: "Normalmente nessuno applicherebbe le leggi della statistica a un singolo lancio di moneta o di dado. L'interpretazione a molti mondi fa proprio questo, tratta gli eventi singoli in modo che, applicato al lancio della moneta suonerebbe un pò ridicolo. L'idea che ogni qual volta si lanci una moneta il mondo si divida in due copie parallele, il mondo-testa e il mondo-croce, non sembra un'idea molto utile".

In "Teoria della conoscenza" avevamo mostrato che la verifica della probabilità è un'assurdità, perché il singolo lancio di una moneta non può verificare p = 1/2, puo solo verificare che per caso avremo o testa o croce (per convenzione matematica, 1 per la faccia che esce e O per quella che non esce). Immaginare che una moneta si possa dividere in due copie parallele è qualcosa che poteva spuntare solo dalla mente dei fisici quantistici. Ma dicevamo anche che, su un gran numero di lanci, si può verificare la frequenza f = 1/2, e questa è l'inferenza statistica necessaria, la soluzione reale.

Susskind ricorda che la "probabilità" è stata un comodo trucco per "compensare la nostra incapacità di conoscere tutti i dettagli"; perciò "non ha alcun ruolo fondamentale nella meccanica newtoniana". In altre parole, la probabilità non era in grado fornire la determinazione richiesta, e aveva poca rilevanza, come la frequenza statistica, non soddisfacendo l'esigenza della conoscenza riduzionistica, la conoscenza dei "dettagli", come di solito vengono chiamati. Ma con la meccanica quantistica le cose cambiarono: per il principio di indeterminazione la previsione singola, riduzionistica, diventava impossibile per principio: "La probabilità entra nella teoria dall'inizio, non è un trucco di comodo, introdotto per compensare la propria ignoranza".

In altre parole, l'incerta probabilità, ovvero l'impossibile conoscenza della singola cosa diventava intrinseca alla previsione singola. Ma la fisica quantistica non rinunciò alla determinazione riduzionistica della singola particella: perché, se è vero che negò la necessaria corrispondenza di causa ed effetto, non rinunciò a "determinare" riduzionisticamente le possibilità; ma, soprattutto, non giunse mai a concepire la necessità delle frequenze statistiche, che confuse sempre con le singole probabilità.

Scrive Susskind: "il problema di questa interpretazione è che non si può applicare al grande esperimento cosmico: non possiamo ripetere il big bang un gran numero di volte per raccogliere la statistica degli esiti. Questo è il motivo per cui molti teorici della cosmologia hanno adottato il puntello filosofico della interpretazione a molti mondi". L'osservazione è interessante, perché fa dipendere l'ipotesi dei molti mondi da una riflessione statistica. Permane però un equivoco: se l'universo può essere una singolarità in relazione a infiniti universi, uno fra tanti, ciò non ha niente a che vedere con la pretesa singolarità quantistica che dovrebbe farlo nascere dal nulla.

Ogni singolo universo rimane sempre un caso singolo se riferito a un megaverso o multiverso, senza per questo aver bisogno di iniziare come singolarità quantistica. La sua "singolarità" è d'altro genere: gli deriva semplicemente dall'essere uno fra tanti, infiniti universi, risolvendosi, come tutti gli altri (tutti appartenenti alla materia infinita nel cosmo infinito), in un ciclo di espansione iniziale e di contrazione finale (big bang = big crunch).

Allora, un universo, ad esempio come il nostro, che sia accessibile a una eventuale vita cosciente, preso nel suo complesso non è più un singolo elemento casuale di una infinità di universi: è diventato un'eccezione statistica. Come singolo elemento fra tanti potrebbe non sviluppare la vita, potrebbe essere cioè uno dei tanti "mondi nati storpi" come li chiamò Diderot. Ma quando un universo, nel suo sviluppo, giunge come eccezione statistica a produrre la vita cosciente, questa ha in sé la capacità di conoscere le leggi del proprio universo, partendo dalla consapevolezza che ciò che è complessivo è necessariamente conoscibile e ciò che è singolo appartiene alla sfera del caso. Insomma, noi non possiamo determinare ciò che attiene al nostro universo come singolo elemento dell'infinito megaverso, ma possiamo determinare i suoi contrassegni in quanto a sua volta un complesso.

La conclusione di Susskind è, invece, equivoca, contrapponendo due modelli matematici non facilmente comprensibili. Egli dice: "Il mio modo di vedere dovrebbe ormai essere ovvio. La visione in serie (starsene a casa nella propria bolla, chiusi dentro il proprio orizzonte, osservare gli eventi ed eliminare la zavorra non osservata) è l'interpretazione di Bohr della meccanica quantistica. La visione in parallelo, più vasta e descritta in termini di megaverso, è l'interpretazione di Everett". "Forse alla fine scopriremo che la meccanica quantistica ha senso solo nel contesto di un megaverso ramificato, e che il megaverso ha senso solo come attuazione della realtà ramificata dall'interpretazione di Everett.

Sia che usiamo il inguaggio del megaverso, sia che usiamo quello dei molti mondi, la visione in parallelo, unita allo sterminato Paesaggio della teoria delle stringhe, ci fornisce i due elementi che possono mutare il principio antropico da sciocca tautologia a potente principio organizzatore. Ma la visione in parallelo si fonda sulla reale esistenza di sezioni di spazio e tempo che, apparentemente, sono escluse da ogni possibile osservazione. Alcuni ne sono turbati. Io ne sono turbato. Se lo sterminato mare degli universi-bolla è al di là da un ultimo orizzonte, la visione in parallelo somiglia più alla metafisica che alla scienza".

Come si vede, è una visione al limite dell'esoterismo, per capire la quale dovremmo fare un viaggetto tra le ultime novità della cosmologia, concepite già negli anni '60-'70, ma solo di recente in voga. Per il momento possiamo stabilire che, concepire il nostro universo come uno fra tanti è già stato fatto da Diderot nella Lettera di un cieco ad uso dei vedenti, e rappresenta la soluzione teorica, statistica, reale: il nostro universo è uno fra i tanti, un'eccezione che ha permesso la vita in un pianeta come il nostro e per ora non possiamo dire altro che questo: la materia è infinita nello spazio infinito, dunque può solo manifestarsi in forme finite, in infiniti universi finiti.

Per concludere, spendiamo solo qualche parola sulle fantasie anglosassoni relative alle conseguenze paradossali della concezione degli infiniti mondi, conseguenze che derivano dalle ultime teorizzazioni sull'infinito matematico (non solo potenziale ma anche "attuale", reale). Ne deriverebbero serie di infiniti, da quelli che riguardano terre abitabili, a quelli che riguardano terre con vita cosciente, infine, a quelli che riguardano terre dove ciascuno ripete la medesima vita. Se consideriamo che la specie umana può conoscere e concepire solo nell'ambito del proprio pianeta, della propria galassia e solo qualcosa del proprio universo, mentre, riguardo a tutto il resto, può solo arrivare a concepire astrattamente l'infinito, da ciò non consegue che possa riempire questa astrazione di realtà materiale, di pretese esistenze reali.

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Scritto nel 2010

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