domenica 10 aprile 2011

Caso individuale e avventurosa precarietà della vita

In "Letteratura e vita nazionale", Gramsci notava che la maggior parte degli uomini è come Sancho Panza "che non vuole 'avventure', ma certezza di vita", ed "è tormentata proprio dall'ossessione della 'non prevedibilità' del domani', dalla precarietà della propria vita quotidiana, cioè da un eccesso di 'avventure' probabili".

In altre parole, si tratta "di troppa avventurosità della vita quotidiana, cioè di troppa precarietà dell'esistenza", che, secondo Gramsci, colpisce sempre di più i ceti medi e gli intellettuali, i quali si convincono "che contro tale precarietà non c'è modo individuale di arginamento; quindi si aspira all'avventura 'bella' e interessante, perchè dovuta alla propria iniziativa libera, contro l'avventura 'brutta' e rivoltante, perchè dovuta alle condizioni imposte da altri e non proposte".

Chi volesse dilettarsi con ogni sorta di avventure, di improvvisi mutamenti di fortuna, insomma, con ogni forma di caso tipico della condizione di vita individuale, non deve fare altro che leggere i romanzi del Seicento e del Settecento: dai romanzi picareschi ai romanzi di Le Sage, De Foe, Fieldings, ecc., senza dimenticare Zadig e Il Candido di Voltaire, Jacques il fatalista di Diderot e, soprattutto, il Don Chisciotte di Cervantes.

Ma chi fosse interessato a osservare come il caso individuale si rovesci nella cieca necessità dei ceti e delle classi sociali, dovrebbe senz'altro prendere visione della Commedia umana del geniale Balzac.
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