Nel
1959 usciva uno scritto di Lederberger* che rappresenta il passaggio dal
momento più alto della teoria immunologica (ancora sospesa tra la nuova
concezione della selezione naturale e la vecchia concezione istruttivista) alla sua
involuzione. Esaminando questo scritto avremo modo di comprendere il
successivo sviluppo meccanicistico-convenzionale dell'immunologia, che,
per uno strano scherzo del destino, subirà la stessa sorte dell'oggetto
che studiava: quella che sembrava essere una evoluzione era, invece, il
chiaro segno di un processo involutivo. E' ciò che ci proponiamo di
dimostrare analizzando il carattere involutivo della cellule immunitarie
e l'involuzione della teoria immunologica.
Scriveva Lederberger: "Un anticorpo è una globulina che compare nel siero di un organismo animale in seguito all'introduzione di una sostanza, l'antigene. Ciascuna delle numerose globuline reagisce spontaneamente con un particolare antigene. Lo scopo di questo lavoro è la formulazione di un meccanismo plausibile per spiegare il ruolo dell'antigene nell'induzione della sintesi di grandi quantità di una globulina specifica a esso complementare. Un elemento importante di ogni teoria della formazione degli anticorpi è l'interpretazione che essa fornisce del riconoscimento del sè, ovvero dei modi in cui l'organismo distingue i propri costituenti dalle sostanze estranee, le quali sono stimoli efficaci della risposta immunitaria".
Come si vede, se la formazione delle globuline è ritenuta ancora casuale e apparentemente non costituisce un problema, sorge, invece, il problema dell'induzione da parte dell'antigene alla sintesi di molti anticorpi specifici, che l'autore si propone di risolvere formulando un meccanismo plausibile fondato su un nuovo concetto di tipo istruttivo: il cosiddetto riconoscimento del sé. Il meccanismo plausibile altro non è, però, che una soluzione convenzionale, così come sono convenzionali tutti i termini che abbiamo posto in grassetto.
Ma se seguiamo l'elaborazione di Lederberger, vediamo che la faccenda è articolata e complessa. Egli propose come sintesi teorica nove proposizioni. La nostra critica comincia dalla proposizione principale, "3. La diversità genetica dei precursori delle cellule che producono anticorpi trova origine nell'alta frequenza di mutazioni spontanee durante la loro continua attività proliferativa". L'autore precisava tre punti: "a) le cellule che sintetizzano gli anticorpi sono cellule specializzate; b) la loro diversità nasce da alcuni processi casuali; c) la diversificazione di queste cellule continua, insieme alla loro proliferazione, durante la vita dell'animale".
La principale caratteristica è, dunque, la diversificazione casuale delle cellule che producono anticorpi, la quale deriva dall'alta frequenza di mutazioni casuali del DNA, e dipende dalla continua attività proliferativa. Ma l'autore non ha compreso che la diversificazione casuale contraddice la "specificità": casualmente, ogni singola cellula sintetizzerà una diversa globulina e, casualmente, questa potrà incontrare l'antigene omologo, a sua volta, casualmente, penetrato nell'organismo.
"4. L'ipermutabilità si basa sull'assemblaggio casuale, durante taluni stadi della proliferazione cellulare, del DNA che forma il "gene per la globulina"." Di nuovo, qui, si sottolinea la casualità della diversificazione delle cellule produttrici di anticorpi, chiamata ipermutabilità. ma poi si fa marcia indietro osservando che "Questa ipotesi ad hoc è senza dubbio la più vulnerabile delle proposizioni e, sicuramente, la più lontana dalle osservazioni sperimentali. E' diventato chiaro che la replica accurata, e non la mutabilità, è il vero fenomeno eccezionale, qualunque sia il meccanismo particolare dell'origine della variazione".
