Nell'ultimo capitolo del primo volume del CAPITALE, il 52°, intitolato "Le classi", interrotto dopo due sole pagine, Marx si pone "la domanda a cui si deve rispondere" per la definizione delle classi sociali. La domanda è la seguente: "Che cosa costituisce una classe? E la risposta risulterà automaticamente da quella data all'altra domanda: che cosa fa sì che gli operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari formino le tre grandi classi sociali?" Marx non si pone il problema di determinare il singolo individuo, ma di trovare i contrassegni necessari che distinguevano le tre grandi classi sociali della società capitalistica del suo tempo.
"A prima vista -egli scrive- può sembrare che ciò sia dovuto all'identità dei loro redditi e delle loro fonti di reddito. Sono tre grandi gruppi sociali, i cui componenti, gli individui che li formano, vivono rispettivamente di salario, di profitto e di rendita fondiaria.
Tuttavia, da questo punto di vista, anche i medici, ad es., e gli impiegati verrebbero a formare due classi, poiché essi appartengono a due distinti gruppi sociali, e i redditi dei membri di ognuno di questi gruppi affluiscono da una stessa fonte. Lo stesso varrebbe per l'infinito frazionamento di interessi e posizioni, creato dalla divisione sociale del lavoro fra gli operai, i capitalisti e i proprietari fondiari. Questi ultimi, ad es., divisi in possessori di vigneti, in possessori di terreni arativi, di foreste, di miniere, di riserva di pesca".
La penna di Marx non è andata oltre quest'ultima obiezione, e la scuola marxista è sembrata impuntarsi su questo scoglio: ossia, sull'impossibilità di distinguere le classi sociali secondo l'identità del loro redditi, senza però riuscire a comprendere la ragione dell'interruzione del manoscritto. Ciò che Marx vede immediatamente è che, se consideriamo i redditi, le classi si sbriciolano in una infinità di gruppi sociali; ovvero la necessità si rovescia in casualità. "L'infinito frazionamento di interessi e posizioni" è, perciò, sotto il dominio del caso.
Magari ragionassero così i deterministi che pretendono trovare leggi di causalità nell'infinito frazionamento di interessi e posizioni della società capitalistica! Marx interrompe il suo manoscritto perchè non ritiene di poter sintetizzare ciò che è sparso in tutta la sua opera in relazione alla definizione di classi sociali. Insomma, non ritiene di poter determinare la necessità delle classi sociali.
Il fatto è che il punto di partenza apparente, l'identità dei redditi, apre un baratro teorico sotto i piedi dello studioso che cerca la necessità complessiva e si ritrova l'infinito frazionamento della sfera del caso. Questo è il motivo per cui possiamo affermare che, dal punto di vista dei redditi, non si possono stabilire contrassegni necessari per l'appartenenza alle classi. Ciò non vuol dire che i capitalisti non vivano di profitto e gli operari di salario; ciò vuol dire che le fonti e le differenze di reddito sono, singolarmente prese, soggette al caso e perciò infinite.
Stabiliamo, quindi, come primo punto fermo che l'interruzione del manoscritto di Marx sulle classi sociali riflette l'impossibilità di determinare i complessi sociali partendo dai loro singoli elementi o frazioni di singoli elementi sociali, soggetti al caso. Stabilito questo, possiamo cercare di impostare il problema tenendoci stretti alla dialettica caso-necessità, singolo-complesso.
Riassumiamo: una classe sociale, innanzi tutto, è un complesso di numerosi individui tutti diversi tra loro, in quanto soggetti al caso. Di conseguenza, singolarmente presi, non possono essere oggetto della scienza. Come complesso di individui che possono essere raggruppati in molti modi casuali, quali famiglie, amicizie, associazioni varie di mestiere, ecc., la classe è come un contenitore di contenitori. Paradossalmente, i contrassegni necessari di una classe hanno per fondamento soltanto il caso dei singoli elementi in essa contenuti: è il caso individuale che si rovescia nella necessità complessiva. Perciò i contrassegni di una classe sono ciecamente necessari.
