I limiti della matematica secondo i maestri della dialettica: Hegel ed Engels
Prima o poi qualcuno doveva assumersi il compito di rimettere in discussione la matematica pura ridimensionandone le pretese. E quale momento migliore per farlo di quello in cui queste pretese sfociano nella ricerca della Teoria del Tutto, della teoria che dovrebbe porre la parola fine alla scienza "più fondamentale": la fisica? Nell'Ottocento, a ridimensionare le ben più modeste pretese della matematica ci pensarono i maestri di quella dialettica che, non a caso, fu respinta con orrore da una comunità scientifica che aveva cominciato a indirizzarsi verso la matematizzazione della fisica.
Prima o poi qualcuno doveva assumersi il compito di rimettere in discussione la matematica pura ridimensionandone le pretese. E quale momento migliore per farlo di quello in cui queste pretese sfociano nella ricerca della Teoria del Tutto, della teoria che dovrebbe porre la parola fine alla scienza "più fondamentale": la fisica? Nell'Ottocento, a ridimensionare le ben più modeste pretese della matematica ci pensarono i maestri di quella dialettica che, non a caso, fu respinta con orrore da una comunità scientifica che aveva cominciato a indirizzarsi verso la matematizzazione della fisica.
Perciò, prima di affrontare l'attuale predominio della matematica pura in fisica, è opportuno vedere come Hegel ed Engels giudicarono i limiti della matematica del loro tempo. Una premessa è però indispensabile: la teoria della conoscenza e la matematica hanno una lunga storia in comune, il cui inizio risale all'antico pensiero greco. Ma la logica matematica ha avuto sempre una posizione subordinata rispetto alla logica dei concetti, essendo semplicemente lo strumento di calcolo delle grandezze. Essa doveva misurare delle quantità; ma le quantità da misurare non erano astrazioni pure, erano quantità di qualità concrete delle cose, astratte dalla logica dei concetti.
La separazione della logica matematica dalla teoria della conoscenza è un evento relativamente recente, che si è verificato soltanto dal momento in cui la prima ha cominciato a creare assiomi, teoremi, equazioni e modelli sempre più astratti ed estranei alla seconda: fittizie convenzioni delle "libere creazioni" delle menti matematiche. In questo modo i matematici più puri si sono isolati in quella che Engels ha chiamato l'"inespugnabile cittadella dell'astrazione"; e lì sarebbero rimasti in eterno, indisturbati, a costruire sempre nuovi modelli astratti e convenzionali, se qualcuno non li avesse tratti dal loro isolamento ritenendo che la fisica non sarebbe stata in grado di concepire l'Universo e la materia senza l'ausilio di quei modelli. Incapaci di pensare e riflettere la realtà a partire dall'esperienza, i fisici si sono rivolti agli espedienti della matematica pura.
Ma, prima ancora che questo avvenisse, Hegel aveva messo in guardia la comunità degli studiosi dai limiti della matematica. Nella Logica osservò che l'uso degli espedienti matematici, il rifugiarsi in formule o schemi di formule belli e pronti era solo una forma di pigrizia del pensiero, un modo di risparmiarsi la fatica di pensare e di riflettere determinazioni concettuali rigorose. Tra l'altro, egli criticò chi riteneva che il calcolo matematico fosse il principale mezzo di educazione della mente, osservando che in tal modo non si teneva presente che le macchine compiono il calcolo matematico in maniera molto più perfetta e priva di errori. Allora, chiedeva polemicamente: quale sarebbe lo scopo di questa educazione mentale? Mettere la mente "alla tortura per perfezionarsi fino a diventare una macchina"?
Per Hegel, la matematica non era certo uno strumento del pensiero, quindi non serviva a pensare, e ancor meno serviva alla conoscenza della sfera dell'esperienza. A questo proposito egli è stato molto chiaro e netto: "Ma la matematica non è in genere capace di dimostrare delle determinazioni di grandezze appartenenti alla fisica", perché queste grandezze sono al di fuori della sfera matematica. Il limite delle dimostrazioni matematiche è appunto la sfera dell'esperienza. Per Hegel una cosa è ciò che è dimostrabile analiticamente, altra cosa è ciò che può essere assunto solo dall'esterno, dalla sfera dell'esperienza fisica; una cosa è lo sviluppo analitico della matematica, altra cosa sono le "esistenze fisiche".
Importanti per lui erano i "numerici empirici della natura", che sono tratti dall'esperienza. Da essi il pensiero deve essere capace di trarre determinazioni qualitative, ossia concetti e leggi di necessità intrinseca. Per questo motivo egli criticò Newton riguardo all'abuso dell'infinitamente piccolo, che è qualcosa di estrinseco alla dimostrazione qualitativa delle grandezze quantitative, ossia dei "numeri empirici della natura". Secondo Hegel era un'impresa assurda della fisica "il tentativo di condurre tali dimostrazioni in maniera propriamente matematica, cioè senza trarli né dall'empiria né dal concetto". Importante per lui era il concetto di misura in relazione alla polarità quantità-qualità: "La misura -scriveva- è il quanto qualitativo, dapprima come immediato, un quanto cui è congiunto un essere determinato o qualità".
Per la logica dialettica, la misura non è quindi una semplice quantità: la misura è la quantità di una qualità. "Essendo la qualità e la quantità, nella misura, solo in unità immediata, la loro destinazione si manifesta, in parte, un semplice quanto; e l'essere determinato è capace di aumento o diminuzione, senza che la misura, la quale è una regola, venga perciò soppressa; ma, in parte, il cangiamento del quanto è anche un cambiamento di qualità" (Enciclopedia) .