Questa conclusione rappresenta il punto di svolta verso l'involuzione della teoria immunologica. Paradossalmente, Lederberger introduceva un'ipotesi convenzionale, la "replica accurata" garantita da un meccanismo, dopo avere fatto passare l'ipotesi realistica della ipermutabilità casuale come ipotesi ad hoc. Qui si può osservare l'incapacità del pensiero di mettere in connessione il caso e la necessità e di comprendere che il "fenomeno eccezionale" è proprio l'eccezione statistica sorta sulla base dei grandi numeri casuali. Come vedremo, su miliardi di cellule linfocitarie alcune migliaia rappresentano l'eccezione statistica che permette, ogni volta, di intercettare l'antigene di turno tra i milioni di antigeni possibili.
Il punto 4. mentre attribuisce al caso il ruolo suo proprio, gli dà il benservito introducendo un elemento estraneo, convenzionale: un preteso meccanismo. Si può cogliere qui, in nuce, ciò che in seguito sarebbe diventato un vero diluvio di meccanismi, invocati per tamponare le falle prodotte dall'ampia base della casualità, relativa alle cellule del sistema immunitario, mai accettata dagli immunologhi quale fondamento ciecamente necessario della risposta immunitaria.
"5. Ogni cellula, appena comincia a maturare, produce spontaneamente piccole quantità dell'anticorpo corrispondente al suo genotipo. Va rilevata l'implicazione che l'anticorpo è sintetizzato prima dell'introduzione dell'antigene nella cellula che produce gli anticorpi. La funzione dell'anticorpo spontaneamente prodotto è quella di marcare (sic!) le cellule preadattate a reagire con un dato antigene, sia per sopprimere queste cellule allo scopo di indurre l'intolleranza immunitaria (...), sia per stimolarle a una massiccia sintesi di anticorpi (...)".
Come si vede, le proposizioni 4 e 5 rappresentano lo spartiacque che divide un pensiero immunologico in formazione, che ha tutte le carte in regola per evolvere nella direzione giusta -perché ha messo al posto giusto la casualità-, da un pensiero immunologico che subisce una involuzione -perché nega il ruolo del caso e pretende di formulare meccanismi "plausibili", con le loro "funzioni", e i loro "scopi", ecc. Partendo dai processi reali si torna indietro ai meccanismi cartesiani convenzionali.
L'introduzione arbitraria del concetto di funzione per scopi inesistenti giustifica formalmente il concetto fittizio di "marcatura", col quale si crede di poter descrivere e spiegare qualcosa che rimane invece incompreso. Di fatto si finisce col non comprendere l'essenza del sistema immunitario quando si attribuisce un ruolo immunitario specifico alla singola cellula, al singolo anticorpo, ecc. Non è con le manifestazioni di questi singoli elementi che si esprime il fenomeno della immunità, perché è soltanto nel complesso del sistema immunitario che il caso si rovescia in necessità: insomma, la garanzia (la necessità) della risposta immunitaria è, ogni volta, un risultato complessivo non voluto di grandi numeri di linfociti. Invece, considerando la singola cellula linfocitaria, essa è tanto poco adatta a garantire, da sola, la risposta immunitaria, quanto poco adatta, ad esempio, a garantire la riproduzione è il singolo spermatozoo e il singolo ovulo, considerati isolatamente.
Lederberger dice che, a partire dalla proposizione 6, abbiamo quattro proposizioni applicabili anche alle teorie istruttive. Ora, le conseguenze di questa ambiguità teorica risultano sempre più chiare quando si consideri il fondamento della soppressione: nella fase prenatale tutte le cellule che casualmente producono anticorpi che si legano con strutture dell'organismo vengono eliminate. Questa cieca necessità dispendiosa garantisce, senza predeterminazione, la sopravvivenza dell'intero organismo, fornendogli il necessario sistema immunitario. Insomma, sopravvivono necessariamente quelle cellule che casualmente non producono globuline, che risulterebbero anticorpali in questa prima fase. E poiché, come vedremo, le cellule sopravvissute rappresentano un'eccezione, nella fase prenatale si deve verificare un grande dispendio.
