sabato 5 agosto 2017

I concetti convenzionali di legame e di affinità chimica

Il termine di legame è il più usato in ogni campo della conoscenza umana, dalla fisica alla chimica, alla biologia molecolare, fino alla sociologia e alla storia economica, politica e militare. Il senso comune ha sempre concepito il legame in se stesso come qualcosa che tiene unito ciò che senza di esso sarebbe separato. Così, ogni complesso, a partire dall'atomo alla molecola, ecc. è concepito come un composto le cui parti componenti sono tenute insieme da un legame. In fisica questo legame ha sempre preso il nome di forza. Per il senso comune la forza lega ciò che altrimenti sarebbe libero e separato.

Abbiamo già criticato l'uso di questo significato di legame in fisica osservando che, convenzionalmente, si chiama legame, nel senso comune del termine, ciò che tiene unito, ad esempio, un atomo, mentre non si osserva nulla che "leghi", bensì, semplicemente,  una certa quantità di energia mancante: il difetto di massa. Poiché è questa mancanza di energia che "lega", il "legame" sembra essere nient'altro che una privazione.

Avevamo paragonato il reale legame, ovvero l'attrazione tra i costituenti di un complesso, all'energia potenziale gravitazionale, la quale, in quanto tale, è latente, invisibile, e, non appena si manifesta e diventa visibile, non è più se stessa trasformandosi in una forma di energia attiva, libera: cinetica o termica. Così, i cosiddetti legami nucleari, atomici, molecolari sono qualcosa che, nel momento in cui agiscono, non danno alcun segno di sé e, quando danno segno di sé, scompaiono. Poiché per distruggere, ad esempio, un atomo è sufficiente fornire l'energia corrispondente al "difetto di massa", è evidente che ciò che mantiene stabile l'atomo è l'energia mancante e, quando questa si evidenzia con la restituzione, l'atomo si disgrega, ossia il "legame" scompare.


L'unica cosa certa è, dunque, la seguente: che il complesso relativamente stabile può essere disgregato con l'acquisto di un certo quanto di energia, e che un certo numero di elementi possono combinarsi in quel complesso relativamente stabile solo con la perdita di un identico quanto di energia. Credere tutto ciò come conseguenza di un legame, nell'accezione del senso comune, è quindi, soltanto, una convenzione che non rende conto del reale rapporto attrazione-repulsione della materia.

Se passiamo a considerare il rapporto attrazione-repulsione chimica, vediamo che ai termini di "forza" e di "legame" si è aggiunta l'idea di "affinità chimica". Poiché i vari elementi, dall'idrogeno all'ossigeno, ecc. si combinano tra loro chimicamente in maniera specifica, la prima idea che il senso comune scientifico è riuscito a pensare è stata che esistesse una affinità chimica tra gli elementi che si combinano tra loro.

Come sappiamo, un'idea del senso comune ha sempre bisogno di un'analogia presa da un altro campo. Così, quando divenne di moda l'attrazione gravitazionale, l'affinità chimica venne intesa alla stregua della forza gravitazionale. Ma le mode cambiano, anche nelle scienze umane, non appena si apre un nuovo campo di osservazione e di studio. Così è avvenuto in biochimica, come ci racconta Solov'ev.* "L'elettricità divenne di moda e, con il suo aiuto, si cercò di spiegare i più differenti fenomeni; era quindi naturale che, nella ricerca del segreto dell'affinità chimica, gli studiosi si rivolgessero all'elettricità. I chimici avevano anche altre ragioni per dedicare grande attenzione all'elettricità: sottoposti alla corrente elettrica, i corpi si decomponevano e una parte del corpo si dirigeva ad uno dei due poli della batteria, mentre l'altra andava al polo opposto. Il fenomeno della elettrolisi svelò il rapporto esistente tra elettricità e struttura di una sostanza composta. Da ciò alla teoria che le forze che legano tra loro gli atomi fossero di natura elettrica, il passo era breve. Nel 1805-08 la teoria atomistica si arrichì dell'idea estremamente fertile dell'esistenza di un nesso organico tra atomi ed elettricità, e cioè che le molecole avessero una polarità elettrica".*

Però "verso la fine degli anni venti del XIX secolo, il fascino delle teorie elettrochimiche cominciò gradualmente a declinare, e ciò per differenti ragioni". "Il difetto principale della teoria elettrochimica risiedeva nel fatto che essa non dava la possibilità di definire quantitativamente la "forza di affinità"." E venne di moda la termodinamica che sembrò risolvere questa questione. G.H. Hess, nel 1840, affermò: "Ho sempre considerato il calore emesso come la misura dell'affinità chimica". E cinque anni dopo dichiarò:"Se il futuro giustificherà l'opinione che la quantità di calore liberato è la misura dell'affinità, del che fino ad oggi non è nota una sola eccezione, allora la misura della quantità di calore posta in libertà offre la via che porta alla fondazione della teoria dei composti chimici".

