lunedì 30 gennaio 2012

II] La provvidenza divina di Vico come rifiuto della necessità fatale e del caso

(Continua) Per arrivare a comprendere che la certezza geometrica vale solo in sé stessa e non per l'applicazione della geometria alla fisica, ci voleva un pensatore libero da pregiudizi e flessibile. Lo possiamo constatare con alcuni esempi. Così nel campo della morale e della vita civile, Vico indica la prudenza, ma solo perché "i fatti umani sono dominati dall'occasione e dalla scelta, che sono incertissime". E ancora: "dato, dunque, che le azioni della vita pratica sono valutate in conformità ai momenti e alle contingenze delle cose, cioè alle cosiddette circostanze, di cui molte sono estranee e inutili, alcune spesso non conseguenti e talvolta anche avverse, al proprio fine, i fatti umani non possono misurarsi con il criterio di questa rettilinea e rigida regola mentale". Occorre, perciò, secondo Vico, flessibilità.

Ad un certo punto, in due sole paginette, egli si scusa di non aver trattato della teologia cristiana, senza per altro neppure accennare alla divina provvidenza. Ciò conferma che egli riesce ancora a pensare liberamente perché dimentica la teologia, e può quindi ritenere la vita quotidiana di ciascun individuo dominata da circostanze contingenti, da nessuno volute, perciò casuali sia riguardo alle occasioni sia a riguardo delle scelte, incertissime. Da dove deriva, allora, la necessità?

Distinguendo la necessità della scienza da quella della prudenza civile, Vico scrive: "Quanto alla scienza essa differisce dalla prudenza civile in questo: eccellono nella scienza quelli che ricercano una causa sola da cui poter ricavare molteplici fenomeni della natura, mentre nella civile prudenza prevalgono quelli che cercano quante più cause di un sol fatto per congetturare quale sia la vera. Ciò perché alle più alte verità mira la scienza, alle più piccole la saggezza, onde si distinguono i tipi dello stolto, dell'astuto analfabeta, del dotto maldestro e dell'uomo savio".

venerdì 27 gennaio 2012

I] La provvidenza divina di Vico come rifiuto della necessità fatale e del caso

Appena ricevuta la cattedra di retorica nel 1698, Giambattista Vico (1668-1744) scrive un saggio dal titolo "De nostri temporis studiorem rationem", con l'intento di creare una nuova epistemologia in netta polemica col moderno pensiero scientifico cartesiano. Se prendiamo in considerazione questo scritto di Vico, prima della sua opera maggiore: "La scienza nuova" (1730), è perché vi troviamo alcune motivazioni che spiegano la sua soluzione fondata sulla divina provvidenza, nonostante in un primo momento egli si sia limitato a negare sia la necessità fatale che il caso, senza per altro dar troppo peso alla provvidenza.

Nel sostenere l'importanza del senso comume per l'educazione dei giovani, Vico scrive: "Il senso comune si genera dal verosimile come la scienza si genera dal vero e l'errore dal falso. E in effetti il verosimile è come intermedio tra il vero e il falso, giacché, essendo per lo più vero, assai di rado è falso". E ricorda che "Platone inclinava per il verosimile". Egli dice anche che "il fine di tutti gli studi che oggi si osserva, si celebra, si onora da parte di tutti" è "la verità"; ma poi ritiene che "tutto ciò che l'uomo può conoscere, come anche l'uomo stesso, è finito e imperfetto".

mercoledì 25 gennaio 2012

IV] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) In uno degli ultimi suoi scritti, il filosofo di Lipsia riassume la sua concezione in maniera molto sintetica: "La sostanza è un essere capace d'azione. Essa è semplice o composta. Sostanza semplice è quella che non ha parti. Sostanza composta è l'unione delle sostanze semplici o monadi. Monas è un termine greco, che significa unità, o ciò che è uno. I composti o corpi sono molteplicità, le sostanze semplici, le vite, le anime, gli spiriti sono unità. Ed è necessario che vi siano sostanze semplici ovunque, perché senza di esse non vi sarebbero quelle composte; perciò tutta la natura è piena di vita".

