mercoledì 2 marzo 2011

Difficoltà e limiti del pensiero illuminista sul rapporto caso-necessità (prima parte)

Lo scettico pessimista Voltaire

Il Settecento illuminista, sebbene sia stato irriverente, polemico e profondamente critico nei confronti dell'ottuso potere teologico, non ha rappresentato un vero progresso teorico rispetto ai risultati filosofici e scientifici del Seicento, e, soprattutto, non è riuscito a rendersi indipendente dai condizionamenti sociali, religiosi e politici del morente sistema feudale aristocratico.

Oltre ai filosofi Hume e Kant, che tratteremo nei prossimi paragrafi, il secolo dei lumi ha espresso alcuni pensatori non sistematici, letterati, con interessi in campo filosofico e scientifico, che hanno riflettuto su temi naturali e sociali, che hanno polemizzato contro l'oscurantismo, che hanno criticato e messo alla berlina antichi pregiudizi, ma che alla fine non hanno trovato nuove soluzioni alle questioni fondamentali che avevano di fronte.

La prima, il rapporto caso-necessità in relazione alla storia naturale e sociale che gli illuministi avevano iniziato a indagare. La seconda, il rapporto di dipendenza del pensiero filosofico e scientifico dal potere monarchico che, per motivi pratici -per limitare l'esoso potere teologico ecclesiastico-, divenne illuminato prima ancora che costituzionale. Infine, la terza questione, che si ricollega alle due precedenti: il rapporto tra libero arbitrio e necessità fatale, questione ereditata dal Seicento, dove era rimasta impigliata tra le due pinze della tenaglia teleologica: la provvidenza divina e il destino.

Quest'ultima questione viene riproposta da Voltaire nell'opera letteraria "Zadig o del destino" (1747), nella quale espone una concezione secondo la quale ciò che appare come caso, o accidente incomprensibile, fa parte di un piano teleologico globale che l'uomo non può comprendere. Così, le azioni distruttive dell'angelo Jesrad sono compiute in modo tale che agli uomini appaiano soltanto casi disgraziati.

Il personaggio principale, Zadig, scelto da Voltaire come testimone di eventi tragici predeterminati dall'angelo Jesrad, chiede: "è dunque necessario che ci siano delitti e disgrazie, e che le disgrazie colpiscano gente dabbene?" Jesrad risponde: "I malvagi sono sempre disgraziati: servono a mettere alla prova un piccolo numero di giusti che sono sparsi sulla terra, e non c'è mai un male dal quale non nasca un bene". Rivelatosi, dopo aver ucciso un ragazzo apparentemente innocente, di fronte all'esterrefatto Zadig, l'angelo assassino afferma: "Gli uomini pensano che questo ragazzo or ora sia caduto in acqua per caso, che sempre per caso quella casa sia bruciata, ma il caso non esiste; tutto è prova, o punizione, o ricompensa, o previdenza".

Perché Voltaire, campione dell'intelligenza illuministica, che aveva almeno il pregio d'essere scettico nei confronti della religione cattolica, dei miracoli e dei pregiudizi religiosi, fa crollare Zadig in ginocchio, in adorazione dell'angelo che ha appena pronunciato queste parole, che liquidano il caso sostituendolo con la previdenziale punizione della maggioranza dei malvagi e premiazione della minoranza dei buoni?

Abbiamo già visto che la presunzione umana mal sopporta d'essere individualmente soggetta al caso. Anche Voltaire non accetta la condizione umana dove solo la specie, i popoli, le classi rappresentano i protagonisti necessari, mentre i singoli individui sono solo comparse soggette al caso. Perciò egli preferisce rifugiarsi nel teismo, concependo un piano naturale divino che garantisca, in una qualche forma, la necessità del comportamento individuale. La soluzione è però dispendiosa: da un lato i malvagi, numerosi, dall'altro i buoni, rari.

