giovedì 27 luglio 2017

Gli equivoci dell'evoluzione biologica guidata dalla selezione naturale

Un altro importante biologo, il genetista Theodosius Dobzhansky, è intervenuto nel dibattito teorico sulla determinazione dell'ordine e della necessità biologica, sollevato dalla constatazione che i geni mutano casualmente. In ordine di tempo, Dobzhansky ha anticipato i contributi di Monod, Jacob e Luria. Con il suo libro, "L'evoluzione della specie umana", uscito nel 1962, egli è stato tra i primi a teorizzare attorno all'evoluzione biologica, alla selezione naturale e al rapporto caso-necessità in biologia.

Sebbene le sue riflessioni abbiano avuto come oggetto specifico l'evoluzione dell'uomo, i risultati che ha ritenuto d'aver raggiunto non possono essere ascritti alla sola specie umana. Il suo intendimento universale è, del resto, espresso chiaramente nella citazione dell'opera di Teilhard de Chardin come "un tentativo incoraggiante di tratteggiare una filosofia ottimistica dell'evoluzione, biologica e umana".

Punto di partenza per Dobzhansky è l'osservazione che è "solo dovuto al caso che un figlio erediti certi o certi altri geni dai genitori; ed è un evento addirittura fortuito che ne erediti da antenati a parecchie generazioni di distanza". "Quali geni saranno trasmessi parecchie volte e quali mai devesi, a questo punto, ascrivere al caso, e al caso soltanto".

Se il solo caso è responsabile della distribuzione dei geni, sorge una contraddizione: come si determina la necessità? La scienza ha come oggetto la necessità, ovvero, la regolarità e la costanza dei processi naturali. Dobzhansky intravede la contraddizione, che esprime con l'aiuto del filosofo dell'evoluzione creativa. "Bergson ha formulato quest'idea brevemente: "La scienza può operare soltanto su ciò che si suppone debba ripetersi". Io confesso di avere qualche simpatia per tale opinione; debbo però far notare che la biologia non solo riconosce l'assoluta individualità e unicità di ogni persona e di ogni essere vivente, ma fornisce anche una spiegazione razionale di questa unicità".

La spiegazione è che l'unicità individuale è il risultato della distribuzione casuale dei geni mediante la riproduzione sessuata. "L'eredità è stata perciò definita "il gioco d'azzardo del destino"." Allora, se l'autore non si fosse limitato a simpatizzare, ma avesse approfondito le conseguenze della propria affermazione, sarebbe giunto al seguente risultato: l'unicità individuale, in quanto è puramente casuale, non può essere oggetto della scienza che ricerca la necessità di ciò che si ripete con regolarità e costanza. In questo modo avrebbe potuto stabilire un primo punto fermo: la sfera dell'individuo è la sfera del caso! Perciò, l'individuo è soggetto ai capricci del caso, e proprio per questo non può essere oggetto della necessità scientifica*.

Invece, Dobzhansky comincia con un distinguo: "Si dice che le mutazioni sono casuali e disordinate: ma il significato di tale affermazione va ben inteso. Le mutazioni avvengono indipendentemente dal fatto di essere utili o meno all'organismo in cui si producono, sia nel momento in cui si producono, sia in qualsiasi altro". Dunque le mutazioni sono casuali per l'organismo, ma in se stesse che cosa sono? "Il procedere dell'evoluzione è diretto dalla selezione naturale, non dall'indirizzo delle mutazioni: e quale sorta di mutazioni siano o non siano possibili nella nostra specie è determinato (sic!) dalla composizione storicamente stabilita dal nostro genotipo. Per cui i cambiamenti chimici che intervengono nella mutazione di un gene non sono accidentali, ma lo sono i loro effetti sull'adattamento dell'organismo".

Dunque, in sé stesse, le mutazioni non sarebbero più casuali, quindi sarebbero determinate o, come si usa dire oggigiorno, deterministiche. Per affermare questo, Dobzhansky deve però fare appello ai cambiamenti chimici, cadendo nell'errore riduzionistico: ossia nella pretesa di trovare la necessità di ciò che risulta casuale in biologia in ciò che risulta necessario in chimica. Così, la singola mutazione, che per l'organismo è biologicamente casuale, per i rapporti tra le molecole è chimicamente necessaria. Questo dato di fatto non cambia, però, l'oggettiva casualità della mutazione in se stessa, dal punto di vista biologico.

