martedì 29 marzo 2011

"Dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)*

Prefazione 

La maggior parte degli eventi storici sono pensati per scopi particolari, sono gestiti senza produrre risultati voluti e sono realizzati con grande dispendio. Come cercheremo di dimostrare in questo volume, alla base dell'imponderabile e dell'imprevedibile nella storia umana c'è la cieca dialettica di caso e necessità, secondo la quale i risultati reali, cioè i risultati complessivi della storia, rappresentano una necessità cieca e non predeterminabile perché fondata sulla casualità dei singoli, numerosi eventi. Così, non sono prevedibili né gli eventi singoli pensati e realizzati, né l'insorgere di altri singoli eventi inattesi e da nessuno voluti che ostacolano e persino impediscono la realizzazione degli eventi illusoriamenti attesi.

Ora, quando cerchiamo di ricostruire la storia di un dato periodo, abbiamo sotto gli occhi le registrazioni scritte di eventi, fatti, risultati, indagando i quali possiamo distinguere il necessario dal casuale, ovvero la realtà necessaria da quella puramente contingente e inessenziale. Per questo motivo, la "storia del passato" può essere scientifica: ha gli strumenti per essere scienza. Ma se prendiamo in considerazione la "previsione storica", che possiamo chiamare "storia del futuro", ci troviamo in una situazione affatto diversa. Innanzi tutto, la pretesa previsione di eventi futuri non è un semplice esercizio accademico: essa serve a promuovere nuovi eventi nella attualità, i quali sono posti in opera indipendentemente dal valore della previsione stessa.

La conseguenza è che la previsione del futuro è responsabile di eventi casuali e contingenti, che non sono affatto diversi, quanto a casualità, da tutti gli altri singoli eventi accaduti. E questa massa di eventi, non appena si compie, diventa, a tutti gli effetti, materia per la scienza storica del passato. Materia che, osservata nei suoi singoli "atomi", non appare costituita di fatti a ragion veduta, necessari, ossia qualcosa di cui non si potesse fare a meno: essa può essere costituita persino di fatti illusori, e la storia del passato se li ritrova di fronte come apparente materiale da sottoporre a indagine.

Ci si potrebbe ugualmente domandare: la previsione del futuro può promuovere eventi fondati sulla necessità? Se così fosse, noi avremmo eventi storici predeterminabili che, attuandosi, confermerebbero facilmente allo storico la loro essenza necessaria. Quindi, la previsione storica diverrebbe l'unica scienza storica reale che la "storia del passato" potrebbe solo confermare. Ma così non è! Che cosa impedisce al futuro di manifestarsi in maniera predeterminata? Semplicemente il fatto che nessun singolo evento storico è soggetto alla connessione di causa ed effetto. Al contrario, preso in se stesso, esso rappresenta una realtà solo contingente, accidentale. La ragione di ciò è che le società umane, fino ad oggi, si sono fondate su modi di produzione di tipo naturale, perciò soggette alla dialettica caso - necessità: cosicché, la necessità si è sempre imposta solo come cieca necessità complessiva, rovesciamento della casualità relativa ai singoli, numerosi elementi costituenti.

In definitiva, se la storia del passato è scientificamente fattibile, la previsione storica rimane, invece, l'illusorio fondamento delle scelte politiche che gli storici non ammettono tanto facilmente di collocare nella sfera del caso. Ma se il futuro rientra nei programmi, nelle previsioni, nei preparativi di nuovi eventi, esso non è ancora i singoli eventi che si realizzeranno. Allora, se la "storia del passato", già dato, è ciò che possiamo indagare scientificamente, la "storia del futuro", non ancora dato, è ciò che ci attendiamo, sul quale congetturiamo facendo di tutto per condizionarlo, e per il quale ci affidiamo più alle superstizioni e agli auspici che alla ragione scientifica. Esistono, perciò, due modi di concepire e di fare storia: quello oggettivo, scientifico, della riflessione del passato, e quello soggettivo, non scientifico, della previsione del futuro.