Se l'affinità chimica è espressa dalla misura del calore emesso nella formazione dei "composti chimici", essa esprime quella determinata perdita di energia che permette la formazione del "composto". E' la stessa cosa, chiamata con diverso nome, dell'energia di legame nella fisica dell'atomo. Ma, come nella fisica dell'atomo l'interpretazione meccanicistica concepiva come forza ciò che teneva unite le parti del composto, così Thompson definì l'affinità chimica come "la forza che tiene insieme le parti costituenti un composto" e ritenne che "per la misura dell'affinità, per la decomposizione  di un composto, è necessaria una forza la cui grandezza può essere misurata dalla manifestazione termica della formazione del composto dalle sostanze componenti indicate".

Nel 1882 Helmholtz scrisse: "Nel caso dei processi chimici bisogna ammettere la divisione della forza di affinità in due parti, di cui una è suscettibile di trasformarsi in altre forme di lavoro e l'altra può intervenire solo in forma di calore. Mi sono permesso di definire brevemente queste due parti di energia come energia libera ed energia vincolata". Inoltre egli riteneva che "proprio il valore dell'energia, e non quello dell'energia vincolata che si manifesta attraverso la formazione di calore, determinerà in quale direzione può agire l'affinità chimica".

"Quando una reazione chimica ha luogo a temperatura costante l'energia libera varia sempre in un senso, cioè diminuisce. La direzione della reazione è quella che corrisponde alla messa in libertà della massima quantità di energia libera. Helmholtz caratterizzò l'energia libera come la capacità dei processi chimici di produrre lavoro meccanico, e l'energia vincolata come calore latente. L'applicazione del concetto di energia libera diede la possibilità di definire la condizione della trasformazione dell'energia chimica in lavoro".

In questo modo l'affinità chimica veniva sganciata dal concetto di forza e posta in connessione con il concetto di energia e con le trasformazioni dell'energia da una forma all'altra. "La termodinamica chimica" "stabilì definitivamente che la misura dell'affinità è data dalla variazione di energia libera". Ora, c'era la misura di qualcosa senza che ci fosse la comprensione della cosa stessa. "La via termodinamica d'indagine, pur avendo chiarito molto sul "lavoro" della affinità chimica, lasciava tuttavia interamente da parte la questione della natura dell'affinità"."

Riassumendo: per interpretare l'idea spontanea di affinità, il Settecento aveva chiamato in causa la teoria della gravitazione, l'Ottocento chiamò in causa prima la teoria elettrochimica, poi la teoria termodinamica; però la natura dell'affinità rimase un mistero. Alla fine dell'Ottocento i fisici tirarono in ballo l'elettronagnetismo, spingendo i chimici "a comprendere che l'atomo rappresenta l'"arena" dell'azione di forze elettromagnetiche che determinano l'attrazione di una sostanza verso l'altra. L'avvenimento cruciale per la soluzione di questo problema fu la scoperta dell'elettrone, sopravvenuta nel 1897".

Come si vede, ciò che "orienta" le interpretazioni di un concetto inizialmente spontaneo e generico è, ogni volta, l'ultima"scoperta" alla moda. L'affinità chimica, come idea inizialmente semplice e persino tautologica, perché definiva soltanto il fatto che due sostanze si combinano tra loro in quanto "affini", divenne un concetto "evolutivo" conseguente all'"evoluzione" della fisica. Scrive giustamente Solov'ev: "Uno dei lineamenti più caratteristici della chimica del XX secolo è poi la sua crescente "fisicalizzazione". A pieno diritto si può affermare che molti dei progressi della chimica moderna sono stati determinati dai metodi fisici d'indagine, dai calcoli quantomeccanici e dalla analisi della struttura elettronica dei composti chimici".

E' per questa via che si è affermata l'interpretazione fisica del "legame" con il concetto di "legame covalente". "Al nascere del concetto di legame covalente nessuno era in grado di dire perché due elettroni, invece di respingersi, potessero unirsi in una coppia formando un legame stabile tra due atomi. Il significato fisico dell'esistenza di elettroni appaiati vene chiarito nel 1925, dopo la scoperta dello "spin" dell'elettrone. Quando due elettroni presentano spin di opposte direzioni, può aver luogo l'accoppiamento, mentre se gli spin sono paralleli si ha repulsione. La teoria della valenza, integrata dal concetto di spin, ha permesso di comprendere le ragioni fisiche della interazione chimica tra atomi".

