mercoledì 13 aprile 2011

la questione della "scelta" e della "decisione" nell'azione umana 1°

Nell'analizzare la questione della valutazione dell'azione umana, ci imbattiamo in un'altra questione: quella della "scelta" o "decisione". Come vedremo, questi due termini vengono confusi tra loro pur essendo di natura opposta. Secondo Abbagnano ("Dizionario filosofico"), il termine decisione "corrisponde a ciò che Aristotele e gli Scolastici chiamavano scelta (!), cioè al momento conclusivo della deliberazione nella quale si determina l'impegno verso una delle due alternative possibili". E sebbene Aristotele definisse la scelta "un'appetizione deliberata che concerne cose che dipendono da noi", Abbagnano sostiene: "Ma libera o determinata, la decisione è costantemente intesa dai filosofi come l'atto della discriminazione dei possibili o dell'impegno in una delle alternative possibili".

Definire la decisione in termini di scelta è lo stesso che dire: la decisione è una scelta, ma la decisione sembra essere, nella definizione di Abbagnano, una scelta fra più possibilità, nonostante Aristotele avvertisse molto giustamente che si può scegliere solo ciò che dipende da noi.

Sempre secondo Abbagnano, con il termine di scelta s'intende "Il procedimento con cui una possibilità determinata, a preferenza di altre, viene assunta o fatta propria o decisa o realizzata in modo qualsiasi". Se la scelta viene o assunta o fatta propria o decisa o realizzata, essa sembra appartenere a una sfera più ampia di quella della decisione. Comunque entrambe sembrano definirsi a vicenda. E a complicare le cose si aggiungono altri due termini che hanno a che fare con le definizioni di scelta e decisione: la "possibilità" e la "libertà". "Il concetto di S [scelta] è strettamente legato a quello di possibilità, sicché non solo non c'è S. dove non c'è possibilità (giacché la possibilità è per l'appunto ciò che si offre a una S.) ma neppure c'è possibilità dove non c'è S. giacché l'anticipazione, la progettazione o la semplice previsione delle possibilità sono scelte. D'altro lato il concetto di S. è una delle determinazioni fondamentali del concetto di libertà".

Di fronte a quattro termini: (decisione, scelta, possibilità, libertà) da correlare, non stupisce che Abbagnano sia costretto ad ammettere che "La nozione di S. è stata sempre ampiamente utilizzata dai filosofi, specialmente nella discussione del problema della libertà ma non è stata frequentemente sottoposta ad analisi". E ancora: "Della nozione di S. si fa oggi un uso larghissimo in tutte le scienze e specialmente nella matematica, nella logica, nella psicologia e nella sociologia. Ma come si è detto, raramente essa viene sottoposta ad analisi da queste scienze, che ne presuppongono il significato corrente".

Questa negligenza non deve stupire: la difficoltà della riflessione, sulla scelta in generale e sulla decisione in particolare, deriva dalla impossibile connessione di questi concetti tra loro e con i concetti di possibilità e libertà. E' qui che casca l'asino epicureo, dal quale filosofi, logici, matematici, ecc. non si sono mai liberati: si tratta del falso nesso tra possibilità, caso e libertà, stabilito da Epicuro. Come abbiamo dimostrato in altra sede, la possibilità non è omogenea alla libertà, ma al caso: tutto ciò che è possibile si può realizzare, ma anche non realizzare, soltanto per circostanze in ultima istanza casuali. Di conseguenza, se la libertà è concepita in termini epicurei, la pretesa "libertà di scelta" non ha senso, identificandosi con la scelta casuale; e anche la decisione, definita come scelta, sarebbe a sua volta casuale, ossia arbitraria. Coerentemente con l'impostazione epicurea si dovrebbe concludere che l'uomo non può scegliere né decidere in altro modo che arbitrariamente. Altro che libertà!

Ma di quale uomo parliamo? Della specie umana, delle classi, delle comunità, delle organizzazioni quali i partiti, le aziende, ecc., oppure dei singoli individui? Nella concezione dei filosofi, la scelta e la decisione riguardano l'io, il singolo individuo. Allora la domanda da porsi è: il singolo individuo non può fare altro che scegliere e decidere in maniera casuale e arbitraria? Nella nostra concezione che pone al primo posto i complessi, la domanda è però un'altra: in relazione ad essi ha senso il concetto di scelta? E come va inteso il concetto di decisione?

Per rispondere a queste domande, dobbiamo partire da una diversa impostazione, fondata sulla oggettiva, reale differenza tra i concetti di scelta e di decisione. La scelta riguarda soltanto le preferenze soggettive dell'individuo, che possono trovare soddisfazione soltanto se la scelta dipende dal soggetto che sceglie: ad esempio, si può scegliere di mangiare pere o mele che sono nella dispensa, ma non si può scegliere di pasteggiare tutti i giorni con caviale e champagne se non si è milionari.