Ma non è finita qui. C'è anche il tempo presente da considerare, il tempo posto tra il passato e il futuro. Può esistere una storia del presente, che non sia pura cronaca? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo partire dal ruolo del presente in rapporto al passato e al futuro, dei quali esso rappresenta il trait d'union: nulla di ciò che è trascorso nel tempo ha potuto evitare d'essere l'imprevedibile futuro realizzato attraverso il presente.

Ciò che comporta difficoltà al pensiero è soprattutto il concetto di presente: mentre il passato è dato e il futuro non è dato, il presente è nello stesso tempo dato e non dato, è l'istante che separa ma anche collega passato e futuro: è nel contempo l'uno e l'altro, senza essere né l'uno né l'altro. Il presente è sfuggente, inafferrabile. Se il passato sta al futuro come l'essere al nulla, il presenta sta a entrambi come il divenire. E, poiché il divenire è movimento, il presente altro non è che movimento vivo, rispetto al passato che rappresenta movimento morto, e al futuro che rappresenta movimento in gestazione. Come il movimento, anche il presente è una contraddizione: è l'essere in un luogo (passato) e contemporaneamente in un altro (futuro). Il presente ha ancora, per così dire, un piede nel passato quando l'altro avanza timidamente nel futuro. Non appena qualcosa accade, già si trova  tra il passato e il futuro: se appena lo dilatiamo un pò diventa cronaca di eventi contingenti; un pò di più e appartiene già al passato prossimo.

In se stesso, il presente è astorico, nel senso che non può esistere una storia del presente; ma attraverso esso si producono i materiali della storia. Troppo sfuggente per appartenere alla scienza, il presente appartiene all'azione, alla messa in opera. Troppo imprevedibile per appartenere alla scienza, il futuro appartiene ai propositi e ai programmi per l'azione e la messa in opera. Alla scienza della storia rimane solo il passato, il quale appartiene agli atti e alle opere dell'uomo. Viceversa, le azioni appartengono al presente, i propositi appartengono al futuro, le opere dell'uomo appartengono al passato. E ancora, le azioni sono zeppe di ostacoli e imprevisti, i propositi sono pieni di ripensamenti e incertezze, infine, le opere sono date, certe, immutabili.

La storia scientifica può, quindi, riguardare soltanto le opere del passato, delle quali possediamo documentazioni d'ogni genere e in tale abbondanza da apparire ai singoli storici praticamente infinite. Questa storia del passato può essere scientifica, ma solo se è fondata sulla dialettica di caso e necessità. Al contrario, la cosiddetta previsione storica, la pretesa "storia del futuro" non può essere scienza, perché non esiste alcuna certezza della continuità tra passato e futuro. Non c'è, ad esempio, una sola statistica che possa garantire la perpetuazione di date frequenze nel futuro: le statistiche valgono soltanto per gli anni trascorsi. Perciò, neppure la conoscenza della storia del passato può costituire il fondamento per la previsione storica.

Allora, che cosa rimane di certo e di stabile dallo studio della storia? Rimane la certezza delle contraddizioni secolari, delle contraddizioni di lungo periodo, che permettono di comprendere anche gli eventi più inattesi del futuro: comprenderli quando si saranno realizzati, non prevederli! Perché la storia umana, che si realizza nel presente, per divenire in breve tempo opera del passato, è come un laboratorio nel quale i pratici (politici, economisti, militari, ecc.) tentano di tutto e accettano qualsiasi dispendioso fallimento pur di non restare con le braccia conserte e a mani vuote, pur di trovare quell'unico esperimento che possa assicurare risultati immediati, vantaggiosi; un laboratorio nel quale i teorici, gli ideologi e gli storici tentano qualsiasi spiegazione sulle cause, sui motivi, ecc. di qualsiasi evento realizzato o fallito, ecc., senza preoccuparsi delle conferme, anch'essi pur di non restare a mani vuote.

Questo laboratorio non può evitare le conseguenze delle reali contraddizioni di lungo periodo, che sono intrinseche ai processi complessivi della storia umana. Ciò che esso produce è solo una lunga sequela di temporanee soluzioni che, poste in opera, diventano altrettanti fatti storici, i quali producono contraddizioni secondarie che si aggrovigliano attorno alle insuperabili contraddizioni fondamentali, in maniera imprevedibile e senza fine. Tutto ciò può essere espresso semplicemente così: la storia umana è storia di fatti e di eventi realmente accaduti, ma questi fatti ed eventi sono accaduti anche perché soggettivamente imposti contro circostanze ciecamente necessarie. I fatti della storia non sono, perciò, fatti in se stessi necessari: la storia è piena di fatti sorti da illusioni e persino da allucinazioni.

