sabato 9 aprile 2011

La dialettica estinzione-selezione naturale

La totalità dei naturalisti, dopo aver accettato le estinzioni in massa di specie, generi e ordini ecc., hanno ritenuto doveroso e necessario ricercarne le cause. Poiché sono passati ormai quasi due secoli da quando Cuviér ammise lo spopolamento di interi continenti, attribuendolo a immani catastrofi, e nel frattempo nessuna connessione necessaria di causa ed effetto è riuscita ad imporsi, nonostante il gran numero di ipotesi formulate, delle quali si è tentata ogni sorta di verifica, c'è da chiedersi se la ragione del fallimento non vada ricercata più nella teoria che nella ricerca empirica.

Dal punto di vista della teoria della conoscenza, occorre superare il punto di vista limitato, proprio del determinismo, per affermare una concezione dialettica che interpreti, in generale, il fenomeno delle estinzioni come la principale prova della legge del dispendio biologico, che guida l'evoluzione delle specie animali imponendo una selezione caratterizzata dall'affermazione di specie statisticamente eccezionali, sorte sulla base dell'estinzione stessa. 

Poiché l'evoluzione delle specie non ha una direzione predeterminata e privilegiata, ma procede casualmente in tutte le direzioni, ciò significa che soltanto casualmente, in ogni periodo, alcune specie sono eccezionalmente favorite rispetto ad altre, in relazione ad altrettanto casuali modificazioni delle condizioni ambientali, che comportano diverse circostanze di adattamento. Da ciò consegue che, necessariamente, per un numero limitato di specie favorite, che rappresentano una eccezione statistica, un gran numero di specie, al contrario, si estingue.

In sostanza, è mediante la legge del dispendio che si può comprendere la reale dinamica della evoluzione delle specie viventi, come sintesi dialettica di caso e necessità, in quanto la necessaria evoluzione progressiva è soltanto un'eccezione statistica sorta dalla casuale evoluzione in tutte le direzioni che finisce di norma, prima o poi, in un gran numero di estinzioni. In questa concezione, l'estinzione è considerata un dato di fatto che non ha bisogno d'essere provato: al contrario, essa stessa è assunta come prova, come conferma della legge generale.

Allora, chi ricerca le cause delle estinzioni in massa, senza aver compreso la dialettica caso-necessità, di fatto, elude il caso per poter stabilire una connessione necessaria di cause ed effetti. Come abbiamo già tentato di dimostrare, nel groviglio della natura la necessità può sorgere soltanto dalla casualità, mentre la connessione di causa ed effetto può aver un valore molto modesto e soltanto entro limiti ben definiti. Noi possiamo anche cercare le cause dell'estinzione diretta di una determinata specie, ma cercare la causa di immani estinzioni o, peggio ancora, del generale fenomeno dell'estinzione, è pura chimera.

Quando il determinismo crede di poter trovare la causa delle estinzioni in massa, ogni volta immagina di trovarla in eventi che sono soltanto casuali per le specie estinte: a cominciare dalle variazioni climatiche, per finire con i giganteschi asteroidi capitati sulla terra. Anche ammettendo, ad esempio, di trovare la prova dell'estinzione catastrofica dei dinosauri, ciò non significherebbe nulla dal punto di vista teorico, perché sarebbe soltanto uno dei tanti eventi accidentali, in questo caso, invero eccezionale, dell'evoluzione in tutte le direzioni. Fondamentale è, invece, dal punto di vista teorico, l'ammissione del fatto che la maggior parte delle specie animali sono destinate ad estinguersi, indipendentemente dal modo, per la cieca necessità della legge del dispendio che guida l'evoluzione.

Perciò non c'è nulla di strano nelle estinzioni, che variano in quantità e qualità nei tempi lunghi: esse sono lo sbocco finale di un gran numero di specie (venute fuori dalla casuale evoluzione in tutte le direzioni), che rappresentano il serbatoio dal quale talvolta la sorte (il caso) estrae l'eccezionale specie progressiva.

