sabato 15 luglio 2017

VI] Alcune osservazioni critiche di un fisico-matematico

Nei capitoli 15 e 16 scritti da H.M. Georgi*, troviamo alcune riflessioni molto importanti sul contrasto esistente tra le pretese dei modelli matematici e le esigenze della fisica sperimentale. In particolare, nel capitolo 15, egli ricorda che per "vedere" distanze piccole ci vogliono energie elevate, e per "vedere" nel sempre più piccolo ci vogliono acceleratori che producano energie sempre più elevate. Quindi fornisce una tabella nella quale determinate energie e determinate distanze sono associate ai fenomeni fisici osservabili o che si ritengono osservabili.

"ENERGIA    DISTANZA   FENOMENI FISICI ASSOCIATI

GeV                  cm

   19                       -33
10                      10                   gravità quantistica

   14                       -28
10                      10                   GUT
    

    12                      -16
 10                     10                   particelle W e Z e quark

    -1                      -13
10                      10                   nuclei

   -6                       -8
10                      10                   atomi e molecole"



Ora, sebbene Georgi non arrivi fino a riconoscere che le energie prodotte dagli acceleratori distruggono letteralmente ciò che vogliamo "vedere", egli ammette che con energie corrispondenti, ad esempio, a 10-8cm, 10-12cm, 10-13cm, si può osservare, rispettivamente, l'uscita degli elettroni dall'atomo, l'uscita del nucleo dall'atomo, l'uscita dei protoni e dei neutroni dal nucleo; ma quando si passa a 10-16 cm c'è un alt: i quark non escono dai protoni e dai neutroni.

Non potendo la fisica sperimentale fornire elementi empirici tali da permettere soluzioni sperimentali, che cosa hanno fatto i fisici teorici? Si sono rivolti alla matematica pura: così, dice Georgi, i quark sono stati studiati soltanto speculativamente con una particolare matematica: la "teoria dei gruppi". A questo punto, forse volutamente o forse inconsapevolmente, egli svela la natura di questa matematica citando Eddington che dichiarò: "Ci serve una matematica, nella quale le operazioni siano incognite come le proprietà su cui operano, e tale che un super-matematico non sappia che cosa stia facendo nell'eseguirle. Questa matematica è la teoria dei gruppi".

Si tratta, come si vede, di una teoria assolutamente formale e astratta, senza alcun rapporto con la realtà. Una simile matematica, qualunque modello produca, sarà per forza di cose una fittizia convenzione. Di conseguenza, essa, fin dall'inizio, sostituisce la sperimentazione non solo perché questa è insufficiente, ma anche perché può farne a meno.

Nel capitolo 16, Georgi, pur sostenendo che l'argomento della teoria della grande unificazione, GUT, è molto interessante, nonostante l'insuccesso degli esperimenti che dovevano rivelare il decadimento del protone, è costretto a deplorare "ciò che le GUT stanno facendo oggi". La sua critica parte da alcune precisazioni metodologiche. Il principio fondamentale "è che la sostanza della fisica non deve dipendere dalle unità di misura con le quali le grandezze vengono confrontate. Di conseguenza, già le dimensioni stesse di una grandezza possono dirci molto sulla fisica".

Per esempio: "La fisica classica, quella cioè fondata da Newton, è costruita sul senso comune; lo quantifica e lo estende in un linguaggio matematico preciso, fino a spiegare in maniera particolareggiata fenomeni molto diversi fra loro quali la caduta di una mela e il moto dei pianeti". Sebbene questa sia un'osservazione superficiale che non tiene presente la differenza specifica determinata dalle "dimensioni stesse di una grandezza", la conclusione che egli trae è condivisibile. Infatti, sostiene che, se la fisica classica non relativistica è un'approssimazione che funziona bene per velocità molto minori della velocità della luce, c, e momenti angolari molto maggiori della costante di Plank, h, non si può essere d'accordo con chi dice che la meccanica newtoniana è stata sostituita dalla meccanica quantistica e da quella relativistica.

In sostanza, per Georgi, "è del tutto inutile, quando studiamo fenomeni che comportano velocità molto minori di c e momenti angolari molto maggiori di h, vederli come casi particolari di una fisica valida per qualsiasi velocità e per qualunque momento angolare. Di regola, infatti, il percorso logico avviene nell'altro senso. Il principio di corrispondenza è l'enunciato secondo il quale la descrizione quantistica del mondo deve ridursi, nel dominio appropriato, alla più semplice descrizione classica. Per piccole velocità e grandi momenti angolari la relatività e la meccanica quantistica non ci servono".