Nella Logica Hegel precisava che la cosa, ogni cosa, è connaturata a una determinata grandezza che le appartiene come sua qualità; cosicché, mutata la grandezza, muta anche la qualità, ossia la cosa stessa. Egli infatti scriveva: "Tutto ciò che esiste ha una misura. Ogni esistere ha una grandezza, e questa grandezza appartiene alla natura stessa del qualcosa; essa costituisce la sua natura determinata e il suo intimo essere. Il qualcosa non è indifferente a questa grandezza, come se quando venisse cambiata, il qualcosa rimanesse quel che è [...]. Come misura il quanto ha cessato di essere un limite che non è un limite; è ormai la determinazione della cosa, cosicché questa, aumentata o diminuita al di là di questo quanto, si distruggerebbe".
Per Hegel, dunque, le misure sono specifiche delle cose, perciò è "una sciocchezza il parlare di una unità di misura naturale delle cose. Oltracciò una unità di misura naturale deve servire soltanto per il confronto estrinseco; in questo superficialissimo senso, in cui essa viene presa come misura universale, è affatto indifferente che cosa si adoperi a tale scopo". Di conseguenza "una unità di misura assoluta ha soltanto l'interesse e il significato di un comune, e un comune è un universale non in sé, ma per convenzione".
Qui è spiegato molto bene il motivo per cui, ad esempio, una teoria del Tutto sarebbe puramente convenzionale. Del resto, abbiamo già dimostrato che ogni forma materiale, prodotta dall'evoluzione della materia, ha specifiche misure temporali e spaziali. Invece, i fisici contemporanei pretendono unificare tutto in quella forma astratta e convenzionale che impedisce alle loro diverse discipline ogni possibilità di reale conoscenza. E questo è il risultato della matematizzazione della fisica, che impedisce di pensare e di determinare le reali grandezze degli oggetti della fisica.
Engels, nella "Dialettica della natura", a sua volta, scese in campo contro una particolare deviazione dal giusto intendimento della matematica, che nasce come "scienza delle grandezze" e che "prende le mosse dal concetto di grandezza". Si tratta della concezione idealistica di Duhring, secondo la quale la matematica era una "libera creazione e immaginazione" della mente umana, per la quale il mondo obiettivo non offre alcun corrispettivo. Allora, se lo sviluppo della fisica contemporanea ha "smentito" Engels "confermando" Duhring, ciò è avvenuto per il semplice motivo che, a partire da Fourier e Maxwell per arrivare a Einstein e ai suoi epigoni, si è consolidata la tendenza delle "libere creazioni della mente" matematica, senza alcun corrispettivo con la realtà.
C'è un fondamentale passo di Engels che denuncia l'estraniazione dalla realtà della matematica pura, la quale cominciava a fare i suoi primi, timidi passi. Lo riportiamo per esteso perché rappresenta una critica ancora molto attuale: Non appena "i matematici si ritirarono nella loro inespugnabile cittadella dell'astrazione, la cosiddetta matematica pura, tutte le analogie [con la realtà] vengono dimenticate [...] e il modo e la maniera con i quali si opera nell'analisi, appaiono come qualcosa di incomprensibile allo stato puro, che contraddice a ogni esperienza e a ogni ragione. Le follie e le assurdità con le quali i matematici hanno piuttosto scusato che spiegato questi loro procedimenti, che conducono, curioso a dirsi, sempre a risultati giusti, superano di gran lunga le peggiori fantasie apparenti e reali della hegeliana filosofia della natura, di fronte alle quali essi non riescono mai ad esprimere un sufficiente orrore".
Engels diceva queste cose in un periodo in cui si poteva ancora affermare, sulla posizione della matematica nelle scienze naturali, che "nella meccanica dei corpi rigidi è assoluta, in quella dei gas è approssimativa, in quella dei fludi già più difficile -nella fisica per tentativi, e relativa -nella chimica, semplici equazioni di primo grado e del tipo più semplice -in biologia = O".
Che cosa dovremmo affermare noi, oggi, di fronte alla relatività generale, alla cromodinamica quantistica, per non parlare della recente teoria delle stringhe, e degli infiniti "paradigmi" che hanno invaso tutti i settori della fisica? Engels le definirebbe follie incomprensibili. Ma aggiungerebbe, che ormai la "follia" e l'"incomprensibilità" sono segni distintivi, virtù riconosciute della fisica quantistica, della fisica relativistica e di tutti quei tentativi di unificazione messi in cantiere da diversi decenni.
Chi non sa che Bohr apprezzava solo teorie sufficientemente pazzesche? Chi non sa che i fisici si vantano continuamente delle ipotesi più folli? E chi non conosce la storiella che girava a suo tempo sulla incomprensibilità della relatività generale? Alla domanda: "è vero che solo due persone hanno compreso la relatività generale?" Eddington rispondeva: "Chi è l'altro?" Nella loro superbia, cultori della matematica pura, come Bohr e Eddington, non erano neppure sfiorati dal dubbio che termini come "folle" e "incomprensibile", se forse possono andar bene per qualche attività artistica, in connessione con il termine "scienza" producono soltanto un assurdo ossimoro.
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Scritto nel 2009
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