Seguendo l'articolo "Un modello astrofisico dei buchi neri",*di R.H. Price e K.S Thorne, possiamo, per così dire, mettere in fila le contraddizioni irrisolte della teoria relativistica dei buchi neri, inadeguata a rendere ragione dei fenomeni astrofisici, ragion per cui molti fisici, tra i quali gli stessi autori dell'articolo, sono tentati da nuovi aggiustamenti della teoria fondamentale relativistica, senza per altro avere il coraggio e neppure la possibilità di abbandonarla.
Se una teoria non funziona, è giusto cercare un'altra teoria, ma se non funziona perché smentita empiricamente, occorre cercarne un'altra che non venga invalidata dall'esperienza. Così pensano Price e Thorne, che si rifanno al concetto di paradigma di Kuhn. Come abbiamo già esaminato nella sezione dedicata alla Teoria della conoscenza, i paradigmi di Kuhn sono quegli insiemi di regole, diagrammi, leggi e formule matematiche, che dovrebbero permettere di risolvere i problemi specifici di una data scienza (i cosiddetti "rompicapi").
Poiché Price e Thorne hanno scomodato Kuhn, avrebbero fatto meglio a prendere in considerazione anche una sua interessante conclusione: che quando un paradigma non funziona più, subisce un numero elevato di correzioni e aggiustamenti. Dichiara, infatti, Kuhn, in maniera esplicita: "Una tale proliferazione di versioni diverse di una teoria di solito è sinonimo di crisi".** Gli autori dell'articolo, invece, accettano il pluralismo dei paradigmi, che permette alla scienza di portarsi dietro ogni sorta di modello interpretativo, correggendolo, modificandolo, ampliandolo, ecc., indipendentemente dalla sua capacità di riflettere il movimento reale della materia.
Così, in questo articolo, gli autori propongono un nuovo paradigma di interpretazione dei "buchi neri", "cioè un nuovo modo di immaginare, considerare e descrivere questi oggetti. Il paradigma li tratta, fin dove è possibile, come oggetti astrofisici normali, costituiti di materia reale". Ma senza, per questo motivo, rifiutare il "paradigma della relatività generale, per il quale i "buchi neri" non sono costituiti di materia (sic!) pur possedendo una massa".
Price e Thorne partono, come tutti, dal vecchio "paradigma" relativistico: "un buco nero è rappresentato da una superficie cilindrica**, l'orizzonte degli eventi, sulla quale lo spazio-tempo è curvato dall'intensa gravità, in misura tale che i fotoni risultano imprigionati sulla superficie o al suo interno. L'orizzonte degli eventi costituisce un punto di non ritorno: i fotoni e qualsiasi altra particella possono cadere attraverso di esso nell'interno del buco nero, ma nulla può uscirne. L'orizzonte tronca dunque ogni comunicazione tra il buco nero e il resto dell'universo".
Ma, secondo loro, questo isolamento "relativistico" dell'orizzonte degli eventi è un inconveniente contro il quale bisogna correre ai ripari, senza però danneggiare l'immagine del "paradigma" della relatività generale, sul quale sprecano elogi e complimenti nel momento stesso in cui gli chiedono di farsi gentilmente da parte. "Questi diagrammi e gli altri strumenti del paradigma dello spazio tempo curvo hanno permesso di comprendere in maniera assai approfondita la natura fisica (sic!) dei buchi neri isolati, separati dall'influenza dell'universo esterno. Ma questo risultato non era sufficiente per gli studiosi: per comprendere i buchi neri nella loro qualità di oggetti astrofisici, come fonte di energia di un quasar, per esempio, occorre capire come il buco nero interagisca con i gas e i campi magnetici che lo circondano".