Come si vede, Leibniz ha rifiutato gli atomi materiali, non potendo evitare, però, per coerenza col metodo riduzionistico della scienza (ereditato dalla teologia), gli atomi spirituali: le monadi. E il lungo discorso su Leibniz potrebbe chiudersi qui, se non avessimo ancora da prendere in considerazione un esempio citato da Bayle, che ci permetterà di concludere sul tema fondamentale del rapporto caso-necessità.

lunedì 23 gennaio 2012

III] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) Le obiezioni contenute nella risposta di Arnauld presentano un notevole interesse, sia in se stesse, sia per lo stimolo sul pensiero di Leibniz. Arnauld scrive: "Sarete dunque costretto a dire che tutto il resto della natura non è se non "qualcosa d'immaginario e di solo apparente": e a maggior ragione dovrete dire lo stesso di tutte le opere dell'uomo", in quanto appunto opere collettive. Riguardo agli animali, Arnauld sottolinea giustamente le grandi estinzioni, compresa quella del diluvio universale. E che ne fu delle loro anime? Riguardo agli aggregati, egli distingue i semplici "aggregati per accidente", come un mucchio di pietre, da una casa o un orologio. Così, dice, un pezzo d'oro, una stella e un pianeta possono essere considerati come accidentali, ma gli animali sono del secondo tipo: perché, infatti, "un cavallo o una pianta d'arance non potranno essere considerati ciascuno come un'opera completa e compiuta, al pari di una chiesa o di un orologio?"

Se consideriamo la dialettica naturale caso-necessità, distinguendola dal binomio umano scopo-necessità, le difficoltà rilevate da Arnauld possono essere così risolte: l'orologio è un prodotto voluto per un determinato scopo, ottenuto mediante una determinata serie di operazioni umane necessarie, predeterminate; lo stesso vale per la casa, mentre animali e piante sono il risultato non voluto dei processi naturali che rovesciano la casualità in necessità soltanto come prodotto raro di un grande dispendio (estinzioni); infine, il mucchio di sassi è anch'esso un risultato non voluto, puramente casuale: si tratta di una casualità comune, irrilevante, se non per il fatto che dimostra il dispendio stesso, essendo il risultato di erosioni, rotture e spostamenti dovuti ad agenti naturali, per questi sassi, puramente casuali (come puramente casuale è che certi mucchi di sassi finiscano nei selciati per essere calpestati, mentre altri finiscano negli altari per essere adorati). Ma un pianeta e una stella non possono essere considerati come puri accidenti, essi sono un risultato della dialettica naturale caso-necessità, al pari degli animali e delle piante: rappresentano, infatti, la necessità complessiva come rovesciamento della casualità relativa ai singoli elementi.

venerdì 20 gennaio 2012

II] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) Si potrebbe dire di Leibniz che la sua mente teologica respinge le ingegnose idee della sua mente scientifica: così egli non può accettare teologicamente l'idea di abbandonare l'individuo al caso, perciò immagina come soluzione che Dio abbia la visione completa della nozione individuale di Alessandro, fino al punto di conoscere a priori se egli è morto di morte naturale o per avvelenamento, cosa che noi possiamo stabilire solo a posteriori.

In questo modo, Leibniz giunge a concepire una "connessione di tutte le cose" così assoluta da poter dire "che in ogni tempo si trovano nell'anima di Alessandro i resti di tutto ciò che gli è accaduto, e perfino le tracce di tutto ciò che avviene nell'Universo; sebbene Dio solo sia in grado di riconoscerle tutte". Il reale caso, relativo alle singole cose e ai singoli individui, diventa per Leibniz la fittizia necessità della connessione assoluta di tutte le cose e di tutti gli individui, di cui solo Dio è garante e perfetto conoscitore. Ma ogni falsa soluzione comporta il solito prezzo da pagare: il sorgere, da un'altra parte, di una contraddizione insolubile.

