domenica 17 aprile 2011

Due criteri di valutazione dell'azione umana 3°

Per chiedere lumi sulla questione della valutazione dell'azione umana più che ai filosofi occorre rivolgersi a uomini d'azione che abbiano riflettuto sul loro campo di attività. E chi meglio di Napoleone si presta a questa istanza? Questo genio dell'arte militare può insegnare qualcosa sul tema in questione, perché, per compiere la sua opera, ha dovuto necessariamente valutare gli uomini sia singolarmente che complessivamente. Così è giunto a comprendere il rapporto caso-necessità concependo il caso come l'imprevedibile probabilità singola e la necessità come la prevedibile e calcolabile statistica complessiva.

"Mai sono stato padrone delle mie azioni -dice Napoleone nelle sue Massime-, non sono mai stato completamente me stesso. Ho sempre governato il mondo secondo le circostanze". "Proprio perché so quanta parte abbia il caso mi sono mantenuto lontano dai pregiudizi e indulgente sulle vicende umane". Poiché il caso ha molta rilevanza sulle vicende dei singoli uomini, nessuno può essere completamente se stesso e pretendere di attuare ciò che la propria costituzione fisica e mentale predilige, perciò nessuno può essere giudicato implacabilmente.

Se dall'individuo passiamo all'attività militare, anche qui troviamo il caso. In guerra, dice Napoleone- "l'esito di una battaglia dipende da un istante, un'idea. Si viene alla mischia, si combatte un pò. Poi l'istante decisivo: la scintilla che fa prendere una direzione invece di un'altra". Quindi l'attimo fuggente, imponderabile, decide l'esito di una battaglia molto più della ferrea necessità; anzi è il caso, che si rovescia nella cieca necessità, a trasformare un esercito combattente in un esercito in rotta e l'altro nell'esercito vittorioso che insegue la sua preda. Troppi sono gli elementi che, singolarmente presi, appaiono casuali: così una sola pallottola per pochi centimetri potrebbe decidere una battaglia. Del resto, se una pallottola vagante avesse ucciso Napoleone alla sua prima battaglia importante, non avremmo avuto questo genio militare. Qui il caso gioca il suo ruolo preponderante.

Ora, se una battaglia ha in sé questo esito incerto, lo stesso si può dire della vita quotidiana di ogni uomo, in lotta con le avversità e per conquistare qualcosa. Ne deriva che ogni uomo cercherà di prendere ogni precauzione. Ma non c'è precauzione contro il caso. Ecco perché Napoleone può affermare: "Il tormento delle precauzioni è poi peggio del pericolo che si vuole evitare: meglio affidarsi al destino". Se non c'è precauzione contro il caso, meglio affidarsi al "destino", ossia al caso stesso che, senza preavviso, ci procura l'evento imprevedibile, inatteso: piuttosto che tormentarsi con le precauzioni, meglio essere pronti nell'attimo fuggente.

Ne consegue che per valutare un uomo occorre vederlo alla prova con il caso imprevedibile che determina una necessità imprevista. Così, secondo Napoleone: "Per giudicare giustamente gli uomini, bisogna vederli colà dove li sorprendono gli avvenimenti: penetrarsi di quanto essi fanno in quel tempo tanto di bene quanto di male, e accertarsi che non potevano agire diversamente da quanto fecero". E ancora: "Per giudicare un uomo a fondo devesi giudicarlo pei suoi tempi d'infortunio".

Napoleone fornisce qui il criterio di valutazione dei singoli uomini: se essi sono soggetti al caso imprevedibile, possono essere valutati soltanto alle prese con avvenimenti che li sorprendono, ossia con infortuni o successi provocati dal caso stesso. Non per nulla "Il caso è la provvidenza degli avventurieri" ed è la bestia nera dei previdenti. A tal proposito, Balzac ha osservato: "Strano a dirsi, quasi tutti gli uomini d'azione hanno una tendenza alla fatalità, come la maggior parte dei pensatori propendono per la provvidenza". Per Napoleone, uomo d'azione, il "fato" è in realtà il caso che si rovescia in necessità.
   
Ed è qui che scopriamo quanto egli sia stato superiore a molti filosofi del suo tempo, avendo chiarito la differenza esistente tra la probabilità e la statistica: la prima che riguarda i singoli individui, la seconda che riguarda i complessi. Per lui la sfera della probabilità è quella del caso che tormenta ogni uomo: "Quando ci sentiamo sbilanciati nella sfera della probabilità, non possiamo frenare l'immaginazione". Invece "la statistica è il budget delle cose": la statistica è il bilancio che ci permette di conoscere i risultati complessivi, sorti sull'ampia base della casualità dei singoli eventi.

Nessuno ha osservato, finora, che l'esempio della cavalleria napoleonica non riguarda soltanto il rovesciamento dialettico della quantità in qualità; che anzi, se ciò avviene, è perché qui possiamo osservare il rovesciamento del caso relativo ai singoli cavalieri nella necessità statisticamente determinabile del complesso di cavalieri. Ciò che possiamo imparare da questo esempio è che se per abilità personale i singoli cavalieri francesi erano inferiori ai singoli cavalieri arabi, la loro organizzazione permetteva a 1.500 cavalieri di sbaragliare una eguale formazione nemica priva di organizzazione: da ciò l'invincibilità della cavalleria francese su quella araba. L'organizzazione permetteva il rovesciamento del caso singolare nella necessità complessiva.

Allora si può affermare che se l'organizzazione permette di eliminare la casualità del risultato singolo non voluto a favore della necessità del risultato complessivo voluto, questo diventa un secondo criterio di valutazione dell'azione umana. Che cosa distingueva sostanzialmente la cavalleria araba da quella francese? Il fatto che i cavalieri arabi, privi di organizzazione, sommavano le loro forze solo algebricamente senza potenziarle. Da questo esempio possiamo trarre un'idea più generale: le azioni umane che si sommano algebricamente non soltanto ottengono risultati inferiori, ma mantengono la qualità casuale tipica delle azioni individuali singole; mentre le azioni organizzate non solo moltiplicano i risultati, ma rappresentano qualcosa di qualitativamente diverso: esse trasformano il caso nella necessità statisticamente predeterminabile.

Insomma, l'uomo ha in sé una capacità che manca alle altre specie animali, quella di trasformare scientemente il caso inerente le azioni dei singoli individui nella necessità dei complessi organizzati, riducendo la casualità fino quasi ad eliminarla.

Sembrano dunque esistere due criteri di valutazione dell'azione umana. I) Il primo consiste nella valutazione dei singoli individui alle prese con l'improvviso caso che si volge nell'imprevista necessità, che può favorire, ostacolare o impedire. II) Il secondo riguarda la valutazione dell'organizzazione, del complesso di individui da cui ci si deve aspettare un risultato predeterminato e potenziato. E se ciò non avviene, è perché, nonostante gli uomini siano aggregati, le rispettive azioni invece di potenziarsi si sommano algebricamente. In questo caso si tratta di organizzazioni soltanto apparenti. I motivi per i quali raggruppamenti di uomini per un determinato scopo, per esempio scientifico, politico, militare, ecc. non riescono a comportarsi come vere organizzazioni che moltiplicano i risultati predeterminati, dipende da circostanze specifiche dei diversi campi d'azione. Per fare un solo esempio: il carrierismo, nella politica, nell'arte militare, nella scienza, ecc. ha sempre favorito risultati casuali e scarso potenziamento organizzativo.

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Tratto da "La dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)
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