Era ora che qualcuno lo dicesse, rintuzzando la presunzione della meccanica quantistica d'essere la disciplina privilegiata e fondamentale fra tutti i rami della fisica. Georgi sottolinea il fatto che "I fisici delle particelle, come me, tendono a dimenticare tutto ciò, perché sono interessati quasi esclusivamente a velocità prossime a c e anche a misure angolari molto maggiori di h. Non abbiamo bisogno di confini stabiliti dalle due costanti fondamentali, perché siamo sempre all'interno di essi; e non facciamo allora che porle uguali a uno e a misurare tutte le quantità dimensionali in unità di massa o altro. Quando poniamo c uguale a uno, per esempio, un secondo può essere il tempo di un secondo o la distanza percorsa dalla luce in un secondo. Quando poniamo h uguale a uno, un centimetro può essere la distanza di un centimetro o l'inverso della quantità di moto necessaria per dar luogo a un momento angolare h alla distanza di un centimetro dall'asse di rotazione. Possiamo dunque misurare energie e quantità di moto in unità di massa, tempo e distanza in unità dell'inverso di una massa, la forza in unità del quadrato di una massa, e così via. L'abitudine è ormai così radicata che abbiamo la tendenza a usare queste unità in grandezza interscambiabili".

Ad esempio, se si prende la massa M di una particella la si può convertire in una distanza 1/M della lunghezza di Compton della particella, che rappresenta la scala nella quale si possono vedere le sue proprietà quantistiche. Così la lunghezza di Compton di un elettrone è 4x10-11. Ciò mostra "un aspetto fondamentale del mondo quantistico. Più una particella è pesante, cioè maggiore è la sua energia, minore è la scala alla quale compaiono gli effetti quantistici". Senza entrare nei particolari complessi, ci sono però alcune affermazioni di Georgi facilmente comprensibili, e che sono condivisibili, come la seguente: "Dopo tutto "un punto nello spazio tempo" non è nulla di fisico, è un'astrazione matematica: l'infinitamente piccolo. Per conoscere veramente in che modo le particelle interagiscono in un singolo punto dovremmo capire la fisica fino a distanze arbitrariamente piccole. Ma ciò è un assurdo! Solo un teorico delle particelle potrebbe avere l'impudenza di proporre una cosa del genere!"

Siamo perfettamente d'accordo! Perciò sarebbe stato interessante se egli avesse fatto esempi, riguardo alle particelle alla distanza Lp oppure riguardo alla "singolarità" del buco nero. Perché critiche del genere, che escano dalla mente di un fisico delle particelle, hanno una rilevanza fondamentale. Perciò apprezzabili anche queste sue conclusioni: "Sono particolarmente sospettoso riguardo ai tentativi di ipotizzare la struttura della fisica al di sotto della distanza di Planck". Poi, prende in giro chi si è lasciato affascinare dalle fantasie attorno alla realtà di più di quattro dimensioni.

Questo fisico, senza alcun dubbio più intelligente, riflessivo e realistico della maggior parte dei suoi colleghi, è giunto alla consapevolezza che le teorie fisiche "effettive", ossia realistiche, devono stare dietro agli esperimenti degli acceleratori; perciò è sbagliato teorizzare a distanze troppo piccole, ossia per livelli di energia che gli acceleratori sono molto lontani dal raggiungere. Insomma, sono le teorie che devono adattarsi agli esperimenti, non viceversa.

"Ma se ci lasciamo ammaliare dalle sirene che cantano dell'unificazione "ultima" a distanze così piccole che gli amici sperimentali non sono in grado di aiutarci -egli avverte- allora siamo nei guai, perché perdiamo quel processo fondamentale di eliminazione delle idee irrilevanti che distingue la fisica da tante altre attività umane meno entusiasmanti". Con queste parole, Georgi ha messo il dito nella piaga della matematica-fisica, ma è stato fin troppo generoso, lo ha solo posto, non affondato come fa l'autodidatta essendo giunto alla conclusione che è ormai da molto tempo che la Fisica, dominata dalla matematica, ha perduto la capacità di selezionare le idee valide da quelle irrilevanti, da quelle sbagliate e, infine, da quelle decisamente assurde.

Non è un caso che l'ultimo passo di Georgi sia diretto a stroncare la superbia dei matematici puri: "Se i fisici [teorici] le [alla natura] si avvicineranno con il dovuto rispetto, riconoscendo di essere dei parassiti che vivono del lavoro dei loro colleghi sperimentali, il nostro campo rimarrà prospero e il buona salute". Anche qui egli stato troppo generoso verso la sua categoria. Come vedremo nel prossimo paragrafo, la maggior parte dei fisici si è lasciata affascinare dalla teoria-M, e ormai si pubblicano, soprattutto, libri che favoleggiano sulle 10 dimensioni e sulle stringhe. **


* "La nuova fisica" di Paul Davies , 1996

**  Ma su questo aspetto il blog contiene già molto materiale. Perciò, rinvio tutto a tempi migliori.

P.S. Con questo  post l'autore del Blog si mette a riposo, anche per dare al proprio sistema cardiovascolare il tempo di rimettersi in sesto.

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