Questi contrassegni valgono soltanto per la classe nel suo complesso*, non per i suoi singoli elementi, siano essi singoli individui, singole famiglie e singoli gruppi di individui: perciò, siamo costretti a lasciare queste entità impigliate nelle reti della vita sociale che per loro è puramente casuale, mentre la loro classe di appartenenza è ciecamente necessaria. Perciò non li caricheremo di un peso che non appartiene loro, non attribuendo ai singoli quelle qualità necessarie che appartengono soltanto ai complessi. Non faremo questo non solo perché sarebbe scientificamente inesatto, ma anche perché sarebbe moralmente falso: appartenere a una classe sociale non può e non poteva essere né un segno di distinzione né qualcosa di moralmente apprezzabile o spregevole.
E' solo una questione di caso individuale, com'è puramente casuale che il prossimo nato della specie umana nasca in un lussuoso appartamento newyorchese o in un tugurio afgano. Non si insisterà mai abbastanza su questo punto fondamentale: come non si può addebitare all'individuo la responsabilità del caso della sua nascita, così non ci si deve stupire del fatto che è solo il caso a decidere chi nasce in una famiglia proletaria o in una famiglia capitalista.
Se il regno della necessità domina le classi, il regno del caso domina gli individui: E questa caso non rappresenta la libera occasione che, nell'illusione epicurea, sottraeva l'individuo alla necessità fatale, ma è realmente una condizione di schiavitù, di sottomissione ai capricci dell'imprevedibile, che solo raramente è vantaggiosa, e perciò prende il nome di fortuna.
Ho già osservato in una nota del mio primo volume di "Teoria della conoscenza" che l'attuale condizione della specie umana riflette nel suo complesso la condizione delle specie animali più deboli e indifese, la cui prole nasce in gran numero, ma solo una modesta percentuale sopravvive. Attualmente, la prole umana che nasce in condizioni di miseria relativa o assoluta rappresenta quasi il 90% della riproduzione della specie.
Per una cieca legge sociale, già individuata da Marx, in vaste regioni del globo dove la produzione capitalistica è arretrata e il proletario lavora come uno schiavo e si nutre come un miserabile, aumenta la prole malnutrita soggetta a un alto tasso di mortalità; in altre regioni più ristrette dove la produzione capitalistica e le condizioni di vita sono relativamente vantaggiose per la gran parte della popolazione, diminuisce la prole, ben nutrita e soggetta a un basso tasso di mortalità.
* O, parzialmente, anche per i suoi sottosettori come, ad esempio, la classe operaia manufatturiera, la classe operaia del commercio, ecc.
* O, parzialmente, anche per i suoi sottosettori come, ad esempio, la classe operaia manufatturiera, la classe operaia del commercio, ecc.
Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" volume 4° (2003-2005)
Le classi sociali sono delle strutture oggettivamente motivate e determinate dalla base economica e dai rapporti complessivi storico-sociali, nei quali gli individui, volenti o nolenti, si generano e ricadono. Il criterio fondamentale che distingue le classi è il loro posto nella produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi della produzione. L’appropriazione di questa o quella parte dei mezzi sociali di produzione e la loro conversione in economia privata per la vendita del prodotto costituisce la caratteristica fondamentale che distingue le due grandi classi della società moderna: la borghesia, classe proprietaria dei mezzi produzione e detentrice del capitale, e il proletariato, privo di mezzi e costretto a vendersi come forza-lavoro.
RispondiEliminaI proletari, quantunque possano anche sentirsi soggettivamente di non appartenere a tale classe, di appartenere invece a una non meglio definita “classe media”, restano incatenati a una sfera di attività determinata ed esclusiva che è loro imposta quasi “naturalmente” e dalla quale non possono sfuggire se non vogliono perdere i mezzi per vivere.
Pertanto, il prius su cui s’innesta la divisione in classi è dato dalla divisione sociale del lavoro e non, meramente da reddito, status, frequentazioni, rapporti di vicinanza o lontananza dai partiti e dal potere, posto di lavoro e luogo di abitazione. Anche la coscienza soggettiva, in generale, è soggetta alla stessa dinamica, ossia all’antagonismo tra la ricchezza che non lavora e la condizione di chi per vivere deve lavorare, dunque a un antagonismo del sapere.
Non rispondo adesso al tuo commento perché il mio discorso si svilupperà nei successivi due post, che in realtà sono due paragrafi del mio quarto volume sulla storia. La mia dialettica caso-necessità è stata sviluppata in diversi volumi "impubblicabili". Perciò, la maggior parte dei miei paragrafi è stata "pubblicata" in forma di post.
RispondiElimina