lunedì 10 luglio 2017

IlI] Il delirio cosmico della relatività generale

Nella versione di Eddington epigono di Einstein

"Credo che l'ordine degli eventi della natura sia un indissolubile ordine quadrimensionale": questo atto di fede assoluta viene pronunciato dal fisico relativista che Eddington, scimmiottando "Il dialogo sopra i due massimi sistemi" di Galileo, presenta come protagonista del dialogo con un matematico e un fisico classico. Forse non era nelle intenzioni dell'autore, ma il risultato è stato che il fisico relativista ha finito con l'indossare i panni di Simplicio, non quelli di Salviati.

L'ingenuità del relativista è più arrogante di quella di Simplicio, perché, se quest'ultimo pretendeva soltanto di credere a ciò che osservava, confidando sulla induzione, il primo pretende che i suoi interlocutori provino le loro certezze soltanto sulla base del metodo induttivo, così che, garantito dal loro fallimento -perché l'induzione da sola non permette di provare niente- egli può permettersi di dubitare, persino, che in un triangolo un lato sia sempre inferiore alla somma degli altri due. E alle proteste del matematico, può rispondere spudoratamente che bisognava dirlo prima che "una lunghezza deve essere misurata con un regolo rigido"!

La finta ingenuità del relativista consiste in questo, che il suo ragionamento utilizza il metodo induttivo in senso negativo, nel senso, cioè, di negare tutto ciò che esso non può provare (praticamente tutto). Con questo grimaldello il relativista diventa arrogante, eliminando ogni relativismo e imponendo la fede assoluta nell'ordine quadrimensionale.

Forse siamo stati troppo indulgenti a pensare che Einstein abbia potuto evitare la pazzia grazie alla geometria di Riemann. Avremmo dovuto dire che, applicandola nella forma del continuo quadrimensionale curvato dalla gravitazione, egli è andato in paranoia e ha mandato in paranoia generazioni di fisici, perché, se ci si concede la battutta, il delirio di grandezza è diventato delirio cosmico. Per comprendere il delirio della relatività generale, può essere utile leggere "Spazio, tempo e gravitazione"* di A.S. Eddington, del quale abbiamo appena citato l'atto di fede del relativista, tratto dal prologo.

L'autore parte da un'idea che rappresenta una generalizzazione induttiva del fenomeno osservato dai fisici quantistici. Si tratta del "disturbo" provocato dai fotoni sull'osservazione del comportamento delle particelle, che divenne di moda anche nella psicologia sociale, nella forma dell'"osservatore che disturba l'oggetto osservato". "Vi sono due entità in ogni osservazione: ciò che viene osservato e l'osservatore. Ciò che vediamo dipende non solo dall'oggetto che osserviamo, ma anche dalle circostanze in cui ci troviamo: dalla posizione, dal moto, o da più personali idiosincrasie".

Oggi questa argomentazione non è più di moda, perciò viene trascurata nelle versioni ufficiali della teoria della relatività. Del resto, non c'è relativista che spieghi questa teoria allo stesso modo. Comunque, il problema dell'osservatore che disturba, quando si considera il cosmo, viene completamente a cadere. Il "disturbo" in realtà è un altro: si tratta della questione dei sistemi di riferimento. Einstein ha eliminato il "disturbo", eliminando ogni specifico sistema di riferimento e, quindi, ogni specifico osservatore.

Possiamo trovare la conferma di questo risultato anche nella esposizione di Eddington: "Per ottenere dalla nostra conoscenza uno schema comune occorre per prima cosa eliminare i vari punti di vista personali e ridursi a un osservatore campione ben specificato. La rappresentazione del mondo così ottenuta è, ciò nondimeno, relativa. Noi non abbiamo eliminato la parte dell'osservatore; l'abbiamo soltanto fissata in modo definito. Ottenere una concezione del mondo dal punto di vista di nessun osservatore in particolare è un compito difficile". "Si vede chiaramente che non siamo equipaggiati nei nostri sensi per poterci formare una visione impersonale del mondo".

Insomma, l'obiettivo sarebbe quello di eliminare la parte dell'osservatore, ma per ottenere che cosa? Eddington continua: poiché "l'osservatore e il mondo esterno" "sono indissolubilmente uniti" "nelle nostre descrizioni ordinaria o scientifica dei fenomeni naturali", "tutti i termini familiari della fisica -lunghezza, durata, movimento, forza, massa, energia, ecc.- si riferiscono principalmente a questa conoscenza relativa del mondo; e resta da vedere se alcuni fra essi possono venir conservati in una descrizione del mondo che non sia relativa a qualche osservatore particolare".

La preoccupazione del fisico relativista, nelle parole di Eddington, riguarda l'eliminazione dei vari punti di vista personali dall'osservazione per ottenere uno schema comune a tutti. E' questo un tentativo metafisico di risolvere il soggettivismo dell'osservazione con un preteso oggettivismo garantito dallo schema comune. Fino ad allora il soggettivismo dell'osservazione, ossia il punto di vista personale dell'osservatore, era fissato come "osservatore assoluto". Ora, l'obiettivo del relativista è una descrizione del mondo che non dipenda da alcun osservatore, cioè che non sia più relativa a questo o quell'osservatore.