Quando il riduzionismo si appella alla chimica per trovare la necessità biologica non fa che barare: siamo su due piani diversi, o, per meglio dire, ci troviamo entro due contenitori diversi. E, dicendo questo, facciamo un'eccessiva semplificazione per necessità didattica. In realtà la situazione è molto più complessa: come vedremo, analizzando l'evoluzione delle cellule e l'evoluzione dei genomi, alla ricerca della necessità, dovremo tenere presente che, passando da un contenitore all'altro, muta il rapporto caso-necessità.

La vera difficoltà delle scienze della natura deriva proprio dal fatto che, nel rapporto polare caso-necessità, le parti si scambiano continuamente a seconda del contenitore che consideriamo come oggetto complessivo d'indagine, ovvero a seconda del rapporto singolo-complesso che prendiamo in esame. Ad esempio, in biologia molecolare, quando si prende come oggetto d'indagine il genoma, il singolo nucleotide è casuale. Così la mutazione di un nucleotide è casuale. Mutazioni combinate di singoli nucleotidi possono rovesciarsi nella cieca necessità di un danno nel complesso genomico (oppure possono anche essere neutralizzate da enzimi).

Ma questo danno del genoma, quando passiamo a livello superiore, quello cellulare, è puramente casuale. Così non è detto che esso determini la degenerazione della cellula, poiché numerosi sono i processsi interni della cellula che possono neutralizzare il danno a livello della sintesi delle proteine. E ancora, passando a livello degli organi, la stessa degenerazione di una singola cellula o di un gruppo di cellule è un puro caso che può rovesciarsi nella cieca necessità di un tumore, ma può anche essere neutralizzata da condizioni ambientali interne, come, ad esempio, l'azione del sistema immunitario che può eliminare le cellule degenerate.

Ciò che la biologia non ha ancora compreso è che tra le specie e le macromolecole della vita, rispettivamente, oggetti di studio della biologia generale e della biologia molecolare, c'è di mezzo una scala di contenitori: la specie che contiene gli organismi, l'organismo che contiene gli organi, l'organo che contiene le cellule, la cellula che contiene le macrolecole (acidi nucleici o proteine), la macromolecola che contiene molecole fondamentali (nucleotidi o aminoacidi).

Di fronte a questo universo di complessità affermare: "Non è né un caso né conseguenza solo di casuali condizioni ambientali, se la vita di un individuo termina per malattia caridiovascolare, anziché per nefrite, per cancro, per diabete o per una generale debilitazione che lo espone a un'infezione che l'organismo avrebbe respinto in età giovanile", significa solo confusione teorica, perché infiniti sono i nessi che portano un dato individuo a morire di una data malattia in un dato periodo di tempo.

L'incomprensione della dialettica singolo-complesso, caso-necessità, in relazione alla scala dei contenitori-contenuti, ha prodotto come conseguenza la continua oscillazione tra determinismo e indeterminismo, ossia la confusione su ciò e su come si debba intendere per casuale e necessario. Non basterebbe un volume di diecimila pagine per riassumere i sottili distinguo che ciascun biologo è costretto a fare per ingabbiare il complesso e irrisolto rapporto di caso e necessità. Quindi, si sono formate anche diverse scuole, oltre a una miriade di contributi personali.

Affrontando Dobzansky, e in particolare la sua interpretazione della teoria di Darwin, ci si trova di fronte a contraddizioni paradossali, per spiegare le quali occorre dare uno sguardo alla scuola cui egli fà riferimento: quella che ha preso il nome di "teoria sintetica dell'evoluzione", per inquadrare la quale, nel prossimo paragrafo, utilizzeremo un vecchio articolo di E. Mayr, un altro rappresentante di questa scuola che abbiamo già incontrato. Il paradosso è, come vedremo, l'altalena teorica tra considerazioni completamente fuori luogo e considerazioni del tutto accettabili, però, inserite in un quadro teorico troppo semplificato per poter rappresentare la soluzione della complessa dialettica della vita.