Allora, che fare? Dobbiamo attribuire la medesima necessità a eventi così evidentemente contingenti e casuali? E quando un periodo è zeppo di tali eventi, che cosa deve fare lo storico? Deve darsi da fare per sfrondare la sua indagine da ciò che non la necessità complessiva ordinava, ma soltanto i capricci del caso singolare, i capricci di singoli politici, militari, ecc. hanno imposto, ricevendo magari il sostegno teorico degli storici e degli ideologi del momento: del momento presente, appunto!

Non solo gli storici non riescono a sottrarsi alle ideologie del momento, ma non riescono neppure a sottrarsi al presente che è il principale interesse dei singoli uomini. Lo è sempre stato, persino quando l'interesse storico nei confronti del passato ha cominciato a manifestarsi nell'antica Grecia con Erodoto e Tucidide. Ma lo è soprattutto oggi che l'ideologia della "fine della storia" di Fukuyama sembra aver seppellito defintivamente il passato reale in un sepolcro chiuso con sette sigilli. Così, perduto ogni interesse scientifico per il passato, l'interesse degli uomini del nostro tempo si concentra sull'incerto, imprevedibile, indeterminabile presente.

Così facendo, si dimentica che il presente non permette di separare la necessità essenziale dalla massa superflua dei singoli, minuti eventi quotidiani, la cui rappresentazione non è pertinenza della storia. Come ricorda Hegel nella Enciclopedia: "Le mere particolarità degli individui sono massimamente lontane da quell'oggetto che è pertinenza della storia". E, sebbene egli ammettesse che talvolta le singolarità possono esprimere "non già una particolarità soggettiva, ma un tempo, un popolo, una civiltà, in modo conciso e vivacemente intuitivo", concludeva: "Per contrario, la massa delle altre singolarità è una massa superflua ..." A ragione di ciò, Hegel suggerì di  "rinviare simiglianti rappresentazioni ai romanzi (quali sono quelli celebri di Walter Scott, ecc.)".

Insomma, lo storico che non coglie la necessità essenziale, limitandosi a rappresentare la molteplice casualità inessenziale, si riduce a romanziere, anche senza volerlo. Non è un caso, quindi, che l'epoca attuale propini storielle romanzate, andando nella direzione opposta a quella raccomandata da Hegel: "Nell'interesse della cosiddetta verità, mescolare le piccolezze individuali del tempo e delle persone nella rappresentazione degli interessi generali è non solo contro il giudizio e il gusto, ma contro il concetto della verità oggettiva, per la quale è vero per lo spirito solo ciò che è sostanziale, e non già la verità di esistenze esterne e di accidentalità".

Per concludere, i fatti particolari, personali, gli eventi particolari, minuti, ecc. rappresentano quelle singolarità inessenziali per la storia, perché appartengono alla sfera della multiforme, capricciosa casualità. Perciò, lo storico deve considerarli inessenziali e affidarli tranquillamente al romanziere. Essenziale per lo storico è stabilire l'essenza necessaria dell'epoca considerata, ossia la necessità dei complessi di individui: classi, comunità, popoli, Stati, infine, soprattutto, della specie umana nel suo complesso. Per far questo, però, non può affidarsi né alla cronaca del momento né alla previsione storica del futuro, ma deve prendere in considerazione le opere del passato, dalle quali ricavare la conoscenza delle leggi necessarie della storia. Poiché, infine, la storia umana, al pari della evoluzione naturale, è costituita di processi di tipo naturale, guidati dalla dialettica caso-necessità, lo storico non può fare altro che conoscere la cieca necessità complessiva, rovesciamento dialettico della casualità relativa ai singoli, numerosi eventi imprevedibili.

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 * Questa prefazione riguarda il primo volume di storia, scritto dall'autore di questo blog, al quale è seguito un secondo volume sulla globalizzazione, scritto tra il 2005 e il 2007.

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