Dagli anni '30 il legame chimico diventò un legame quantomeccanico, ossia qualcosa di complicato e convenzionale. "Per spiegare l'azione reciproca tra atomi, la meccanica quantistica introdusse un nuovo tipo di forze, le cosiddette forze di scambio, con l'aiuto delle quali si realizza il legame omopolare". Solo che i chimici non capivano molto il "linguaggio ermetico della chimica quantistica: "l'apparato quantomeccanico, per essi complicato, "occultava" il composto che esso voleva descrivere".

"Negli anni Cinquanta, a sostituire il metodo dei legami di valenza è sopravvenuto il metodo degli orbitali (MO)". Un'altra soluzione convenzionale! "La teoria degli orbitali molecolari appare al tempo attuale la più affermata, ma anche con il suo aiuto è talvolta difficile fare calcoli quantitativi dell'energia di legame". "Inoltre, nel metodo degli orbitali, svanisce il quadro, familiare ai chimici, dei legami tra gli atomi". Insomma, il convenzionalismo fittizio che domina da tempo la fisica ha preso possesso anche della chimica e della biochimica, lasciando irrisolta la questione del reale legame chimico, della reale affinità chimica.

Solov'ev cita R.B. Woodword e C.J. Hoffmann, i quali scrissero: "La chimica rimane una scienza sperimentale: tuttavia gli ultimi venti anni sono stati caratterizzati da una fertile simbiosi della chimica organica con la teoria degli orbitali molecolari. Inevitabilmente ciò ha costituito un matrimonio tra una cattiva teoria e un'eccellente sperimentazione. Sulla base della teoria sono state anticipate conclusioni che erano un tale miscuglio di approssimazioni da non avere il diritto di essere sostenute; tuttavia, nelle mani degli sperimentatori intelligenti, queste idee hanno portato alla creazione di molecole nuove di proprietà inconsuete".

Ma il "legame omopolare", gli "orbitali molecolari", ecc. sono soluzioni convenzionali che non rispondono alle domande fondamentali. Solov'ev le formula nel modo giusto: "E' realmente l'atomo semplice e indivisibile? Che cosa accade degli atomi che entrano in comunità e formano strutture molecolari? Conservano essi la loro "fisionomia" nella composizione delle molecole e come interagiscono gli uni con gli altri?"

Ponendoci, a nostra volta, le stesse domande, avevamo risposto che gli atomi, come qualsiasi tipo di singoli elementi di un complesso, tramontano nel complesso molecolare, si annullano in esso non conservando quella fisionomia che presentano allo stato libero. Per questo motivo è difficile stabilire le reciproche azioni fra gli atomi liberi. E forse non è questa la strada da percorrere, perché ciò che vale a livello atomico non vale più a livello molecolare. In altre parole, ogni contenitore ha le sue leggi particolari.

Per concludere questa breve indagine storica sui concetti di legame e di affinità chimica, la conclusione da trarre è che si tratta di idee indeterminate che lo sviluppo della chimica e della biochimica non è più in grado di precisare, perché il rapporto che sempre più si va affermando tra teoria e sperimentazione è posto su una falsa strada, quella del convenzionalismo fittizio.

"Se nel XIX secolo di regola l'esperimento precedeva le nuove costruzioni teoriche, ora non infrequentemente l'esperienza serviva solo alla verifica di concezioni teoriche derivate da una extrapolazione di precedenti princìpi. Nel caratterizzare la fisica moderna, A. Einstein scrisse: "La fisica rappresenta lo sviluppo di un sistema logico di pensiero, le basi del quale si possono ricavare non con metodi induttivi da precedenti esperienze, ma solo dalla libera invenzione. La fondatezza (veridicità) del sistema riposa sulla dimostrazione dell'applicabilità dei teoremi, che da essa discendono, al campo dell'esperienza dei sensi, potendosi il rapporto tra l'ultima e i primi comprendere solo intuitivamente"."

Solov'ev così concludeva: "E' evidente che la chimica non ha ancora raggiunto quel grado di sviluppo in cui si ha la netta prevalenza della teoria sull'esperimento e la prima si è trasformata in sorgente di nuove conoscenze". Perciò, si può  prevedere, anche per la chimica, la stessa sorte toccata alla fisica: il prevalere di teorie che derivano da "libere creazioni", ossia da formulazioni convenzionali e fittizie sostenute da modelli matematici che si prestano a qualsiasi gioco. Ma la chimica non merita una sorte simile: occorre una teoria che rifletta il reale movimento della vita.


* Jurij I. Solov'ev: "L'evoluzione del pensiero chimico"  (1971-76).


Tratto da: "La dialettica caso-necessità in biologia" (1993-2002)

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