lunedì 24 luglio 2017

I limiti naturali della "clonazione"

Con il seguente, breve, paragrafo concludevo il saggio pubblicato nell'estate del 2009 con il titolo di "Chi ha frainteso Darwin?" Vale la pena di riproporlo nel blog perché può spiegare, in parte, il motivo per cui, da tempo, la clonazione sembra che sia sparita dalla circolazione.

"Ciò che abbiamo stabilito nel terzo volume (Biologia) sulla clonazione è servito a farci un'idea dell'assurda pretesa umana di poter clonare animali superiori e persino esseri umani, secondo un progetto voluto, finalizzato e preordinato. Sembra proprio che l'uomo, dopo aver per millenni proiettato se stesso in cielo, ingigantendo le proprie attitudini per attribuirle a divinità superiori, se ne voglia oggi riappropriare immaginando di poter fare tutto grazie ai propri progressi tecnologici. Clonazione, prolungamento della vita in eterno, ecc.: ecco come l'uomo sembra volersi riappropriare delle doti divine per poter affermare finalmente: io sono dio! Peccato che la natura ogni volta gli ricordi quanto dispendio le occorra per poter fare qualcosa in campo biologico.

Ora, per chiarire i limiti naturali delle staminali, è bene ricordare i limiti naturali della clonazione di organismi superiori. Milano e Palmerini* ricordano che la pecora Dolly è stata soppressa nel 2003, a poco più di sei anni d'età, perchè malata di artrite e colpita da una grave forma di infezione polmonare; ricordano inoltre che, in quell'esperimento di clonazione, la maggior parte degli embrioni ottenuti presentarono anomalie tali da impedirne la sopravvivenza. Come sappiamo, solo da un embrione su 277 è nata Dolly, l'organismo meno anormale.

Nessuno, allora, si permise di sottolineare che ci pensa già la natura a produrre anomalie e mostruosità; perciò non c'era bisogno che l'uomo imitasse il dispendio naturale. Ma, ancora oggi, nonostante che la clonazione di Dolly abbia messo in evidenza i limiti di questa pratica, il suo dispendio, le anomalie, ecc., esistono ancora "sétte" come quella dei Raeliani che promettono miracolose clonazioni, in genere, a ricchi uomini d'affari, celebrità, ecc. che credono di poter risolvere tutto con i soldi.

Oggi, con la stessa stupida incoscienza, c'è chi si affida alle promesse delle cure con le staminali. Ad esempio, la clonazione di embrioni per ottenere cellule staminali embrionali. Nel 2004, ad esempio, ricercatori coreani sono riusciti a produrre un simile embrione.

Altro esempio, l'ACT, azienda di biotecnologie, che si occupava di clonazione animale, è passata alla clonazione di embrioni umani. In essa hanno operato Cibelli, Lange e West (il primo si è poi ritirato), i quali hanno suggerito per il loro lavoro il termine più digeribile di "trapianto del nucleo". Per il suo primo esperimento di clonazione di embrioni, l'ACT ha utilizzato 71 cellule uovo fornite da 7 donatrici pagate 4000 $ a testa per il disturbo, Sembra che solo 19 su 71 risultarono utili per la clonazione di un embrione, mentre presso i coreani quelle utili furono 176 per 242. Insomma, il risultato sarebbe stato molto scadente.

Angelo Vescovi**, sulla clonazione, conferma le nostre ipotesi (3° volume, Biologia), compresa quella del dispendio naturale, anche se non lo vede direttamente come il principale contrassegno della evoluzione. Comunque, senza tanti giri di parole, egli sostiene che ci vogliono decine o centinaia di ovuli, a seconda della specie, "per ottenere un singolo animale vivo alla nascita". La maggior parte degli zigoti clonati, che iniziano il proprio sviluppo embroniale, si bloccano a diversi stadi. Ovviamente, nella clonazione degli embrioni, la faccenda si complica. Citando l'esperimento attuato nella Corea del Sud, Vescovi dice che solo 1 embrione su 200 si è sviluppato al punto da essere sacrificabile per estrarne staminali. E in questo caso il nucleo "adulto" veniva da una cellula adulta della stessa donna che aveva donato l'ovulo. Se si trattasse di persone diverse, la percentuale di successo sarebbe ancora più bassa.

L'autore alla fine mostra preoccupazione nei confronti di queste pratiche di produzione di embrioni umani, che giudica immorali e mercificate, e dice: "Da "staminalista", non vedo alcun motivo per creare embrioni da ricerca e nemmeno da terapia". Così, egli critica quei "cattedratici" che sostengono la mancanza di alternativa alle staminali embrionali. Per lui replicare staminali sarebbe come "sfornare milioni di tegole e mattoni che nessuno è capace di usare per riparare un tetto o un muro".

Insomma, non si vede l'utilità di replicare staminali soprattutto embrionali, quando non si sa che cosa farne, quando non si è in grado di curare le malattie degenerative, che rappresentano lo scopo per il quale sono state poste all'attenzione non solo della pratica medica ma anche della pubblica opinione.

Per concludere, c'è da aggiungere quanto segue: la ricerca sulle staminali è troppo dominata da un empirismo meccanicistico, finalizzato alla pratica clinica, ed è priva di una valida teoria. Nessuno  sembra interessato ad approfondire la conoscenza del complesso processo di differenziazione cellulare, che racchiude in sé molte problematiche, tra le quali, ad esempio, l'origine degli organismi pluricoloniali, chiamati non correttamente organismi pluricellulari. Insomma, è ora di cambiar metodo e strada".

Non ho a disposizione  nuovo materiale sull'argomento che possa confermare le mie tesi espresse in questo paragrafo, ma il fatto stesso che dell'argomento clonazione non si senta più parlare è già una sufficiente conferma, dopo una dozzina di anni.


* Gianna Milano e Chiara Palmerini, "La rivoluzione delle cellule staminali", 2005.

** Angelo Vescovi, "La cura che viene da dentro", 2005.

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