venerdì 14 ottobre 2011

L'individuo, protagonista morale della postmodernità secondo Bauman

Per il sociologo piccolo borghese, anche nel periodo della indefinibile "postmodernità", l'individuo rimane protagonista morale, sebbene con un'accentuazione della responsabilità personale, a causa della mancanza di un codice morale collettivo. Così Bauman può affermare: "L'autorità di chiese, partiti politici, istituzioni accademiche ecc. sono chiaramente in declino. La responsabilità sottratta agli individui sta tornando: tu e io siamo lasciati pressoché soli con le nostre decisioni. Non abbiamo un codice morale che sia assoluto e universale in tutta la sua visibilità. Ci troviamo nuovamente di fronte a problemi morali come se la modernità non sia un fatto accaduto: siamo spinti indietro sulla responsabilità individuale".*

Come abbiamo osservato in altro luogo, la responsabilità morale non è mai stata sottratta agli individui, tutt'altro: ciò che è avvenuto, grazie al determinismo riduzionistico, è che caratteri e qualità inerenti i complessi sono stati attribuiti agli individui, e viceversa. Il moralismo impotente ha sempre compiuto l'errore di attribuire ai singoli individui qualità del loro complesso (classe, ceto, ecc.) di appartenenza, considerandole alla stregua di responsabilità personali, e, viceversa, di attribuire una qualità specifica del singolo individuo, il capriccioso caso, alla collettività.

Per Bauman, la responsabilità morale significa che l'individuo, privato del potere del "grande codice", deve negoziare i suoi rapporti con il "partner sessuale", il coniuge, ecc.; e, in generale, nella postmodernità "non ci sono norme rigide per separare il modo corretto da quello errato di procedere, la cultura giusta da quella erronea, ecc." Non si passa più "dall'errore alla verità, ma da un'interpretazione ad un'altra, e proprio questo è ciò che preoccupa, proprio questo è il motivo della obiezione a questo moderno scetticismo". Insomma, non si è mai sicuri della scelta giusta: "tutto ciò che possiamo fare è riflettere su varie possibilità".

Poiché Bauman pone come protagonista l'individuo, occorre chiarire subito che, effettivamente, l'incertezza è la sua condizione permanente, perché l'individuo, in quanto tale, è soggetto al caso in ogni momento della sua esistenza biologica e sociale. L'errore non consiste perciò nel dichiarare l'incertezza individuale, ma nel ritenere che la reale e necessaria "condizione umana" sia la condizione individuale, e non la condizione della specie umana e dei suoi numerosi complessi (classi, popoli, ecc.): condizione questa, non soggetta al capriccioso caso, ma alla cieca necessità conseguente la divisione interna della specie stessa.

L'incertezza denunciata da Bauman, essendo riferita al singolo individuo, è dunque un'ovvietà; ma quando lo studioso si mette in testa di riflettere sull'incertezza individuale, credendo di scoprire chissà quali misteri, scopre solo problemi di lana caprina. Ad esempio, se tutto è incerto, pensate un pò: non è più possibile distinguere tra simulazione e dissimulazione individuali. Un simile argomento richiama alla mente altri periodi storici e personaggi come, ad esempio, Machiavelli e Mazarino. Ma, nonostante sia difficile, se non impossibile, stabilire se un individuo simuli o dissimuli, non c'è nulla di più facile da comprendere della differenza concettuale tra simulazione e dissimulazione. Simulare è fingere qualcosa (una convinzione, un sentimento, ecc.) che non ci appartiene; dissimulare è fingere che qualcosa che ci appartiene non ci appartenga. Ad esempio, ridere può simulare una contentezza che non si prova o dissimulare una paura che si prova.

