"Bestia nera degli storici, da sempre, la concezione di Marx e di Engels è ormai trattata solo di sfuggita e in maniera del tutto inadeguata. Un esempio recente di come si possa evitare di fare i conti con le tesi del marxismo ci è dato da Finley nel suo scritto dal titolo "La civiltà greca si fondava sul lavoro degli schiavi?"** L'autore si limita a citare in maniera parziale alcune osservazioni di Marx sull'argomento, dimenticando completamente le "Origini della famiglia, della proprietà privata e dello Stato", dove Engels sviluppò ampiamente la questione della schiavitù nell'antichità.
Finley è abbastanza ingenuo da confessare i dispiaceri che uno storico agnostico come lui può patire a causa della concezione di Marx, affermando di non poter asserire che la schiavitù era un elemento fondamentale della civiltà greca, ma solo per la seguente ragione: se potesse liberarsi del dispotismo della storia partigiana, se potesse rimanere neutrale, affermerebbe che Atene si fondava sul lavoro schiavistico, ma non può farlo perché il concetto di "fondamento" è un concetto marxista!?
D'altronde non se la sente, o non è in grado, di formulare un'altra tesi; così si risolve di far cadere il discorso sulla natura della schiavitù, per vedere soltanto come essa... funzionava. Con una simile scappatoia, prima è costretto ad ammettere che ciò che funziona deve pur esistere, ma per ridimensionarne l'esistenza riduce le dimensioni del numero di schiavi esistenti ad Atene. Poi, per non dover ammettere che ciò che è esistito abbia avuto una funzione fondamentale nella produzione ateniese, altrimenti ricadrebbe nella tesi marxista, "scopre" l'importanza delle categorie intermedie poste tra i liberi e gli schiavi, rifugiandosi nella aneddotica sugli ex schiavi arrichiti: i liberti.
Ma, se prendiamo in considerazione una società come quella ateniese fondata sulla schiavitù, la presenza di confini tra la classe degli uomini liberi e quella degli uomini in stato di schiavitù non è un problema: l'esistenza di due classi opposte e antagoniste non solo non impedisce il frazionamento in classi, ma neppure la mobilità da una classe all'altra. Anzi è proprio l'esistenza delle classi a garantire la mobilità. Perché allora mostrare stupore per il fatto che gli schiavi potessero passare attraverso vari stadi di semischiavitù e di semilibertà alla condizione di liberti, e viceversa?
Si può dire di più: anche il tipo di mobilità dipende dalla natura delle classi che, a sua volta, dipende dalla formazione economica sociale. Quindi il problema eluso rimane: insomma, come si originò e si sviluppò la schiavitù nell'antichità? Proviamo a rispondere. La schiavitù è una forma di dipendenza servile, con specifici contrassegni, tra i quali anche la possibilità dell'affrancamento individuale. Per Marx ed Engels lo sviluppo storico che ha determinato il sorgere della schiavitù è il seguente:
1) all'inizio prevale l'asservimento di gentes da parte di altre gentes (le prime forme di utilizzo di forza lavoro asservita: i prigionieri di guerra, i debitori, ecc.); 2) in seguito (soprattutto in Oriente), è asservimento di intere comunità da parte di despoti (il dispotismo asiatico fondato sulle comuni agricole); 3) in Grecia si sviluppa un asservimento da parte di singole famiglie più ricche e potenti che ne sottomettono altre all'interno del popolo (servitù per debiti). Infine, lo schiavo è considerato alla stregua di un qualsiasi animale da soma: è un valore d'uso che può essere acquistato, venduto, infine, anche liberato.
Se non si tiene presente come la tribù gentilizia si è dissolta nello Stato, come la gens si è storicamente disgregata per dar luogo alle singole famiglie, infine, come l'antica comunità agricola si è separata e divisa nella proprietà fondiaria privata, tutta l'antichità rimane un mistero sul quale storici come Finley possono soltanto esercitare la loro erudizione condita di numerosi aneddoti."
* Scritti del 1985
** Tratto dal saggio di Finley "Schiavitù antica e ideologie moderne" (1981)
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