Per l'autore, invece, appare "evidente che ogni cellula del sistema che produce gli anticorpi deve essere marcata allo scopo (sic!) di inibire la capacità di reagire, sia agli antigeni autologhi dell'animale stesso, sia agli antigeni estranei introdotti e conservati nell'organismo a partire da uno stadio di sviluppo opportunamente precoce".
Ora, queste due possibilità possono essere paragonate a quelle del lancio di una moneta; e in questo modo esprimiamo una analogia per ribadire che l'intero processo di soppressione e di sopravvivenza delle cellule del sistema immunitario si fonda sul caso, caso che si rovescia nella cieca necessità del sistema complessivo stesso. Ma, mentre nel lancio di una moneta, le due possibilità sono equiparabili e, quindi, possiamo scrivere P = 1/2, quando consideriamo le due opposte possibilità delle cellule linfocitarie, quella di sopravvivere e quella di soccombere, è un'altra questione.
La probabilità misura l'ampiezza della casualità e nel lancio di numerose monete ci fornisce la frequenza che è sempre 1/2. Nel caso del sistema immunitario, non abbiamo bisogno di scomodare la probabilità, ma occorre conoscere sperimentalmente la frequenza delle cellule che sopravvivono e di quelle che soccombono. Ora, sebbene questo dato non sia mai stato cercato, possiamo senz'altro stabilire che la maggior parte delle cellule che si differenziano in cellule produttrici di differenti anticorpi, finiranno col soccombere nel "confronto" con l'organismo prenatale.
L'ipotesi da considerare è, dunque, la seguente: nel grande dispendio di cellule antiautologiche, che rappresentano la maggior parte delle cellule trasformate, soltanto l'eccezione statistica costituita da rare cellule indifferenti agli antigeni potrà sopravvivere e formare in seguito il fondo comune di cloni del sistema immunitario. A trasformarle in cellule reattive ci penserà ancora una volta il caso: ossia il casuale incontro con gli antigeni e le continue casuali mutazioni che si rovesceranno nella cieca necessità dell'eccezione statistica.
Non riuscendo a comprendere la legge del dispendio, gli immunologi hanno sempre minimizzato il fenomeno della soppressione, immaginando qualche meccanismo economico. Ad esempio, Lederberger distinse due fasi: una prima di ricettività e una successiva di reattività. Nello stato recettivo la cellula è marcata a non reagire agli antigeni autologhi. Considerando, però, che questi ultimi sono numerosi, la soluzione della marcatura è un'assurdità che anticipa un'altra assurdità: quella delle cellule programmate in senso teleonomico.
La parola d'ordine era quella di minimizzare la distruzione delle cellule che si legano all'antigene autologo: "La soppressione di questo processo di maturazione è un attributo sufficiente a rendere conto della tolleranza, e non richiede l'attuarsi di un evento così drastico quale la distruzione della cellula. Tuttavia, l'ipotesi selettiva propone che solo un limitato numero di cellule reagiranno spontaneamente con un dato antigene, cosicché la loro distruzione, dovuta a un'interazione prematura, può essere facilmente invocata come il meccanismo della loro soppressione".
Insomma, non è detto che la soppressione sia distruzione di cellule, ma si può concedere che sia distruzione purché si tratti di un numero limitato di cellule. E, anzi, in tal caso la distruzione può essere invocata come "meccanismo della soppressione". Il termine "meccanismo" comincia a prendere piede in immunologia, e sempre più a sproposito.
Tra le varie formulazioni del fenomeno della tolleranza nei confronti degli antigeni autologhi, quella che segue è abbastanza convincente: "Se un antigene viene introdotto nell'organismo prima della maturazione di ogni cellula che forma gli anticorpi, l'ipersensibilità di tali cellule a una reazione antigene-anticorpo, mentre sono ancora immature, eliminerà i tipi cellulari specifici via via che essi sorgono per mutazione, inducendo quindi la tolleranza verso l'antigene".