Ma vediamo: secondo Dobzhansky "Uno dei passi retorici di On the Origin of Species, è quello in cui Darwin descrive così la selezione naturale: -Si può dire che la selezione naturale vada scrutando, ogni giorno ed ogni ora, in tutto il mondo, ogni variazione, anche la più lieve, respingendo ciò che è cattivo, preservando e riunendo tutto ciò che è buono: silenziosamente e inesorabilmente lavorando, dovunque e in qualunque momento, al miglioramento di ogni essere organico, in rapporto  alle sue condizioni di vita organica e inorganica-"

Egli giudica retorico questo passo nel quale Darwin compie il suo principale errore: ritenere che la selezione naturale operi a beneficio di ogni singolo organismo. Ma, a sua volta, compie una serie di errori quando scrive: "La selezione naturale, invece, è un processo meccanico, automatico, impersonale. La sua necessità ferrea fu  esposta chiaramente dallo stesso Darwin in un saggio che si può ridurre in poche frasi (sic!). Ogni organismo ha bisogno di cibo e di altre risorse per vivere; le risorse sono sempre limitate: perciò è limitato è anche il numero di individui di qualsiasi specie. Ogni specie è suscettibile di aumento in progressione geometrica: prima o poi raggiungerà lo stadio in cui solo una parte della progenie può sopravvivere. La probabilità statistica  di sopravvivenza o di eliminazione dipenderà, a prescindere da eventi accidentali, dal grado di adattabilità degli individui e dei gruppi nell'ambiente in cui vivono".

Dobzhansky, nella sua interpretazione meccanicistica del pensiero di Darwin, prima lo semplifica in maniera eccessiva, riducendolo a "poche frasi" -ossia alla sola teoria della popolazione di Malthus, per la quale la "progressione geometrica" e la mancanza di cibo dovrebbero spiegare l'eliminazione della progenie e la riduzione della popolazione- poi gli attribuisce la propria versione: la sopravvivenza dipende dall'adattamento all'ambiente di individui e di gruppi.

In questo modo 1) non considera che la selezione naturale è cieca perché cieca è la necessità fondata sul caso; se si trattasse, invece, di un meccanismo diretto da leggi ferre non sarebbe affatto cieca, ma previdente; 2) non comprende la differenza che passa tra la probabilità di sopravvivenza e di eliminazione, che è soggetta al caso relativo ai singoli individui, e la frequenza statistica di sopravvivenza e di eliminazione che è soggetta alla necessità relativa ai complessi di individui; 3) non sa  che queste frequenze statistiche non solo non possono prescindere da eventi accidentali, ma, anzi, sono fondate proprio sugli accidenti casuali relativi alla vita dei singoli individui; 4) infine, non capisce che la sopravvivenza per adattamento all'ambiente è una tautologia.

Ma poi, contraddicendosi, arriva molto vicino alla soluzione dialettica, quando afferma: "La selezione naturale, tuttavia, non è uno spirito benigno che guida l'evoluzione verso il successo sicuro. Un alto grado di adattamento di una popolazione viene spesso raggiunto a spese di un certo numero di individui mal adattati, di salute malferma e del tutto incapaci di vivere (...) A mò di paradosso, possiamo dire che un alto grado di adattamento darwiniano può persino insorgere a causa di una sorta di sovvertimento dei processi riproduttivi dell'organismo, che potrebbe portare all'estinzione della specie".

Come si vede, qui, l'adattamento è solo un risultato, spesso paradossale, e non più di singoli individui, ma di intere popolazioni. L'oggetto della selezione naturale è finalmente la popolazione e la popolazione non può essere altro che quel complesso di individui che sopravvivono a spese degli individui che sono eliminati. E come avviene questa "selezione"?

Paradossalmente, ancora una volta contraddicendosi, Dobzhansky coglie nel segno, fornendo una spiegazione fondata sul dispendio e sulla rarità. Partendo dalla premessa che "le mutazioni utili sono un ago in un pagliaio", mentre la maggior parte sono deleterie, egli sostiene che la selezione naturale può essere assimilata all'opera del fuoco che, bruciando tutta la paglia, permette di ritrovare quell'unico ago d'oro. "L'opera del fuoco, in questa parabola, è quella che compie l'evoluzione biologica per mezzo della selezione naturale".

In conclusione, per comprendere questo pensiero contraddittorio occorre rivolgersi alla teoria sintetica, perché è stata l'incauta introduzione, da parte di questa teoria, del concetto di "popolazione", senza aver fatto i conti con la "selezione del singolo organismo", che ha prodotto un modo di pensare incerto e contraddittorio sull'oggetto della selezione naturale e, più in generale, dell'evoluzione stessa.

*  A meno che non sia trattato, a sua volta, come un complesso

Tratto da "La dialettica caso-necessità in biologia" Volume  3° (1993-2012)

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