mercoledì 16 agosto 2017

4) La convenzionale teoria immunologica della selezione dell'informazione

Si può senz'altro sostenere che negli anni '60 la teoria immunologica, sulla base del concetto cibernetico di informazione, ha reinterpretato la selezione darwiniana nei termini di selezione dell'informazione immunologica. Per comprendere questa soluzione teorica convenzionale, prenderemo in esame lo scritto di Burnet*, "Il riconoscimento immunologico del sé", pubblicato nel 1960.

"Nel mio discorso -scrive l'autore- affronterò sostanzialmente un solo problema. Come fa l'organismo di un vertebrato a distinguere -in senso immunologico- ciò che gli è proprio (self), da ciò che gli è estraneo (non-self) e come si sviluppa questa capacità". E' questo un problema fittizio che poteva sorgere, soltanto, nella mente di chi non era in grado di comprendere che ogni organismo è inconsapevole dei miliardi di eventi che avvengono in se stesso e che perciò sfuggono completamente al suo controllo.

Burnet si chiede: "Come può un animale immunizzato riconoscere la differenza tra un materiale iniettato, come l'insulina o l'albumina serica proveniente da un'altra specie, e la propria corrispondente sostanza?" E risponde: "Chiaramente si tratta di un problema d'informazione". Pare ovvio che se, per convenzione, si concepisce un problema di riconoscimento, esso sarà per forza un problema d'informazione, perché i due concetti si sostengono a vicenda.

Nell'integrare il nuovo concetto informatico nella teoria immunologica, Burnet dice che occorre respingere la vecchia teoria istruttiva, per affermarne una nuova, quella del riconoscimento-informazione: "... sebbene, i risultati [degli esperimenti su embrioni di pollo] possano essere ricondotti ingegnosamente alla teoria istruttiva dello stampo, essi corrispondono naturalmente e facilmente ai requisiti di una teoria che richiede il trasporto da parte delle cellule di un'informazione  (!),  precedentemente prodotta, che consentirà il riconoscimento (!) di un loro determinante antigenico".

La nuova teoria istruttiva, basata sull'informazione, non respinge, però, l'opposta teoria selettiva. Tutt'altro: "Credo -scrive Burnet- che attualmente, tra gli immunologi, non vi siano dubbi circa l'esigenza di una qualche forma di teoria selettiva con questa caratteristica generale. L'intero campo del rigetto e della tolleranza all'omotrapianto, delle reazioni del trapianto contro l'ospite e dei geni di istocompatibilità richiede una base cellulare dell'immunità e un'origine "selettiva" piuttosto che "istruttiva" della specificità immunologica".

Ora, sebbene Burnet affermasse nel 1960 l'esigenza di una teoria selettiva e ribadisse a chiare lettere "che l'unico possibile tipo di approccio è attraverso una teoria "selettiva" dell'immunità, che deve essere sviluppata su basi cellulari e, probabilmente, clonali", concludeva, poi, in maniera ambigua, affermando: "Una volta che la competenza immunitaria di una cellula è stata svelata (secondo le teorie selettive), oppure prodotta dall'antigene (secondo le teorie istruttive), l'interpretazione dei fenomeni che sorgono successivamente, incluse la produzione di anticorpi e la memoria immunologica, non differiscono l'una dall'altra".

Che cosa potrà mai significare questa ambigua affermazione, se non che le teorie "selettive" e le teorie "istruttive" possono essere collegate tra loro mediante il concetto del riconoscimento che presuppone l'informazione? Il collegamento avviene nella forma di selezione dell'informazione, grazie alla quale sarebbe possibile il riconoscimento. "Il problema diventa, allora, perché e come, in senso evoluzionistico, i vertebrati a sangue caldo manifestano la capacità di riconoscere la presenza nell'organismo di configurazioni estranee, e di dar luogo a un processo di eliminazione di ogni cellula riconosciuta come non propria".

Burnet non riuscì a pensare i fenomeni della tolleranza e della non antigenicità degli autocomponenti come "evolutisi da un processo più antico, mirato soltanto alla protezione delle infezioni periodiche". Mentre poté "concepire il contrario". Ma se lo sviluppo dell'immunità contro i microrganismi patogeni è successiva allo sviluppo della tolleranza e della non-antigenicità degli autocomponenti, ciò avviene perché in senso evolutivo, nei vertebrati, è soprattutto il secondo processo ad essere vitale. Il cosiddetto "riconoscimento" di "configurazioni estranee" all'organismo è soltanto la conseguenza del fatto che, nel periodo fetale, le cellule che "riconoscono" vengono soppresse. Ma, da questo punto di vista, non c'è bisogno del concetto fittizio di "riconoscimento", perché tutto si risolve con l'affermazione dell'eccezione statistica fondata sui grandi numeri di cellule, delle quali gran parte viene soppressa e una piccola parte sopravvive perché "neutrale".

Nella interpretazione informatica, invece, la faccenda assume tutt'altra connotazione: "A ragione l'essere in grado di riconoscere la presenza di cellule che presentino configurazioni molecolari improprie, impedendo loro una successiva proliferazione, potrebbe risultare una caratteristica adattativa. Sarebbe un vantaggio per l'organismo mantenere una sorveglianza sull'ortodossia (sic!) della propria struttura chimica, e soffocare l'eresia (!!!) prima che possa diffondersi".

Insomma, di fronte alla minaccia della cieca necessità fondata sul caso, si preferisce un sistema immunitario con un potere paragonabile a quello della Santa Inquisizione, i cui principali compiti dovevano essere la sorveglianza dell'ortodossia e la repressione dell'eresia. Ma, per poter supporre una simile analogia, per poter supporre la possibilità di una "sorveglianza" basata sul "riconoscimento", ecc. occorrerebbe una coscienza "religiosa" della natura, una predeterminazione dei fenomeni naturali e, in particolare, dei fenomeni biologici, che nella realtà non esiste.

Per Burnet "sarebbe necessario proprio un meccanismo come quello richiesto per spiegare la tolleranza immunitaria. Da questo punto di vista, la facoltà del riconoscimento immunologico diviene una componente intrinseca dei controlli omeostatici che conservano l'organismo in condizioni ottimali". Insomma, era necessario un meccanismo per garantire quella necessità o quella regolarità che il pensiero teorico immunologico, al pari del pensiero teorico della biologia molecolare, non riuscì a concepire come rovesciamento del caso in necessità. E così i meccanismi, le capacità di riconoscimento, le informazioni, le memorie acquisite, ecc. sono tutti concetti fittizi che hanno illuso gli immunologi di poter evitare di fare i conti con l'ampia base della casualità che si rovescia in cieca necessità in ogni processo e fenomeno da essi studiato.

* Virologo australiano

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Rileggendo il Capitolo XIV del mio Terzo volume inedito, "La dialettica caso-necessità in biologia" (1993-2002), capitolo riguardante il pensiero immunologico, ho ritenuto che fosse ancora valido e che fosse arrivato il momento di pubblicarlo in 10 post, quanti sono i suoi paragrafi.

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