"Abbiamo detto -egli scrive- che la nozione di sostanza individuale racchiude, una volta per tutte, tutto ciò che le potrà accadere". La conseguenza di questa asserzione è che la necessità fatale appare eliminare la libertà contingente: "Sembra, con ciò, che la differenza tra verità contingenti e necessarie sia distrutta, che la libertà umana non abbia più alcuna latitudine, che una fatalità debba regnare su tutte le nostre azioni, così come sul resto degli avvenimenti del mondo".

mercoledì 18 gennaio 2012

I] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

Tra i filosofi e gli scienziati dell'epoca moderna, Gottfried Leibniz (1646-1716) è l'unico che abbia dedicato una costante e profonda attenzione al difficile rapporto caso-necessità, sebbene nella forma della opposizione tra contingenza e necessità. Nelle "verità prime" del 1686, sia pur riferendo a Dio la verità delle cose, Leibniz compie una fondamentale riflessione: dopo aver distinto la verità in "verità affermativa, universale o singolare, necessaria o contingente", osserva: "qui si nasconde il segreto mirabile della natura della contingenza, ovvero la differenza essenziale tra verità necessarie e verità contingenti, e la difficoltà della necessità fatale delle cose, anche libere, ne viene eliminata"

Come vedremo, se per il pensiero teologico la difficoltà della necessità fatale non può essere eliminata, per il pensiero scientifico è proprio vero che il segreto da svelare è la differenza tra universale e singolare, che è anche la differenza tra necessario e contingente (o casuale); e ciò perché dire universale significa dire necessario, e dire singolare significa dire casuale.

Leibniz non poteva, però, giungere a queste conclusioni, perché, per poter affermare la casualità intrinseca al singolo, bisogna sbarazzarsi della teologia, la quale non ammette che il singolo individuo sia abbandonato al caso. Non potendo sbarazzarsi della teologia per princìpio, e avendo una mente scientifica per formazione, Leibniz, nel tentativo impossibile di conciliare il pensiero scientifico col pensiero teologico, sarà costretto a veri e propri tours de force intellettuali che gli permetteranno di oltrepassare, con le sue ingegnose intuizioni, i limiti della propria epoca.

martedì 17 gennaio 2012

Il naufragio al Giglio e il cigno nero di Taleb

Il vero dramma all'isola del Giglio non è il naufragio di una enorme nave con il suo carico di morti e di drammi personali. Il vero dramma è che sia potuto accadere per l'inettitudine di un solo uomo. Anche ammettendo, essendo ormai appurato, che il capitano della nave si sia comportato come un ragazzino in vena di bravate, resta il fatto drammatico che una simile bravata sia potuta accadere.

In molti settori dell'attività umana esistono possibilità remote di eventi catastrofici simili a eventi catastrofici naturali, con i quali, anzi, interagiscono. Uno dei più recenti è stato provocato da una catastrofe naturale (terremoto con tsunami in Giappone) che ha coinvolto delle centrali nucleari. Che cosa accomuna questi eventi? La rarità, che li identifica con i cigni neri di Taleb. Un cigno nero si caratterizza, infatti,  per essere un evento imprevedibile e molto raro.

lunedì 16 gennaio 2012

II] L'energia, la forza e... il bosone di Higgs

2. La repulsione (energia) primigenia genera il suo opposto polare: l'attrazione (massa)

(Continuazione) Alla base della possibilità che il bosone di Higgs ha di generare le masse, viene posto il concetto di campo, inteso in termini quantistici come manifestazione dello scambio di una particella mediatrice. Così, il campo elettromagnetico è quel campo nel quale il fotone rappresenta la particella mediatrice. La particella in questione, come già sappiamo, media anche la forza o interazione elettromagnetica.

Per pura analogia, e soltanto per coerenza con questo modello teorico, si attribuisce anche al campo gravitazionale una particella mediatrice: il gravitone. E così di seguito: i tre bosoni vettoriali W-, W+, Zo mediano la forza debole, e ben otto gluoni quella forte. E poi occorre considerare i rispettivi campi (uno per particella!). E così siamo arrivati al bosone di Higgs che media un'interazione nel campo di Higgs. Nulla di più convenzionale o fittizio poteva concepire la fisica delle particelle!

sabato 14 gennaio 2012

III] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

(Continuazione) Nella seconda parte dell'Etica: "De Mente", che prendiamo in considerazione in questo paragrafo, concentreremo la nostra attenzione soprattutto sulle idee di Spinoza a riguardo delle cose singolari e delle cose complessive, in connessione alla necessità, alla causalità e al caso. Cominciamo con la definizione VII: "Per cose singolari intendo le cose che sono finite ed hanno un'esistenza determinata. Che se più individui concorrono in una medesima azione in modo che tutti siano insieme causa di un medesimo effetto, io li considero tutti, per questo rispetto, come una sola cosa singolare". Quindi Spinoza considera cosa singolare, o singola cosa anche un complesso di più cose singole, che, in quanto tale, determina un certo effetto.

Poiché nel 1° assioma egli dice che "l'essenza dell'uomo non implica l'esistenza necessaria, cioè, secondo l'ordine della natura, può accadere tanto che questo o quell'uomo esista, quanto che non esista", ne possiamo dedurre che per lui, relativamente al singolo individuo, non esista alcuna necessità: la determinazione necessaria non riguarda i singoli individui. Non è quindi un caso che Spinoza sia anticartesiano non essendo un determinista riduzionista.

Se Cartesio si preoccupava di ridurre il complesso al semplice, considerando la complessità come qualcosa di confuso e incomprensibile, Spinoza al contrario concepisce la natura come vari ordini di complessità. Infatti scrive: "Quando più corpi di medesima o diversa grandezza sono premuti dagli altri in modo che aderiscano gli uni agli altri, in modo che, se si muovono col medesimo grado o con diversi gradi di velocità, si comunichino reciprocamente i loro movimenti secondo un certo rapporto, noi diremo allora che questi corpi sono uniti tra di loro e che tutti compongono insieme un solo corpo, ossia un Individuo, che si distingue da altri per quella unione di corpi".

venerdì 13 gennaio 2012

II] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

(Continuazione) Nella critica al finalismo divino, come proiezione del finalismo umano, Spinoza fornisce anche la giusta spiegazione del sorgere delle divinità nella mente dell'uomo. Secondo lui, poiché gli uomini agiscono sempre in vista di un fine, cioè in vista dell'utile a cui aspirano, poiché inoltre trovano i mezzi per il raggiungimento dei loro fini in sé e fuori di sé, e poiché sanno di averli trovati ma non prodotti, essi immaginano che esista qualcuno che abbia curato le cose al fine dell'utile dell'uomo. Da qui l'idea degli dei che dirigono "tutte le cose per l'uso degli uomini allo scopo di legarli a sé e da essere tenuti da essi in sommo onore"; e da ciò molteplici modi d'intendere questo rapporto tra gli dei e gli uomini, come tentativi di ricerca del modo migliore di farsi amare dalla divinità, così da ottenerne più profitto, in modo tale da soddisfare la "propria cieca cupidigia", la "propria insaziabile avidità".

Spinoza rincara la dose della sua sferzante critica: "Ma mentre così cercavano di mostrare che la natura non fa nulla invano (cioè nulla che non sia per l'uso degli uomini), essi non hanno mostrato altro, mi sembra, se non che la natura e gli Dei sono colpiti dal medesimo delirio degli uomini". E, quando essi, tra tante cose utili della natura, ne hanno trovate di nocive, come tempeste, terremoti, malattie, hanno giustificato la cosa come ira degli dei per le offese degli uomini, come peccati da espiare. E ciò avveniva, aggiunge Spinoza, nonostante "l'esperienza protestasse quotidianamente ad alta voce e mostrasse con innumerevoli esempi che i casi utili e i nocivi capitano egualmente senza distinzione ai pii e agli empi".

mercoledì 11 gennaio 2012

I] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

In questo paragrafo mostreremo l'altra faccia del determinismo assoluto della scienza moderna fondato sulla causalità divina: quella non riduzionistica e anticartesiana, che troviamo espressa nella concezione di Baruch Spinoza (1632-1677). Si tratta di un determinismo concernente non già le singole cose, ma i complessi. Mentre, come vedremo, Leibniz attribuì la necessità alle singole cose e considerò i complessi come aggregati casuali e contingenti, Spinoza attribuì la necessità ai complessi e concepì per le singole cose infiniti nessi causali indeterminabili.

Se Spinoza non fosse stato dominato dalle esigenze teologiche, ovvero dalla obbligatoria subordinazione al dogma della causalità divina*, obbligazione alla quale tutti gli studiosi dell'epoca erano doverosamente vincolati, avrebbe potuto considerare gli infiniti nessi tra le singole cose come espressione dell'oggettiva casualità, e, in questo modo, avrebbe potuto stabilire l'oggettivo rapporto tra la singolarità casuale e la complessità necessaria. Invece, egli non poté risolversi a fare altro che attribuire gli infiniti nessi singoli a Dio: con ciò dimostrando che la causalità divina ha continuato a prendere il posto della casualità naturale,  posto che l'antico pensiero greco, per primo, aveva negato al caso.

Per il nostro scopo, prendiamo in considerazione l'opera principale di Spinoza, l'"Etica", pubblicata nel 1660, ventitre anni dopo il "Discorso sul metodo" di Cartesio e ventotto anni dopo i "Dialoghi sopra i due massimi sistemi" di Galileo. Nella prima parte, "De Deo", con la proposizione VI, egli attribuisce a Dio quegli infiniti attributi che spettano di fatto alla materia: "Intendo -egli scrive- per Dio un essere assolutamente infinito, cioè, una sostanza costituita da un'infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita". Nella proposizione VIII stabilisce che "Ogni sostanza è necessariamente infinita". Quindi, nella proposizione XIV afferma: "0ltre a Dio non si può dare né si può concepire alcuna sostanza." Infine, nella proposizione XV, conclude: "Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita". Insomma, in senso teologico, Spinoza pone Dio in luogo della materia.

lunedì 9 gennaio 2012

I] L'energia, la forza e ... il bosone di Higgs

1. La repulsione (energia) primigenia genera il suo opposto polare: l'attrazione (massa)*

Abbiamo visto che la teoria quantistica concepisce la "forza" senza alcuna considerazione del rapporto che essa ha con l'energia. Anzi, per evitare ogni problema di rapporto energia-forza, i fisici teorici sostengono che più che una forza si tratta di "interazione". Ma poi, per specificare questa generica interazione, essi la fanno "mediare" da una cosa: ovvero dalla particella portatrice della forza stessa. Un vero e proprio marchingegno!

Però, osservando il comportamento delle quattro forze fondamentali, la teoria quantistica non ha potuto fare a meno di osservare che raggio d'azione e intensità variano l'una dall'altra. Il raggio d'azione della forza elettromagnetica e della forza gravitazionale è talmente grande che la teoria standard si è risolta a definirlo infinito; inoltre entrambe le forze diminuiscono con l'aumentare della distanza. La forza forte e la forza debole hanno, invece, un raggio d'azione infinitesimo; ma tra queste due forze c'è una rilevante differenza: la forza debole ha un raggio minore di quella forte, e quest'ultima diminuisce con la diminuzione della distanza, mentre aumenta con l'aumento della distanza.

Così stanno le cose per la teoria standard, che, come vedremo in seguito, non ha saputo spiegare queste differenze, accontentandosi di soluzioni fittizie, purché "valide" matematicamente, anche se fisicamente "strane". Da ciò quello che è ormai diventato un vanto e un segno distintivo della fisica quantistica: il comportamento strano delle (sue) particelle.

venerdì 6 gennaio 2012

La concezione di Locke della opinione fondata sulla probabilità

Con John Locke (1632-1704) si tocca con mano la proverbiale incapacità teorica degli anglosassoni, ovvero la superba superficialità metafisica del pensiero comune applicato alla teoria della conoscenza. Come aveva osservato Engels, Locke prende i concetti come fossero qualcosa di dato una volta per tutte, fisso e immutabile, senza alcuna connessione tra loro. Per dare un'idea della povertà di questo modo di pensare, basterà considerare come Locke concepisce la formazione dei termini generali nel linguaggio.

"Sembra -egli dice- "che il significato delle parole debba essere singolare e individuale, perché tutte le cose esistenti sono particolari; nondimeno si vede tutto il contrario in tutti gl'idiomi del mondo, di modo che la maggior parte delle parole sono generali. Questo però non è nato dal caso, ma dalla ragione e dalla necessità". E qual'è la principale ragione da lui addotta? L'impossibilità "che ciascuna cosa avesse il suo nome particolare"! E "come si formano le idee generali e i nomi generali?"

Locke anticipa il metodo del buon Piaget, prendendo un fanciullo e indagando il suo modo di ragionare: allora, il fanciullo, prima, compie osservazioni particolari (es. padre e madre), poi osserva che altri rassomigliano a suo padre e a sua madre e quindi si forma un'idea generale che chiama uomo. Allo stesso modo sorgono idee generali come animale, corpo, sostanza! Più facile di così!

mercoledì 4 gennaio 2012

Il meccanicismo deterministico assoluto di Hobbes

Contemporaneo di Cartesio, ma anche di Cromwell, l'empirista Thomas Hobbes (1588-1679) non fa che riflettere, nella sua concezione meccanicistica, 1) da un lato la vecchia impostazione aristotelica, anche se rovesciata, 2) dall'altro la sovrastruttura sociale e politica della sua epoca.

1) Riguardo al primo punto, mentre Aristotele assimilò la natura ai meccanismi prodotti dall'uomo, Hobbes ritiene che l'uomo imiti il meccanicismo della natura. In sostanza, egli attribuisce all'uomo la peculiarità di imitare il modo di operare della natura, che a sua volta è stato, fin da Aristotele, concepito a imitazione del modo di operare dell'uomo. Il brano che segue, tratto dalla sua opera fondamentale, il Leviatano, è di una chiarezza estrema:

"La natura, l'arte con cui Dio ha fatto il mondo e lo governa, è imitata dall'arte dell'uomo, come in molte altre cose, anche in questo: che si può fare un animale artificiale. Se infatti la vita non è altro che un moto delle membra, il cui inizio è in qualche parte principale interna, perché non potremmo dire che tutti gli automata (macchine che si muovono da sé per mezzo di molle e di ruote, come un orologio) hanno vita artificiale?" E così anche il corpo umano è considerato come un orologio, composto di parti, con il cuore simile a una molla, i nervi simili alle corde, le articolazioni simili alle ruote, ecc. E lo Stato, il grande leviatano, che cosa è se non un uomo artificiale di gigantesche dimensioni?

lunedì 2 gennaio 2012

La "massa di Planck" e il "bosone di Higgs"

La dialettica repulsione-attrazione della materia

E' un gioco di parole fin troppo facile dire che dalla fisica quantistica ce ne possiamo attendere di tutti i colori, anche se dubitiamo che oltre la teoria superstandard e oltre i supercolori questa via possa essere ancora percorribile, nonostante ci si trovi ancora molto lontani dalla "massa di Planck", il limite estremo in cui i fisici quantistici credono di trovare l'unificazione delle forze. Quindi, non si capisce proprio dove andranno a sbattere la testa.

In questo capitolo ci proponiamo di dimostrare che, per la strada battuta dai fisici quantistici, è impossibile comprendere il movimento reale della materia alle alte energie, perché essi trascurano la principale polarità dialettica della materia: quella di repulsione-attrazione. In secondo luogo cercheremo di chiarire che, se non si distinguono tra loro qualitativamente i concetti di energia e di massa, la fisica teorica entra in contraddizione con le sue stesse affermazioni, e finisce nel vicolo cieco dell'unificazione delle forze. Cominceremo perciò dalle contraddizioni relative alle asserzioni attorno alla "massa di Planck" e al "bosone di Higgs".
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