Scrive Eddington: "Il nostro primo compito è quello di fare una descrizione del mondo che sia indipendente dal moto dell'osservatore". L'obiettivo è quello di porre tutti gli osservatori sullo stesso piano, mentre fino ad allora si era privilegiato "l'osservatore assoluto" che stabiliva durata e lunghezza. Ma per il relativista: "lunghezza e durata non sono proprietà intrinseche del mondo esterno; si tratta di relazioni fra gli oggetti del mondo esterno e qualche particolare osservatore". "Alla natura non interessano queste partizioni spaziali e temporali arbitrarie; essa possiede, come vedremo, una sua geometria di tipo diverso".

Insomma, per Eddington esiste un mondo esterno naturale che non può essere conosciuto mediante proprietà estrinseche quali lunghezza e durata. "Per quanto lunghezza e durata non abbiano alcuna contropartita esatta nel mondo esterno, è chiaro che esiste un qualche ordinamento degli oggetti e negli eventi al di fuori di noi per descrivere il quale dobbiamo trovare termini più appropriati".

Se l'obiettivo del relativista Eddington fosse stato, realmente, quello di conoscere l'ordinamento intrinseco del mondo al di fuori di noi, non potremmo che essere d'accordo. Se, ancora, i concetti di lunghezza e durata fossero inadeguati a rappresentare l'ordine necessario del mondo, saremmo d'accordo nel cercare "termini" più appropriati. Ma per il relativista l'inadeguatezza consiste soltanto nella relatività di questi concetti.

Sembra una stranezza, ma il relativista detesta la relatività e aspira all'assoluto. Infatti, Eddington afferma: "Mentre la lunghezza e la durata sono relative, l'"estensione" di cui esse sono le componenti ha un significato assoluto in natura, indipendentemente dalla particolare scomposizione in spazio e tempo adottata dall'osservatore particolare".

Che cosa c'è di più stravagante, dal punto di vista logico, che concepire estrinseci e arbitrari due termini in quanto relativi a un osservatore assoluto, e poi considerarli come componenti di un terzo termine che avrebbe, invece, un significato assoluto, in quanto indipendente da un particolare osservatore? L'assoluto (l'estensione) risulterebbe dalla combinazione di due componenti (lunghezza e durata) relative. Questa assurdità è stata ottenuta astraendo da qualsiasi osservatore, ossia da qualsiasi sistema di riferimento.

Eravamo giunti alla conclusione che il moto reale (cosiddetto assoluto) può essere conosciuto soltanto relativamente a un sistema di riferimento spaziale, ma non a un qualsiasi sistema di riferimento, bensì a quello naturale per il moto in esame. Il relativista capovolge tutto: rifiuta il moto reale concepito come assoluto, lo considera come moto relativo fittizio; infine, concepisce come assoluto ciò che è indipendente da ogni sistema di riferimento. In questo modo può concepire 1) l'assurdità dell'"estensione" assoluta, intesa come combinazione di lunghezza e durata, e 2) l'assurdità dello "spazio-tempo" assoluto come combinazione di spazio e tempo.

Secondo la nuova teoria, afferma Eddington, non esistono sistemi di riferimento "giusti" o "sbagliati", non c'è differenza tra loro. Perciò, "tutti i sistemi possono essere considerati sullo stesso piano ed ugualmente giusti. In tal caso possiamo avere una completa relatività dei fenomeni naturali". Il paradosso di questa "completa relatività" è che essa coincide con l'assoluto. Se relativo e assoluto sono i due poli di un concetto polare dialettico, il pensiero metafisico, separandoli e considerandoli come opposti diametrali, non si rende conto che se esasperati, i poli opposti si rovesciano l'uno nell'altro: così una pretesa completa relatività altro non è che un assoluto.

Senza la pur minima considerazione delle contraddizioni dialettiche, il metafisico assoluto Eddington può scrivere: "E' necessario immergersi in questo mondo assoluto per cercare la verità sulla natura; l'obiettivo del fisico, però, è sempre quello di ottenere una conoscenza che possa essere applicata all'aspetto relativo e familiare del mondo. Il mondo assoluto è di natura così diversa che il mondo relativo a cui noi siamo abituati sembra quasi un sogno".

La presunzione del relativista assoluto non ha eguali, sconfinando nel delirio di grandezza: egli ha scoperto il vero mondo assoluto, la cui natura è così diversa che il mondo abituale sembra un sogno. Ma questo mondo assoluto non è il mondo esterno e indipendente dalla coscienza, è lo "spazio-tempo quadrimensionale" che la coscienza delirante del relativista assoluto ha concepito non solo contro la logica dialettica, ma persino contro il senso comune.

* Pubblicato nel 1997 da Bollati Boringhieri


Tratto da "La dialettica Caso-necessità in fisica" Volume secondo (1993-2002)

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