La stranezza è invece un'altra, ed è una stranezza gnoseologica: quando il determinismo pretende di scoprire la vera connessione di causa ed effetto, sia particolare che generale, finisce sempre col non trovarla; al contrario, trova delle accidentalità che non può eludere. Allora, poiché metafisicamente concepisce o solo la necessità o solo il caso, ecco che si vede costretto a rovesciarsi nel suo opposto: nell'indeterminismo che afferma la legge del caso! In questo modo i naturalisti continuano ad oscillare come pendoli tra due estremi, inconciliabili. Non è quindi un caso che essi continuino ad elaborare teorie bipolari.

Così, non è un caso che, nella ricerca delle cause delle estinzioni, siano venute emergendo due posizioni opposte: la prima, quella dei catastrofisti, la cui paternità risale a Cuviér, che sostengono l'importanza prioritaria dei grandi eventi improvvisi come le catastrofi naturali; la seconda, quella dei gradualisti, attribuibile ai neodarwinisti, che spiegano l'evoluzione in termini di cambiamento graduale.

Come si vede, la prima concezione poggia sul caso, in quanto le catastrofi non possono essere considerate in altro modo che come fenomeni accidentali; la seconda poggia, invece, sulla necessità dei cambiamenti graduali successivi. Se quest'ultima teoria ha dominato su parecchie generazioni di naturalisti, senza per altro riuscire a trovare le pretese cause delle estinzioni, la prima comincia a prendere sempre più piede.

W. Alvarez e F. Asaro, in un articolo del 1992, dal titolo "Un impatto extraterrestre"*, scrivono: "Le catastrofi hanno un ruolo importante anche nel pensiero evoluzionistico. Se un impatto fortuito avvenuto 65 milioni di anni fa può aver distrutto metà delle forme di vita, allora la selezione naturale non è il solo fattore trainante dell'evoluzione. Le specie non solo devono essere ben adattate, ma devono aver anche fortuna".

Insomma, di fronte all'impatto di grandi catastrofi, il pensiero deterministico non può più chiudere gli occhi di fronte al caso, ed è costretto ad ammettere che la selezione, intesa come necessità degli individui più adatti, non può spiegare la necessità dell'evoluzione. "Se disastri casuali possono episodicamente annientare intere schiere di organismi ben adattati, allora la storia della vita non è prestabilita così come non è detto che l'evoluzione tenda inesorabilmente a dare origine a forme di vita intelligente come gli esseri umani".

Avendo la prova della non predeterminazione necessaria dell'evoluzione ed essendo questa prova un evento casuale, il pensiero metafisico non può evitare di pensare che l'evoluzione debba essere casuale. Quindi, che l'evoluzione abbia dato origine alla vita cosciente è solo un caso, è soltanto una possibilità che poteva anche non realizzarsi. Insomma, non si esce da questa continua oscillazione tra i due poli di una opposizione diametrale: o solo il caso o solo la necessità. Ma, finché la teoria scientifica non si sarà liberata da questa oscillazione metafisica, sarà vano attendersi dagli scienziati una teoria appena decente.

In definitiva, il determinismo, non trovando le cause delle estinzioni, lascia il campo all'indeterminismo che può solo "accontentarsi" di immaginare possibili accidenti. La conseguenza è che cresce il numero delle ipotesi possibili, appena plausibili dal punto di vista logico. Così, chi ammette la possibilità di impatti di asteroidi, può immaginare, come Norman Sleep della Stantford University e colleghi, che "quando gli impatti di asteroidi erano più frequenti, la vita ai suoi primordi possa essersi estinta più di una volta".**

Ciò che non vuole entrare nella testa di questi deterministi al rovescio è che il caso non si limita a servirci delle catastrofi che persino degli orologiai ciechi non possono evitare di vedere, ma continuamente interviene a livello dei singoli eventi, oggetti, organismi, ecc. naturali. Perciò, l'evoluzione è un percorso lastricato di accidenti, dai più minuti ai più grandiosi. Trovarsi "a riflettere di tanto in tanto sul fatto che dobbiamo la nostra esistenza di esseri pensanti a quel catastrofico impatto che 65 milioni di anni fa portò all'estinzione i dinosauri" non solo significa fondare la propria riflessione su qualcosa che può anche non essere accaduto, ma significa riflettere in maniera meschina, perché fa dipendere l'esistenza dell'organismo cosciente da un unico evento fortuito.