Insomma, è "autologo" tutto ciò che appartiene all'organismo o è presente in esso prima della formazione delle cellule che sintetizzano anticorpi. Il risultato complessivo necessario di questa formazione di cellule anticorpali è che, finché l'organismo non è autonomo, il suo sistema immunitario di fatto non esiste, perché le sue cellule sono singolarmente dormienti. Quando l'organismo è autonomo le cellule dormienti si risvegliano, ossia cominciano a proliferare dando luogo a cellule mutanti, tra le quali, eccezionalmente, qualcuna sarà in grado di funzionare come cellula anticorpale contro l'antigene di turno. E tutto senza che si debba scomodare alcun meccanismo.
"7. La cellula matura, che produce anticorpi, è reattiva al legante antigene-anticorpo: in questo periodo essa sarà stimolata non appena incontra l'antigene omologo. La stimolazione comprende un incremento della sintesi proteica e la maturazione citologa caratteristica di una "plasmacellula"."
Se prima abbiamo considerato un'assurdità l'idea della cellula recettiva -che viene marcata per non reagire agli antigeni autologhi- come spiegazione della tolleranza, ora dobbiamo considerare l'idea di una reattività al legante antigene-anticorpo. A nostro avviso, la reattività non spiega niente, anzi complica la faccenda. Ogni cellula produttrice di anticorpi è "reattiva" non appena incontra l'antigene omologo, ma è proprio la possibilità di questo "incontro" che, per ogni cellula produttrice di anticorpi, rappresenta un evento assai raro ed eccezionale: soltanto poche cellule avranno il "privilegio" dell'incontro!
Occorre chiarire che, se consideriamo una singola cellula produttrice di anticorpi, la ricerca sperimentale di una sua eventuale reazione a un eventuale singolo antigene potrebbe scoraggiare la più paziente equipe di immunologhi. Questo perché, di tanti milioni di cellule solo un minimo numero reagisce a un determinato antigene perché, eccezionalmente e casualmente, suo omologo. E' dunque considerando il complesso di grandi numeri di cellule neutre, le quali costituiscono, per così dire, un fondo comune, che si può "osservare" la reazione immunitaria cicamente necessaria: dal fondo comune costituito da grandi numeri di cellule linfocitarie, il caso estrarrà l'eccezione statistica che garantirà la risposta tempestiva.
In definitiva, parlare di una funzione immunitaria per la singola cellula è un nonsenso: sarebbe come parlare della pressione di una singola molecola di un gas. Come la pressione di un gas è il risultato di un complesso molto numeroso di molecole così la risposta immunitaria è il risultato del complesso di numerose cellule linfocitarie, le quali, come le molecole di un gas, si muovono casualmente in tutte le direzioni, respinte continuamente da tutte le parti, finché (e qui vediamo la differenza tra la materia vivente e la materia non vivente) una cellula casualmente, ma come evento raro, incontra l'antigene omologo, cominciando a manifestare comportamenti che, per essa, sono soltanto di tipo biochimico, mentre per l'intero organismo sono di tipo immunitario. Dopo aver chiarito questo fondamentale aspetto, vediamo le ultime due proposizioni di Lederberger.
"8. Le cellule mature proliferano ampiamente in seguito a una stimolazione antigenica, ma esse sono geneticamente stabili e, quindi, generano cloni numerosi il cui genotipo è preadattato a produrre l'anticorpo omologo". Anche qui occorre chiarire un punto fondamentale: le cellule cosiddette "mature", produttrici di anticorpi, esprimono in realtà caratteristiche primordiali come le frequenti mutazioni e la rapida clonazione. E sono proprio queste caratteristiche a contrassegnarle come cellule involute.
"9: Questi cloni tendono a persistere dopo la scomparsa dell'antigene, mantenendo la loro capacità di reagire prontamente alla sua successiva reintroduzione". Per spiegare il "controverso fenomeno della immunità permenente di un virus", viene infine introdotto il concetto di "memoria": "Una riserva consistente di memoria immunologica sarebbe derivata da un ciclo di espansione di un dato clone".
