mercoledì 6 aprile 2011

In attesa dei risultati di LHC III


Una storia "esemplare" del modo di operare della matematica in fisica

Sebbene nella fisica quantistica la produzione matematica degli infiniti fosse stata considerata una disgrazia, cui mettere riparo con le "rinormalizzazioni", nella fisica cosmologica non solo essi furono accettati ma, concepiti come singolarità, vennero considerati persino come risultati reali dei collassi di stelle di grande massa. Il principale responsabile di questa svolta della fisica cosmologica è stato il matematico-fisico indiano Chandra (diminutivo di Chandrasekhar).

Arthur Miller, nel suo libro dal titolo molto espressivo "L'IMPERO DELLE STELLE Amicizia, ossessione e tradimento alla ricerca dei buchi neri" (2005), che può essere considerato anche una biografia scientifica di Chandra, ripercorre le varie tappe di una "ricerca" matematica, che iniziò dallo studio delle nane bianche, alla corte di Eddington, incontrastato sovrano di Princeton. Utilizzando questo testo, potremo in breve farci un'idea del modo in cui dei talenti matematici finirono con l'accettare gli infiniti matematici, giungendo a concepire la singolarità dei "buchi neri".

Scrive Miller che, nel 1917, Eddington "si era imbarcato in un'ambiziosa ricerca per rintracciare la struttura base che era alla radice di tutte le stelle. Lo chiamava il suo "modello standard", e comprendeva le sue idee in continuo sviluppo sulla costituzione delle stelle. Secondo le sue parole, "sembrava che, per la formazione delle stelle, la natura abbia un modello standard davanti a sé e (...) non tolleri significative deviazioni". Il suo obiettivo era quello di descrivere ciò che accadeva all'interno di una stella interamente per mezzo di strumenti matematici".

Insomma, Eddington sosteneva decisamente che la natura dovesse seguire necessariamente un modello, quello immaginato dal matematico-fisico e descritto soltanto con strumenti matematici. Ma, all'epoca, siamo ancora nel bel mezzo della Grande Guerra, la presunzione della matematica pura era ancora guardata con sospetto. Ad esempio, P.W. Merrill, citato da Miller, nel suo libro "Variable stars" sostenne che gli articoli sulla costituzione delle stelle erano solo "esercizi con le equazioni differenziali". Queste, le sue esatte parole: "Le riviste tecniche sono colme di articoli molto elaborati sulle condizioni all'interno di modelli di sfere gassose; queste discussioni hanno tuttavia, per la massima parte, il carattere di mere esercitazioni in fisica matematica, piuttosto che di indagini astronomiche, ed è difficile giudicare il grado di rassomiglianza tra i modelli e le stelle reali. Le equazioni differenziali sono come servitori in livrea: averli al proprio servizio è indice di onorabilità, ma sono degli "yes men", sempre pronti per lealtà a sostenere e amplificare le idee offerte loro dal padrone".

Merrill denunciava, con irriverente sarcasmo, la prassi di una matematica che permetteva qualsiasi congettura, modello e formula senza alcun obbligo nei confronti dell'oggetto reale. Ma poi anche lui accettava la relatività generale, senza vedere la non rassomiglianza del modello matematico con il suo oggetto: l'universo.

Anche il matematico-fisico Milne faceva il realista, scrivendo a Chandra nel 1931: "La tua conclusione, nella sua forma attuale, emerge dalle curiose proprietà della degenerazione relativistica, ma penso che tu sia caduto nell'errore di Eddington, di inferire conseguenze fisiche da ciò che può essere solo un trattamento algebrico incompleto". C'è anche da osservare che il richiamo al "realismo", che persino Eddington utilizzò spesso contro teorie che non approvava, stava diventando un'abitudine sempre più finalizzata a contrastare teorie rivali, nella generale competizione. Perciò possiamo rilevare anche il paradosso per il quale la non corrispondenza tra i modelli matematici e il mondo reale veniva invocata non per favorire la conoscenza reale, ma solo per favorire le proprie congetture matematiche.