Il rapporto tra male e bene è ricollegabile al rapporto tra libero arbitrio e necessità fatale. E' un problema teologico che ha angustiato più di una mente filosofica. Abbiamo visto che Leibniz cercò di contrapporre alla pessimistica necessità fatale la spontanea e libera tendenza al meglio nel migliore dei mondi possibili; mentre Spinoza dichiarò che il meglio e il peggio colpiscono statisticamente, ossia si distribuiscono tra i buoni e i malvagi senza preferenze; e, come vedremo in seguito, Hume riassunse tutta la faccenda affermando che se Dio governa il mondo e le azioni degli uomini, può apparire il vero responsabile delle disgrazie e dei delitti umani: ma pensare ciò è empio, e nessuno è in grado di dire altro. La maggior parte dei teologi scelse, però, come soluzione il principio che il bene superava il male, minimizzando sia i cataclismi e le mostruosità naturali sia la malvagità, i delitti e le mostruosità umane. Prevalse l'ottimismo leibniziano, che negò il dispendio e privilegiò il risultato economico, garantito dalla provvidenza divina.

Voltaire rovescia il rapporto precedente, affermando che i cattivi superano di gran lunga i buoni. Come esempio tra gli altri cita quello del serraglio del sultano, dove solo una moglie su sessantaquattro non cede al "male" e rimane fedele allo sposo. Ora, la sua visione pessimistica del "male" come dispendio e del "bene" come rarità riflette correttamente il reale processo naturale e sociale. Se egli avesse accettato il concetto di casualità avrebbe avuto la soluzione a portata di mano. Invece, accetta la maschera teologica che il pensiero umano ha sempre posto sulla cieca dialettica naturale di caso e necessità: negando il caso, chiamandolo destino o provvidenza e personalizzandolo nella figura del terribile Jesrad, Voltaire finisce con l'attribuire la punizione della maggioranza dei malvagi e la premiazione della minoranza dei buoni a un piano superiore divino.

L'intelligenza illuministica, che intuisce le contraddizioni "statistiche" della concezione ottimistica della teologia, che vede cioè il dispendio, invece di superare la teologia con una nuova concezione, con Voltaire, sembra fermarsi, appagata dal suo ruolo di guastafeste dei pregiudizi dei preti. Così egli mantiene la provvidenza divina solo per rovesciare l'ottimismo in pessimismo, si potrebbe dire, per il gusto della risata sarcastica in faccia ai preti: volete la vostra provvidenza? Eccovela nella forma di Jesrad.

L'intelligenza illuministica è ancora troppo sottoposta al peso del condizionamento teologico, per potersene liberare con indifferenza; così cede più al richiamo del rancore, nella forma del sarcasmo e dell'irrisione, che al richiamo della conoscenza indipendente, completamente padrona della propria esigenza di verità. Così, nel "Candido o l'ottimista", scritto nel 1759, Voltaire deride il migliore dei mondi possibili di Leibniz: se dodici anni prima aveva affermato il dispendio del "male" come condizione necessaria della rarità del "bene", rovesciando il principio teologico di economia, ora afferma che l'ordine universale non riguarda la vita del singolo individuo, negando il più fondamentale principio teologico, dal quale è sorto il riduzionismo della scienza moderna.
   
Tutte le avventure dei personaggi del Candido sono "casi disgraziati". Il pessimismo di Voltaire, nei riguardi delle vite individuali, si esprime in una tragicommedia che rasenta il cinismo sarcastico. L'intelligenza superiore, che governa il mondo, non governa i singoli uomini avendo come fine la loro felicità. Ma, se una simile conclusione mette in crisi l'ottimismo teologico, non risparmia però, neppure, l'ottimismo del meccanicismo (riduzionistico) newtoniano, del quale  Voltaire è sostenitore in Francia. Se ai singoli uomini capitano di preferenza le peggiori disgrazie, come il terremoto di Lisbona aveva messo in evidenza, se essi sono dominati più dal "male" che dal "bene", Voltaire può solo deridere i preti, ma non sa trovare la soluzione perché rifiuta il caso, che neppure nomina nel suo Dizionario filosofico.

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Tratto da "Caso e necessità - l'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002)

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