domenica 30 luglio 2017

La teoria sintetica o pretesa terza via di Ernst Mayr

Le incomprese polarità singolo-complesso e caso-necessità in biologia 

Abbiamo avuto modo di considerare il pensiero di Ernst Mayr quando abbiamo trattato la concezione teleonomica. Prima di riassumere la soluzione che egli pretese d'aver trovato con la sua Teoria Sintetica, cerchiamo di riassumere i termini dell'intera questione. Il concetto principale è l'evoluzione, l'oggetto della evoluzione è la specie. La specie è costituita da individui che variano; quindi, abbiamo delle variazioni o, in termini più attuali, delle mutazioni genetiche.

La questione principale è la seguente: come avviene l'evoluzione delle specie? Darwin ha cercato di spiegare l'evoluzione con il concetto di selezione naturale. In che cosa consiste la selezione naturale? La risposta a questa domanda comporta una serie di problemi di interpretazione.

1° problema: la selezione, secondo Darwin, significa in senso deterministico la sopravvivenza del più adatto. Ma Darwin ha fornito anche una versione indeterministica: la maggiore probabilità di sopravvivenza del più adatto. Affermare che il più adatto ha maggiore probabilità di sopravvivere non significa certezza di sopravvivenza individuale.

2° problema: la selezione come sopravvivenza, o come maggiore probabilità di sopravvivenza, del più adatto è una concezione ottimistica che guarda soltanto al lato positivo. Ma la sopravvivenza del più adatto presuppone l'eliminazione del meno adatto. Perciò, la selezione naturale dovrebbe essere definita anche come eliminazione del meno adatto. Si tratta dei due poli della stessa dialettica dell'evoluzione: il positivo e il negativo. Chi è predominante? Se guardiamo al dispendio, il polo negativo sembra sovrastare, e di gran lunga, il polo positivo.

3° problema: la selezione come sopravvivenza, o come maggiore probabilità di sopravvivenza, del più adatto è fondata sull'idea che i singoli organismi debbano variare. Ora, le variazioni favorevoli alla sopravvivenza (nella lotta per l'esistenza, nel groviglio della natura, ecc.) sono pur sempre casuali. Quindi si pone la questione del passaggio dal caso alla necessità, altrimenti la selezione naturale sembrerebbe soggetta soltanto al puro caso.

4° problema: chi è l'oggetto reale della selezione? Darwin ha cercato di rendere ragione dell'origine e dell'evoluzione delle specie; ma la sua "selezione naturale" sembra aver privilegiato più l'individuo che la specie. La sopravvivenza, o la maggiore probabilità di sopravvivenza, del più adatto ha per oggetto il singolo individuo. Poiché, inoltre, l'individuo più adatto è favorito da variazioni puramente casuali, l'adattamento sembra essere un puro capriccio del caso.

Se, però, ponessimo come oggetto di adattamento la specie (o la popolazione, come sostiene Mayr), la sopravvivenza diverrebbe inevitabilmente una questione statistica, ovvero, non di probabilità individuali, si tratterebbe, bensì di frequenze complessive. La sopravvivenza, o adattamento delle specie, è sempre l'oggettiva frequenza dei sopravvissuti. Questa conclusione non può essere conciliata, però, con la sopravvivenza del singolo organismo più adatto. Si può, invece, ammettere la probabilità di sopravvivenza dei singoli organismi intesa come serbatoio casuale, dal quale la sorte (il caso) trae i singoli beneficiati e, con essi, le statistiche di sopravvivenza.

Fin qui abbiamo indicato una serie di problemi che sono collegati tra loro. La teoria sintetica non riesce a risolverli, . Cercare di connettere tra loro selezione naturale, sopravvivenza del più adatto, lotta per l'esistenza, variazioni favorevoli, singolo organismo, specie, caso, necessità, senza aver compreso la dialettica della evoluzione, può dar luogo soltanto a combinazione arbitrarie, puramente casuali.