Di estinzioni "funzionali" alla venuta al mondo dell'uomo, l'evoluzione ne ha prodotte a non finire, e con quella cieca necessità che soltanto sul caso trova il suo fondamento. Ora, se noi consideriamo le grandi estinzioni che i nostri modesti mezzi di rilevamento geologici ci hanno permesso di registrare, a partire dal Cambriano, ossia dal periodo della rapida evoluzione delle specie animali, ne possiamo contare otto, durante le quali la percentuale degli organismi estinti supera di gran lunga quella dei sopravvissuti. Se a queste, che possiamo considerare "catastrofiche", aggiungiamo le estinzioni "graduali", il numero degli organismi estinti cresce fino a raggiungere un livello tale da poter essere considerato la prova di un vero e proprio dispendio oggettivo.

Del resto non si vede la necessità scientifica di contrapporre i salti catastrofici alle modificazioni graduali, che il pensiero dialettico riesce ad interpretare benissimo come poli opposti, che si rovesciano l'uno nell'altro: le modificazioni graduali preparano i salti catastrofici, e questi permettono di nuovo periodi di modificazioni graduali. Così è valido sostenere sia che l'affermarsi dei dinosauri ha comportato una progressiva estinzione di specie più primitive, sia che la loro estinzione catastrofica ha posto le basi per uno sviluppo graduale dei mammiferi. Ma, per la stessa ragione, possiamo sostenere che in ogni momento della evoluzione delle specie, avvengono continue estinzioni di varia entità, o gradualmente o per salti, provocate semplicemente da casuali intrecci di modificazioni accidentali dell'ambiente e di accidentali variazioni degli organismi viventi. In fin dei conti, il sorgere dell'unica specie uomo, senza parenti troppo stretti, può significare soltanto l'estinzione di un certo numero di specie cugine (quante non sappiamo, ma tutte senz'altro... dato che siamo rimasti soli)***.

Allora, come va concepita la selezione naturale? Innanzi tutto, come un risultato della evoluzione guidata dalla legge del dispendio. In questo senso, essa è un risultato non voluto, non una causa. Ma noi dobbiamo anche chiarire che per selezione, in senso più generale, bisogna intendere risultati complessivi, evolutivi di lungo periodo, ossia, in primo luogo, regni animali, ecc. ordini, ecc., e anche specie, che però abbiano rappresentato una evoluzione progressiva: la selezione di specie statisticamente eccezionali, sorte casualmente dal grande dispendio di numerose specie stagnanti o finite in un vicolo chiuso, o estinte; specie che hanno permesso la formazione di raggruppamenti  con possibilità di sviluppo progressivo.

Mentre in questo senso generale, la selezione naturale appare la cieca necessità prodotta dal caso, in un senso più particolare, nel senso, cioè, della selezione dell'organismo più adatto a particolari circostanze, o delle singole specie più adatte a circostanze di breve periodo, allora la selezione va considerata come puramente casuale. Essa rappresenta un risultato provvisorio, e, in quanto tale, contribuisce al serbatoio dal quale la sorte estrarrà la specie straordinaria che può evolvere fino ai prodotti più elevati. Così, da una prima specie mammifera sono sorte specie più o meno fortunate fino alla specie più progredita in assoluto: l'uomo.

*  Articolo pubblicato su "Le Scienze" Quaderni, a cura di Pietro Omodeo,1992
** Citazione del suddetto articolo
*** Precisazione aggiunta l'11 dicembre 2013

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Tratto da "Caso e necessità - l'enigma svelato - Volume terzo Biologia" (1993-2002) Inedito

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