Da tempo è entrata, prepotentemente, in campo economico e politico, la questione etica, riproposta, sia nel versante religioso che in quello laico, proprio dai detrattori delle strutture economiche e sociali le quali si riflettono nelle sovrastrutture politiche, a tutti livelli, nazionali, regionali, globali. Lo abbiamo già considerato nel dibattito attorno alle ragioni del Venerdì nero 2008.
La questione etica pone al suo centro l'individuo, attribuendogli responsabilità che non sono sue: ad esempio lo squallore morale dello shopper nella società occidentale dell'opulenza (in declino) è solo un derivato della sua pratica sociale, lo shopping, imposto con tecniche di marketing molto studiate (anche con il contributo della psicologia sociale, della sociologia, ecc, campi nei quali l'individuo è sì protagonista, ma solo in quanto malleabile e persuadibile). Lo si vede anche dalla frequenza e dall'urgenza degli spot televisivi che interrompono chiunque e su qualsiasi argomento di dibattito.
Lo shopping altro non è che realizzazione del valore (acquisto) delle merci prodotte da lavoro a basso costo, fino a "ieri" in Asia, in America Latina, da "oggi" anche nell'Est europeo integrato nella UE. Lo shopping, come tentiamo di spiegare da tempo, è vitale per il capitalismo scenescente. Perciò, lo sviluppo asiatico fa sì che quote consistenti di shopping si spostino dall'Occidente in decadenza all'Oriente in ascesa, ridimensionando il piccolo ceto medio occidentale, nel quale era compresa anche quella che una volta si chiamava aristocrazia operaia.
Lo sciopero degli indignati dell'Occidente non fa che riflettere questa situazione. Ma la riflette male, nel senso che non coglie nel segno, nel senso che si affida all'etica, la quale non c'entra per niente. Quando i processi naturali si abbattono sulle specie viventi e sull'uomo (l'unica specie che potrebbe essere cosciente), dal punto di vista morale l'unica a esserne toccata è la teodicea, che non a caso è sorta per spiegare i mali del mondo, cercando di sottrarli alla responsabilità divina.
La questione etica pone al suo centro l'individuo, attribuendogli responsabilità che non sono sue: ad esempio lo squallore morale dello shopper nella società occidentale dell'opulenza (in declino) è solo un derivato della sua pratica sociale, lo shopping, imposto con tecniche di marketing molto studiate (anche con il contributo della psicologia sociale, della sociologia, ecc, campi nei quali l'individuo è sì protagonista, ma solo in quanto malleabile e persuadibile). Lo si vede anche dalla frequenza e dall'urgenza degli spot televisivi che interrompono chiunque e su qualsiasi argomento di dibattito.
Lo shopping altro non è che realizzazione del valore (acquisto) delle merci prodotte da lavoro a basso costo, fino a "ieri" in Asia, in America Latina, da "oggi" anche nell'Est europeo integrato nella UE. Lo shopping, come tentiamo di spiegare da tempo, è vitale per il capitalismo scenescente. Perciò, lo sviluppo asiatico fa sì che quote consistenti di shopping si spostino dall'Occidente in decadenza all'Oriente in ascesa, ridimensionando il piccolo ceto medio occidentale, nel quale era compresa anche quella che una volta si chiamava aristocrazia operaia.
Lo sciopero degli indignati dell'Occidente non fa che riflettere questa situazione. Ma la riflette male, nel senso che non coglie nel segno, nel senso che si affida all'etica, la quale non c'entra per niente. Quando i processi naturali si abbattono sulle specie viventi e sull'uomo (l'unica specie che potrebbe essere cosciente), dal punto di vista morale l'unica a esserne toccata è la teodicea, che non a caso è sorta per spiegare i mali del mondo, cercando di sottrarli alla responsabilità divina.
Ma quando Marx ha scoperto che il capitalismo era come un processo naturale, ha chiaramente tolto ogni responsabilità, quindi ogni colpa, in primo luogo agli individui, e in parte anche alle classi. Insomma, ha fatto intendere che la buona volontà kantiana non poteva risolvere i mali del capitalismo, perché questi mali non derivavano da cattive volontà: in una parola non erano risolvibili con l'etica, affatto impotente.
Gli indignati di oggi se la prendono genericamente con le politiche monetarie, bancarie, con le politiche economiche governative, se la pigliano con Obama in America, con Berlusconi in Italia. Anzi, da noi è molto più facile indignarsi, con la "casta" che ci ritroviamo, sulla quale è fin troppo facile scrivere best seller. Molto più difficile è dire: c'è un profondo movimento tettonico all'interno di questo vecchio corpaccione malato del capitalismo senescente. E' un movimento di tipo naturale, guidato solo dalla cieca necessità del saggio medio di profitto, necessità incontenibile, che, come abbiamo scritto in altra occasione, da meno di dieci anni porta il sorriso a chi una volta era povero, e porta il pianto a chi una volta, senza alcuna preoccupazion morale per la povertà del mondo non occidentale, godeva dei frutti dell'opulenza.
Insomma, qui si può trovare una cattiva notizia e una peggiore: la cattiva è che Berlusconi non c'entra per niente, quella peggiore è che non c'è uomo di governo italiano, europeo, americano, ecc. che possa fermare lo smottamento, perchè l'Occidente è destinato a perdere consistenti quote di ricchezza e l'Oriente ad acquistarle, con l'unico obiettivo (ciecamente necessario) di mantenere in vita il capitalismo senescente. Ma fino a quando? I tempi lunghi della società mondiale e soltanto questi potranno dare una risposta, forse alle giovani generazioni di oggi, forse a quelle di domani.
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