La teoria sintetica, come abbiamo già visto con Dobzhansky, pur non potendo liberarsi della selezione del singolo organismo più adatto, ha posto al centro della selezione per adattamento la popolazione. In questo modo ha fornito una soluzione senza poterne eliminare le contraddizioni. Cosa questa che sembra non disturbare troppo accademici come Pietro Omodeo, il quale, curando una raccolta di articoli sull'evoluzionismo*, ha scritto nella prefazione che la teoria sintetica "non fà mai ricorso a discorsi astratti, e pertanto si sofferma più particolarmente su problemi dell'origine e dell'adattamento delle specie, e si avvale soprattutto di modelli ancorati alla genetica di popolazione. La popolazione diventa quindi la grande protagonista dei processi evolutivi".

Che la popolazione, o meglio la specie, fosse la grande protagonista dell'evoluzione era l'idea principale di Darwin, il quale, come abbiamo visto, ha lasciato alle successive generazioni di biologi parecchi problemi teorici irrisolti. Perciò il disprezzo nei confronti dei "discorsi astratti", qui, maschera la debolezza teorica della teoria sintetica.

Nella raccolta di Omodeo compare un articolo di Ernest Mayr del 1978, nel quale così viene definita la Teoria sintetica: "La nuova sintesi è caratterizzata dal completo rifiuto della trasmissione dei caratteri acquisiti (1), da un'enfasi sulla gradualità dell'evoluzione (2), dalla realizzazione che i fenomeni sono fenomeni di popolazione (3) e dal riaffermare l'importanza preponderante del processo di selezione naturale (4)". Si tratta di quattro contrassegni che distinguono questa scuola, rispettivamente, per il primo dai lamarckiani, per il secondo dai saltazionisti come Gould, per il quarto dai finalisti (ad es. i creazionisti), infine per il terzo non si sa bene da chi, perché tutti accettano l'idea della selezione dei singoli organismi più adatti in una polazione.

Ma con questi contrassegni non si risolve un bel niente, tanto è vero che Mayr, per aggiustare le cose, ha dovuto inventarsi un processo di selezione in due tappe, che rappresenta il suo personale contributo a una teoria aperta a qualsiasi aggiustamento ad hoc. Se tralasciamo i contrassegni che distinguono questa scuola da altre scuole altrettanto unilaterali e metafisiche, resta soltanto quello per il quale i "fenomeni evolutivi sono fenomeni di popolazione". Quindi, se vogliamo giudicare questa nuova teoria, dobbiamo partire da questo  contrassegno.

"Gli organismi viventi -scrive Mayr- sono caratterizzati dall'unicità: ogni popolazione consiste di individui diversi in maniera unica. Quando si pensa a una popolazione, i valori medi sono astrazioni: solo l'individuo variante è la realtà. L'importanza della popolazione è nel suo essere un pool di variazioni (un pool di geni nel linguaggio della genetica). Adottando questo punto di vista, l'evoluzione graduale diventa un fatto possibile e domina ogni aspetto della teoria evoluzionistica".

Mayr concepisce il concetto di popolazione come essenzialmente costituita di individui diversi, e poi definisce la popolazione come pool di geni, quasi che l'individuo possa essere identificato solo per i suoi geni. Per dimostrare l'inconsistenza della definizione di popolazione come pool di geni, utilizzeremo il concetto di individuo proposto dallo stesso Mayr. L'individuo organico è dunque caratterizzato dall'unicità, originata dalla sua diversità da ogni altro organismo della stessa popolazione.

Per chiarire questo concetto, Mayr scrive : "Non esistono due cellule, in un organismo , che siano esattamente uguali; ogni individuo è unico, ogni specie è unica e ogni ecosistema è unico". In sostanza, se non esistono due cellule uguali significa che ogni cellula è unica, e, viceversa, se ogni individuo è unico, ogni specie è unica, ecc., significa che non esistono due individui uguali, due specie uguali, ecc. La conseguenza logica è, per la concezione di Mayr, che esisteranno distinte popolazioni di cellule, distinte popolazioni di individui, distinte popolazioni di specie, ecc.

Poiché, inoltre, egli concepisce la popolazione di individui solo come una frazione di specie, la specie è, a sua volta, una popolazione di popolazioni di individui. Potremmo, di conseguenza, considerare il concetto di popolazione al pari del nostro concetto di contenitore. Ogni popolazione è un contenitore. E una popolazione di popolazioni è un contenitore di contenitori. Ora, se noi prendiamo in considerazione una specie, possiamo considerarla come una "popolazione" e le popolazioni che la costituiscono come "individui". Come sappiamo, nella nostra impostazione, il contenitore che ogni volta prendiamo in considerazione rappresenta un complesso", i cui costituenti sono i suoi singoli elementi.

Perciò, fin qui, "la popolazione" di Mayr sta al nostro "contenitore-complesso", come gli "individui" sempre di Mayr stanno ai nostri "singoli". L'analogia è rafforzata anche dal fatto che, per lui, l'unicità dell'individuo è la sua diversità originata dal caso. Per il momento, però, accontentiamoci di sottolineare che, finché egli pone in connessione tra loro l'individuo unico soggetto al caso e la popolazione soggetta alla necessità, è nel giusto, e può dedurre la necessità relativa alla popolazione stessa.

Ma, se abbiamo dovuto scrivere tre volumi per cercare di capire la dialettica caso-necessità in connessione alla dialettica singolo-complesso, è perché abbiamo scoperto la complessità di questi rapporti e della loro reciproca connessione. Perciò, sappiamo, per esperienza personale, che la semplice ammissione della connessione singolo-complesso, o individuo-popolazione, rappresenta soltanto il primo passo di un tortuoso cammino. Credere di potersela cavare ponendo soltanto in rapporto dei singoli con un complesso, senza tener presente il contenitore che si sta trattando, può significare scambiare kilogrammi con metri.

Così, quando Mayr definisce popolazione (che per lui è una frazione di specie animale) un pool di geni**, non si rende conto che sta trattando un contenitore che contiene solo singoli organismi. I geni appartengono a tutt'altro contenitore: i geni sono contenuti nel genoma degli organismi, quindi è il genoma un "pool", ossia una popolazione, di geni.

Il genoma, a sua volta, è contenuto nella cellula. La cellula può essere considerata una popolazione complessa che contiene nucleo, mitocondri, ribosomi, ecc. Essa è già un contenitore di contenitori, tra i quali il nucleo che contiene il genoma. A sua volta essa è contenuta in un organo che è un contenitore di cellule; e l'organo, a sua volta, è contenuto nell'individuo che è una popolazione o un contenitore di organi.

In conclusione, tra la popolazione che è una frazione di specie, e i geni, esiste una lunga serie di contenitori di contenitori, e sarebbe già semplificare troppo affermare che l'individuo è un pool di geni, perché in senso stretto non lo è nepppure la cellula. In conclusione, quando Mayr definisce la popolazione  (o frazione di specie) un pool di geni, semplifica in una misura tale da stravolgere qualsiasi nesso scientifico, saltando a piè pari tutta una serie di contenitori, ossia di livelli diversi, entro i quali esiste una specifica dialettica singolo-complesso, caso-necessità.

                                                                            -.-

* Angelo Omodeo: "Una raccolta di scritti" (2005) 


** Il concetto di "pool di geni" è stato concepito da un nuovo e recente ramo della biologia: la genetica di popolazione. Come vedremo in altra occasione, questo concetto assolve un compito puramente convenzionale e fittizio, in senso deterministico, per ricostruzioni molto farraginose e incerte quali sono le ricostruzioni di alberi genealogici delle specie (ad esempio quella dell'uomo -vedi Cavalli Sforza).

Tratto da "La dialettica caso- necessità" Vol 3° Biologia.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...