In conclusione, con il concetto di "memoria" siamo di nuovo all'interno della teoria istruttiva: i concetti di "riconoscimento" e di "memoria" portano definitivamente la teoria immunologica in grembo alla cibernetica, con il risultato di sostituire una teoria che poteva riflettere la realtà della risposta immunitaria con una teoria puramente convenzionale e fittizia.
* Lederberger, microbiologo. Premio Nobel 1958 per la medicina.
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Scriveva Lederberger: "Un anticorpo è una globulina che compare nel siero di un organismo animale in seguito all'introduzione di una sostanza, l'antigene. Ciascuna delle numerose globuline reagisce spontaneamente con un particolare antigene. Lo scopo di questo lavoro è la formulazione di un meccanismo plausibile per spiegare il ruolo dell'antigene nell'induzione della sintesi di grandi quantità di una globulina specifica a esso complementare. Un elemento importante di ogni teoria della formazione degli anticorpi è l'interpretazione che essa fornisce del riconoscimento del sè, ovvero dei modi in cui l'organismo distingue i propri costituenti dalle sostanze estranee, le quali sono stimoli efficaci della risposta immunitaria".
Come si vede, se la formazione delle globuline è ritenuta ancora casuale e apparentemente non costituisce un problema, sorge, invece, il problema dell'induzione da parte dell'antigene alla sintesi di molti anticorpi specifici, che l'autore si propone di risolvere formulando un meccanismo plausibile fondato su un nuovo concetto di tipo istruttivo: il cosiddetto riconoscimento del sé. Il meccanismo plausibile altro non è, però, che una soluzione convenzionale, così come sono convenzionali tutti i termini che abbiamo posto in grassetto.
Ma se seguiamo l'elaborazione di Lederberger, vediamo che la faccenda è articolata e complessa. Egli propose come sintesi teorica nove proposizioni. La nostra critica comincia dalla proposizione principale, "3. La diversità genetica dei precursori delle cellule che producono anticorpi trova origine nell'alta frequenza di mutazioni spontanee durante la loro continua attività proliferativa". L'autore precisava tre punti: "a) le cellule che sintetizzano gli anticorpi sono cellule specializzate; b) la loro diversità nasce da alcuni processi casuali; c) la diversificazione di queste cellule continua, insieme alla loro proliferazione, durante la vita dell'animale".
La principale caratteristica è, dunque, la diversificazione casuale delle cellule che producono anticorpi, la quale deriva dall'alta frequenza di mutazioni casuali del DNA, e dipende dalla continua attività proliferativa. Ma l'autore non ha compreso che la diversificazione casuale contraddice la "specificità": casualmente, ogni singola cellula sintetizzerà una diversa globulina e, casualmente, questa potrà incontrare l'antigene omologo, a sua volta, casualmente, penetrato nell'organismo.
"4. L'ipermutabilità si basa sull'assemblaggio casuale, durante taluni stadi della proliferazione cellulare, del DNA che forma il "gene per la globulina"." Di nuovo, qui, si sottolinea la casualità della diversificazione delle cellule produttrici di anticorpi, chiamata ipermutabilità. ma poi si fa marcia indietro osservando che "Questa ipotesi ad hoc è senza dubbio la più vulnerabile delle proposizioni e, sicuramente, la più lontana dalle osservazioni sperimentali. E' diventato chiaro che la replica accurata, e non la mutabilità, è il vero fenomeno eccezionale, qualunque sia il meccanismo particolare dell'origine della variazione".
Questa conclusione rappresenta il punto di svolta verso l'involuzione della teoria immunologica. Paradossalmente, Lederberger introduceva un'ipotesi convenzionale, la "replica accurata" garantita da un meccanismo, dopo avere fatto passare l'ipotesi realistica della ipermutabilità casuale come ipotesi ad hoc. