mercoledì 20 aprile 2011

Società civile, Stato e individui sociali 4°

Occorre partire dal concetto che l'impossibilità di governare le cose, di ottenere risultati voluti secondo scopi prefissati, è la principale ragione del governo delle persone, e lo Stato rappresenta il principale strumento di governo degli individui della società civile, anche se non l'unico. Questa funzione può essere esercitata in varie forme e con diversa intensità. La forma più oppressiva, quella cosiddetta "totalitaria", si è manifestata in epoca più recente soltanto in occasione di due guerre mondiali. L'imperialismo della prima metà del Novecento ha prodotto forme di governo delle persone che in guerra hanno agito in tutti i settori della società civile, irreggimentando ogni individuo nella direzione dello sforzo bellico. Si è trattato del cosiddetto "fronte interno", nel quale tutti i cittadini sono stati sottoposti a disciplina militare.

L'imperialismo, in tempo di pace, ha però seguìto un altro principio: la divisione sociale del lavoro governa le persone, mentre lo Stato interviene soltanto come regolatore sociale, svolgendo la funzione di "moderatore dei conflitti sociali". A parte rari casi di legislazioni repressive nei confronti di una classe o di una organizzazione politica, l'azione dello Stato si manifesta di regola come azione sugli individui. Il diritto penale e civile è una questione che riguarda i singoli: il principio giuridico fondamentale è la responsabilità personale.

L'azione dello Stato sui singoli individui si affida ai bracci della legge, forze dell'ordine e giudici. Ogni singolo giudice, in rapporto a singoli episodi di "illegalità", in rapporto alle proprie relazioni sociali e politiche, in rapporto alle proprie preferenze e ai propri pregiudizi, ossia in maniera ampiamente discrezionale, affonda il pesante braccio della legge nella grande urna sociale per estrarne gli "sventurati". Incappare nelle cosiddette maglie della legge è questione che ha più a che fare con il caso che con la necessità. Per il singolo individuo, indipendentemente dalla sua reale posizione nella società civile, ogni occasione sia buona che cattiva, sia una fortuna o una sfortuna, dipende dai capricci del caso.

A sua volta, ogni Stato ha i suoi giudici, le sue forze dell'ordine, le sue carceri, ma anche milioni di pratiche giuridiche su milioni di individui. Si va dal delitto più efferato alla più banale controversia: una strage e uno schiaffo hanno uguale dignità giuridica di fronte alla legge che tutto contempla senza nulla comprendere. La legge è cieca, ma soltanto perché è il caso che spadroneggia.

La casualità delle infinite singole azioni si rovescia nel suo opposto, in necessità, soltanto in termini statistici; ma, nel groviglio della "giustizia", ossia nel groviglio del "governo delle persone", la necessità si manifesta come ingovernabilità sociale complessiva e il caso come disgrazia individuale. Questa è la regola generale. La statistica, applicata alla "giustizia", dimostra la necessaria ingovernabilità delle persone nel loro complesso, mentre al singolo individuo può capitare di tutto.

L'azione dello Stato, anche quando è diretta nei confronti di grandi organizzazioni "a delinquere", oppure di gruppi o classi sociali antagonisti allo Stato stesso, rimane sempre un'azione sulle singole persone. Lo Stato non si muove come organizzazione contro altre organizzazioni interne a una nazione; non si muove come un esercito contro altri eserciti: non concede pari dignità. E così, mentre ogni partito politico (o qualsiasi altra organizzazione) combatte, in termini organizzativi, altri partiti (o organizzazioni), lo Stato, invece, combatte il singolo cittadino "fuori legge". Perciò esso è impotente nei confronti di organizzazioni che lo avversano o lo contrastano; e spesso è costretto a venire a patti dichiarati o taciti; e più spesso ancora lascia fare senza intervenire.

Engels aveva notato che "l'enorme massa di uomini" dell'enorme territorio imperiale "era tenuta unita da un solo vincolo: lo Stato romano". Ma se l'impero romano riuscì in questo, fu perché esso era fondato sull'industria della guerra; perciò lo Stato romano, quando doveva combattere popolazioni riottose o organizzazione sediziose, lo faceva come organizzazione militare, inviando le sue legioni. Lo Stato moderno democratico ha fatto questo soltanto in tempo di guerra: lo ha fatto Hitler, ma anche Roosevelt, Churchill e Stalin.

In tempo di pace si possono, invece, sviluppare con tutta comodità organizzazioni d'ogni genere, il cui potere complessivo è considerevole. Sono organizzazioni che spesso sommano le loro forze e talvolta le sottraggono contrastandosi reciprocamente. La risultante costituisce un potere concorrente a quello dello Stato, che talvolta si assomma al potere statale, ma altre volte, contrastandolo, lo indebolisce. Se poi consideriamo che anche partiti politici, sindacati e Chiesa hanno come fine il governo delle persone, senza dimenticare la stampa e la televisione, ovvero la categoria dei giornalisti che, creando l'opinione pubblica, mirano allo stesso fine, per conto terzi ma anche per conto proprio, possiamo avere un'idea di quanti poteri si confrontino e si contrastino sul terreno del governo delle persone, proprio perché non sono in grado di governare le cose. Questi poteri si avviluppano l'uno sull'altro creando un groviglio casuale inestricabile.

E, sebbene questo groviglio di poteri della società attuale si manifesti nella comunità come ottusa necessità e nell'individuo come aumento di rischio e assoggettamento al capriccioso caso, nel pensiero politico, nella sociologia e nella giurisprudenza contemporanei hanno assunto la dignità di un principio positivo: il pluralismo-relativista democratico, che viene blandito e vezzeggiato come superba espressione della fase attuale della "globalizzazione".

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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