Allora, che cosa può significare l'affermazione di Bauman che "La differenza tra simulazione e dissimulazione è stata erosa"? Ciò che rimane è che entrambe rappresentano espressioni false del comportamento individuale. Allora, che cos'è che viene eroso? Il fatto che l'una nasconda l'assenza di qualcosa e l'altra la presenza del suo opposto? Ma questa differenza concettuale non può essere erosa, anche se spesso è impossibile sapere la "sincerità" del comportamento individuale. Insomma, non esiste alcuna erosione della differenza tra simulazione e dissimulazione, mentre continua a rimanere la condizione di falsità che le accomuna.

Bauman sostiene che nella postmodernità "sappiamo di essere "condannati ad essere liberi" e questa è una situazione di grosso rischio. Nel suo libro più recente Galbraith afferma che per la prima volta nella storia della modernità la maggioranza della gente trova le opportunità offerte dalla libertà superiori ai rischi". "Galbraith conclude che quanti hanno poca voglia di libertà, come consumatori saranno sistematicamente respinti".

Ben strana questa libertà apparentemente meno rischiosa, però più soggetta alla volontà di fare shopping! Comunque, questa non è libertà reale, è la famosa libertà epicurea, accomunata alle occasioni e alle opportunità che dipendono dal caso. Perciò il rischio è sempre presente. La differenza tra la libertà epicurea e la libertà reale è che, nel primo caso, si tratta di "libertà di", libertà di avere, ma anche di perdere; nel secondo, si tratta di "libertà da", libertà dal rischio, dalla disoccupazione' dalla miseria, ecc. E' quest'ultima libertà che è sempre mancata alla specie umana divisa in classi, popoli e nazioni!
   
Bauman trova i seguenti limiti alla "libertà": "La libertà offre molte cose meravigliose, ma non offre una cosa. L'importanza fondamentale per il benessere individuale, cioè la certezza, l'essere sicuri che quanto si sta facendo è giusto, che quanto si è deciso di fare non è stato uno sbaglio". La ricerca della sicurezza, della certezza ci "conduce a sprofondare sempre più nella dipendenza". In poche parole, mancando la vera "libertà da", ecco che la "libertà di" produce la "dipendenza da" chi dovrebbe rassicurare.

Questa dipendenza è, secondo Bauman, "una repressione di velluto". "Attenzione io parlo sempre di liberi consumatori, non di individui del benessere che risultano oppressi..."; anzi sono gli individui che "entrano lietamente, spontaneamente, gioiosamente (!) nella relazione di dipendenza. La libertà è intricata nella dipendenza: si diviene più liberi acquistando più servizi degli esperti e diventando più dipendenti da essi. La libertà, così, è qualcosa che accresce la dipendenza".

Insomma, questa pretesa libertà epicurea che non garantisce alcuna sicurezza, questo gioioso assoggettamento ai capricci del caso accresce la dipendenza. La dipendenza da chi? Dagli esperti che ci dovrebbero rassicurare. Ma nell'epoca della globalizzazione e dello shopping, gli esperti che dovrebbero rassicurare sono i professionisti del marketing, il cui reale compito è, all'opposto, quello di creare insicurezza per garantire la dipendenza degli shopper dai grandi magazzini. Allora il paradosso della "libertà intricata nella dipendenza" scompare: al suo posto troviamo la schiavitù della dipendenza dallo shopping senza limiti. 

Gli individui non sono affatto liberi di entrare gioiosamente in relazione di dipendenza dagli esperti di marketing, paradossale libertà, ma sono realmente dipendenti dallo shopping nei grandi magazzini: questa è la reale "repressione di velluto". Allora, la conclusione di Galbraith assume ben altro significato: quanti hanno poco voglia di dipendere dallo shopping, quanti rifiutano la schiavitù della dipendenza coatta dagli esperti del marketing, ovvero dallo shopping forzato e dal credito al consumo, "saranno sistematicamente respinti" dall'attuale società: saranno i paria della globalizzazione.

* Le citazioni sono tratte dall'intervista su "Telos" di Cantel & Pederson a Zigmunt Baumann.

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Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)
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