E ancora: "Come hanno potuto allora i fisici affrontare i buchi neri nel tentativo di spiegare i quasar? Fin verso la fine degli anni settanta gli studiosi aggiravano l'incompatibilità tra linguaggio e immagini evitando di ricorrere al paradigma dello spazio-tempo curvo: invece di considerare la gravità alla stregua di una curvatura dello spazio-tempo tornavano a rifarsi al paradigma newtoniano della gravità intesa come forza attrattiva. Dove la gravità è debole, come accade a una grande distanza dall'orizzonte degli eventi, le previsioni della teoria newtoniana e di quella relativistica coincidono con grande precisione, ma dove l'accordo si rompe, come avviene presso l'orizzonte, i teorici troncavano artificiosamente i calcoli".
Riguardo al principale limite del paradigma relativistico, la non considerazione della rotazione dei buchi neri, gli autori se la cavano con molta nonchalance: "Un buco nero in una regione di gas interstellare denso attirerà materia a causa del proprio campo gravitazionale. Il flusso avrà simmetria sferica se (!) il momento angolare del gas è piccolo, ma si concentrerà in un disco nel caso più comune di materia in rotazione". Non si comprende questa doppia possibilità, -se non come il solito omaggio obbligato verso la teoria della relatività generale-, perché un "buco nero" dovendo essere, per essa, necessariamente un oggetto in rapida rotazione, non potrebbe essere sferico.
Il gas, nel suo moto rapido attorno al "buco nero": verrà compresso e riscaldato; perciò emetterà radiazioni. "Per calcolare la quantità di energia emessa gli studiosi tenevano conto della radiazione prodotta in una regione che giungeva fin quasi al punto nel quale la gravità relativistica darebbe origine a un orizzonte degli eventi; qui però il calcolo veniva troncato di iure". In sostanza, la concezione relativistica del "buco nero" serviva solo in quanto traduzione nel moderno linguaggio matematico della teoria newtoniana, e quest'ultima serviva come off limits per la prima.
Nel 1969, Penrose avrebbe dimostrato che "un buco nero può immagazzinare quantità enormi di energia sotto forma di energia rotazionale", e subito dopo J .M. Barden avrebbe osservato - scrivono gli autori- "che nell'universo reale è probabile (sic!) che i buchi neri ruotino su se stessi molto rapidamente: durante il collasso che lo porta a formare un buco nero o ad accumularsi su uno già esistente, infatti, la materia, che inizialmente ruotava a velocità normale, turbinerà sempre più velocemente, inducendo nel buco nero una rapida rotazione. L'energia rotazionale -concludono gli autori- offriva quindi una possibilità alternativa davvero affascinante per spiegare come vengono alimentati i quasar".
Ma come non rendersi conto che l'"affascinante alternativa" contrasta con il fondamento della teoria relativistica dei buchi neri, la loro forma sferica? Se si accoglie l'ipotesi del collasso che produce un oggetto con una rapida rotazione, quindi un oggetto a forma di disco appiattito, tutto il "paradigma" relativistico salta in aria. Invece, Price e Thorne credono di salvarlo immaginando una membrana o "orizzonte allargato" che fasci l'"orizzonte degli eventi". Si tratta ovviamente di un altro espediente di nessun valore, se non quello di costituire un sintomo di crisi del "paradigma relativistico", paradigma che, sventuratamente per la fisica, domina il suo principale settore: la cosmologia.
Come abbiamo visto nella precedente sezione, cresce il numero di teorie cosmologiche, e non sembra affatto vicino il giorno in cui un astrofisico potrà recitare il ruolo del nuovo Copernico. Perciò, il mondo dovrà accontentarsi, nel frattempo, degli "studi e riflessioni di un autodidatta".
* Tratto dai già citati Quaderni di "Le Scienze", Aprile 1993 .
** T.S.Kuhn, "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", 1970.
Tratto da "Il caso e la necessità -L'enigma svelato -Volume Secondo Fisica" (1993-2002)
Tratto da "Il caso e la necessità -L'enigma svelato -Volume Secondo Fisica" (1993-2002)
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