All'epoca, Chandra, Milne, Fowler ecc., sotto l'occhio vigile di Eddington, si interessavano alla massima densità delle stelle, ipotizzando il conseguente collasso. Iniziarono con le nane bianche e continuarono con le "pulsar", quando furono scoperte empiricamente, ma poi si impappinarono con i pretesi "buchi neri". Il loro modo di procedere fu quello di elaborare matematiche molto "creative", senza alcun corrispettivo con la realtà, tutti quanti condizionati dalla relatività generale di Einstein.

Per farla breve, concepirono la faccenda come se realmente una stella potesse "finire in una singolarità". Così, negli anni '50, Harrison, Wakand e Wheeler arrivarono a sostenere ciò che nessuno aveva mai osato (per una residua forma di considerazione per la realtà fisica), ossia che "non era affatto da escludere che una stella con una massa sufficientemente elevata potesse collassare all'infinito, fino a diventare un "nessun luogo"."

A questo punto, entrarono in scena Colgate e White che eliminarono ogni residuo dubbio: le stelle potevano subire un collasso continuo e infinito. Scrive Miller: "Come Wheeler esclamò entusiasta, rivolgendosi a Colgate, "La cosa eccezionale, Stirling, è che queste cose [ossia le invenzioni matematiche] diventano realtà!"." Era la realtà, appena scoperta empiricamente delle pulsar o stelle di neutroni. Ma le stelle che collassano in pulsar non collassano all'infinito. Queste stelle confermavano soltanto la possibilità del collasso, non la realtà della singolarità. Dalla possibilità del collasso alla pretesa singolarità, ipotizzata da Chandra, il passo non era affatto breve, nonostante la soddisfazione di quest'ultimo.

A questo punto della sua storia, Miller, osserva: "I fisici erano pronti ad accettare qualsiasi scenario, per quanto strano, illogico, contraddittorio o categoricamente impossibile, purché avvalorato dalla matematica. Gli astrofisici mostravano invece molta meno apertura mentale, ma a poco a poco anche loro impararono ad accettare l'inevitabile, che cioè una stella potesse scomparire nel nulla".

Questa accettazione della oggettiva irrealtà fisica da parte dei matematici puri (prestati alla fisica) non deve sorprendere (ma neppure passare inosservata o considerata come un dato di fatto positivo): chi aveva accettato per buono l'irreale modello matematico dell'universo quadrimensionale immaginario della relatività generale, era ormai vaccinato nei confronti di ogni altra irrealtà e, perciò, di qualsiasi assurdità. Ormai tutti remavano dentro la stessa barca ... matematica.

Nel ricordare l'entrata in scena di Penrose, Miller, completamente a suo agio, può scrivere: "Ne uscì con la prova inconfutabile (sic!), enunciata nel più complesso e rigoroso dettaglio matematico, che ogni qual volta una stella scompare oltre il proprio orizzonte degli eventi, è destinata a proseguire il collasso sino a diventare una singolarità. Era un'argomentazione che ribadiva la possibilità del collasso completo, in termini puramente teorici".

In termini teorici si può ben concepire un collasso completo, un collasso estremo che dia luogo alla massima densità della materia. Ma se la logica matematica non sa rendere conto della massima densità della materia perché le sue equazioni producono infiniti, la soluzione reale viene a mancare. Al suo posto troviamo una fittizia soluzione: l'accettazione di un'assurda, irreale, singolarità prodotta soltanto dalla matematica. 

Per finire, Chandra affermò che effettivamente le stelle enormi potevano contrarsi fino al nulla, scomparendo in una "nicchia dello spazio tempo" (!); e Wheeler (1967) coniò il termine di "buco nero" per indicare ciò che restava della stella scomparsa.

Al termine del suo libro, Miller cita le recenti "scoperte" della matematica astrofisica: i tunnel nello spazio tempo, il "buco di tarlo" e altre assurdità del genere, ricollegando queste mirabilia alla scoperta di Chandra. In conclusione, la matematica domina talmente le discipline della fisica da chiudere gli occhi dei fisici teorici, indirizzandoli verso qualsiasi follia. C'è solo da chiedersi: quando si decideranno a riaprirli?

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Scritto nel 2009
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