mercoledì 9 marzo 2011

Difficoltà e limiti del pensiero illuminista sul rapporto caso-necessità (terza parte)

La superiorità del pensiero indipendente


La sventura capitata a Diderot fa riflettere, soprattutto se paragonata alla sorte di Voltaire e Rousseau. Fermo restando che tutti gli illuministi hanno ricevuto le "attenzioni" dei governi e dei preti, in particolar modo dei gesuiti, si può dire che la misura della pena ci dà la misura della qualità della colpa! Ora è evidente che per i preti, le irrisioni e i sarcasmi alla Voltaire, o le denunce e le invettive alla Rousseau, quando non toccano le questioni fondamentali, vitali, sono cose da nulla. Diderot, invece, affronta le questioni fondamentali e le risolve in senso materialista e dialettico, perciò diventa ateo e riceve la massima pena.

Voltaire si limita a scoprire gli altarini, ossia le contraddizioni, della religione, ma non le risolve; si accontenta della propria gloria e dei propri affari borghesi. Quanto a Rousseau, non solo non rompe con la religione, oscillando tra il cattolicesimo e il calvinismo, non solo finirà col rompere la sua amicizia con Diderot dichiarandosi nemico di ogni forma di ateismo, ma fin dall'inizio egli china la testa al convenzionalismo di origine teologica. Nel suo"Discorso sull'origine della ineguaglianza" scrive: "La religione ci ordina di credere che, poiché Dio stesso ha tolto gli uomini dallo stato di natura, essi sono ineguali perché egli lo ha voluto; ma essa non ci vieta di fare delle congetture sulla sola natura dell'uomo e degli esseri che lo circondano, su come avrebbe potuto divenire il genere umano se fosse stato abbandonato a se stesso".

Rousseau accetta il compromesso proposto a suo tempo da Osiander e Bellarmino, limitando il suo pensiero alle congetture fondate sul "come se", sull'utile convenzione. Ma non si limita a questo: nel tentativo di congetturare sulla natura dell'uomo, parte dalla condizione del singolo individuo allo stato selvaggio. Con questa robinsonata, egli si colloca nell'ambito del riduzionismo teologico, e quindi può lanciare invettive, denunciare la condizione sociale dell'uomo moderno, ma non è in grado di cogliere alcun nesso fondamentale sulla evoluzione naturale della specie umana.

Il filosofo illuminista ebbe a che fare con tre forme di potere che potevano ostacolarlo e anche rovinarne l'esistenza: la teologia, interessata a limitare l'indipendenza del suo pensiero teorico; il governo monarchico interessato a limitare, ma anche a utilizzare i risultati" pratici del suo pensiero scientifico; infine, la società aristocratica, interessata a sottometterlo alle proprie condizioni di esistenza asservendolo.

Per lo scopo di questo studio dedicato alla teoria della conoscenza, è il potere teologico che presenta maggiore interesse per il suo continuo condizionamento sul pensiero teorico, mentre possiamo tralasciare il potere politico, rinviandolo al volume dedicato alla dialettica dell'evoluzione storica. Riguardo al potere della società nella quale visse il filosofo illuminista, la sua influenza sul pensiero teorico fu, sebbene indiretta, non per questo trascurabile.

Che cosa richiedeva la società aristocratica del Settecento all'uomo illuminato dalla ragione, al filosofo? Che egli si ponesse al suo servizio, per divertirla, che egli si sottomettesse ai suoi capricci. Nasceva così il problema di come conciliare l'indipendenza del pensiero con la necessità della esistenza. Questo è il tema affrontato da Diderot ne "Il nipote di Rameau".

Come fare a sviluppare il proprio talento, quando per poter mangiare, dormire e vestirsi si è costretti a prostituirlo a una società vanesia e capricciosa? Questo era il problema che si poneva alla coscienza del filosofo illuminista. Diderot ha davanti ai suoi occhi la società aristocratica del suo tempo e la indaga ne "Il nipote di Rameau": il risultato è che non ci può essere una reale soluzione positiva. Diderot prende coscienza della dipendenza servile, che non può essere risolta dalla ragione illuminista del filosofo; perciò denuncia il servilismo in forma negativa, nella forma della risata di scherno, nella forma furfantesca della verità spudorata che soltanto un buffone può permettersi di affermare.

Per non incorrere di nuovo nella censura rischiando il carcere, Diderot scinde la coscienza del filosofo illuminista in due parti: la coscienza onesta, fittizia, che attribuisce a sé, e la coscienza disonesta, reale, che affida a Rameau. Poi si limita a far parlare la coscienza disonesta. Rameau è rappresentato come uno scroccone per necessità. Il suo cinismo riflette il cinismo della società degli scrocconi; ma egli è fin troppo cosciente della contraddizione che domina l'uomo di talento, per rappresentare solamente la parte del giullare: Rameau rappresenta in realtà il filosofo costretto a farsi buffone per sopravvivere nella società aristocratica del Settecento.

Nel pieno della sua maturità, Diderot, non potendo risolvere la contraddizione, ne fa materia di scherno nel linguaggio spiritoso di Rameau, il quale la mette a nudo indicandola come impossibilità di rimanere onesti senza diventare pitocchi, cosa che può accadere anche a un astuto scroccone che, per una volta soltanto, pretenda dire quello che pensa.

Ma in vecchiaia, pochi anni prima della sua morte, Diderot non ha più voglia di ridere, e si scaglia contro il servilismo: "Dopo che l'uomo che la natura aveva destinato a illustrarsi nella carriera delle lettere si è ridotto alla triste condizione di servitore dei grandi, il suo gusto è perduto, egli ha ora soltanto il piccolo spirito, l'anima ristretta e strisciante propria del suo nuovo stato, ed egli chiama declamatori gli uomini eloquenti e arditi che parlano con una certa fierezza ai loro protettori. Egli disprezzerà ciò che in altri tempi avrebbe ammirato. Elogerà ciò che in altri tempi avrebbe disprezzato. E' un nulla, e non pensa che domani, forse, sarà meno di nulla. Sento gridare sotto la mia finestra la condanna dell'abate Raynal. La leggo, l'ho letta. Sulla testa di questi infami e del vecchio imbecille che essi hanno servito cadano l'ignominia e l'esecrazione che caddero in altri tempi sulla testa degli Ateniesi che fecero bere la cicuta a Socrate".

Onore al merito! Onore a Diderot che, fino all'ultimo, circondato da una società aristocratica fondata su rapporti di servitù, ha saputo affermare la superiorità del pensiero indipendente sul pensiero servile.

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Tratto da "Caso e necessità - l'enigma svelato - Volume primo   Teoria della conoscenza" (1993-2002)

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