Decidere deriva, invece, dal latino "tagliare", che sta a indicare un giudizio definitivo, una risoluzione che pone fine a ogni dubbio e incertezza. Diversamente dalla scelta, che riflette delle preferenze soggettive individuali, la decisione riflette qualcosa di più oggettivo e necessario che può anche contrastare le preferenze individuali. Chi, ad esempio, decide di obbedire a una necessità imposta, di qualsiasi genere essa sia, non opera una scelta secondo le sue preferenze. Così, l'espressione di "scelta obbligata" è in realtà un ossimoro: se c'è di mezzo un obbligo, non ci può essere scelta. E ancora, mentre chi sceglie può sempre illudersi d'essere "libero", anche se è menato per il naso dai capricci del caso, chi decide ha ben pochi motivi di sentirsi "libero".

A questo punto, possiamo già fissare una prima conclusione: la scelta individuale è, per sua natura, soggettiva e arbitraria, perché soggetta al caso (che, a torto, appare libertà all'individuo che sceglie); la decisione, all'opposto, non è per sua natura soggetta al caso, perché non ha nulla a che fare con la scelta: non ha alcun senso l'espressione decidere una scelta, perché la scelta è semplicemente elezione di una preferenza tra diverse possibilità. La decisione, in quanto risoluzione che pone fine a ogni dubbio e incertezza, ha a che fare con la conoscenza; così si può decidere realmente soltanto ciò che è conosciuto come il modo più corretto di eseguire un'azione: Engels l'ha definita "decisione con cognizione di causa". Certo si può anche "decidere" senza cognizione di causa, ma in questo caso non si decide realmente, perchè si sceglie, invece, a casaccio fra diverse possibilità. Allo stesso modo chi "decide" secondo le sue preferenze, non decide realmente, limitandosi a compiere realmente una scelta. Questa è la ragione fondamentale per cui la decisione appare spesso, giustamente, all'individuo l'imposizione di una cieca necessità.

Ma è soprattutto nella sfera della conoscenza umana che è necessario comprendere, sulla base della sostanziale differenza tra scelta e decisione, che la scelta non può reclamare alcun diritto, perché la soluzione delle difficili questioni della scienza non ha nulla a che vedere con le preferenze individuali, dipendendo soltanto da leggi di necessità che lo studioso deve riconoscere come indipendenti da se stesso. Cosi, la decisione di accettare una soluzione scientifica non è "libera", nel senso della preferenza individuale, ma è obbedienza alla legge di necessità. La libertà dello studioso si manifesta non nella "libera scelta" o nelle cosiddette "libere creazioni mentali", ma nella indipendenza da ogni altro potere coercitivo che non sia il potere della conoscenza reale, il potere della verità scientifica.

Riassumendo: l) la scelta può essere fatta con apparente libertà, solo se riguarda limitatissime sfere d'azione individuale che dipendono dal soggetto che sceglie; ma nella maggioranza dei casi non si può neppure scegliere ciò che si preferisce, perché non esistono le circostanze favorevoli: ad esempio mancano i mezzi economici; 2) la decisione può essere libera solo se si fonda sulla "cognizione di causa"; ed è tanto più libera, quanto più è conosciuta la sfera d'azione della decisione stessa; in questo senso la decisione non coincide necessariamente con la scelta preferita: in ogni campo la decisione migliore è quella suggerita dalla necessità conosciuta (ciò che non esclude l'abitudine triviale di decidere ciò che si è scelto, per cui la decisione viene abbassata a pura e semplice scelta arbitraria); ma nella maggior parte dei casi, le decisioni individuali sono in realtà decisioni imposte da altri (ad esempio da un potere superiore), o che si impongono all'individuo come cieca necessità (ad esempio la necessità di sopravvivenza).

Nella vita reale, "scelta" e "decisione" si trovano quasi sempre in contrapposizione, perché le necessità comuni (famiglie, organizzazioni varie di appartenenza dell'individuo, etnie, religioni, ecc.) impongono, per lo più, decisioni che sono in contrasto con le preferenze individuali. Questo contrasto spiega più di ogni altra ragione l'esigenza per ogni organizzazione di avere "l'uomo giusto al posto giusto": si tratta infatti di utilizzare, per la realizzazione di decisioni per l'interesse comune, un uomo che non sia impedito dalle sue preferenze personali. E ciò può avvenire soltanto se le decisioni comuni sono in sintonia con le preferenze personali di quell'uomo. In altre parole,"l'uomo giusto al posto giusto" è l'uomo dal quale la decisione presa per l'interesse comune è sentita come congeniale alle proprie preferenze (in altre parole, qualità, capacità, attitudini, ecc.): perciò questi si comporterà esattamente come se la decisione comune fosse la sua stessa scelta personale.

Ma anche la soluzione dell'"uomo giusto al posto giusto" non risolve la questione teorica della "scelta" e della "decisione" nell'ambito dell'azione umana in generale, e dell'azione in campo sociale, economico, politico, ecc., in particolare. La storia umana mostra ampiamente la seguente circostanza: che non solo non esiste libera scelta individuale, ma che la maggior parte delle volte, la decisione ha come fondamento non la conoscenza della realtà, della necessità complessiva, bensì l'illusione o persino l'allucinazione, e come conseguenza non risultati necessari ma una massa di risultati non voluti, spesso spazzatura della storia -che gli storici pretendono ripulire, ordinare, come se fosse possibile dare un ordine al caos prodotto da eventi arbitrari.

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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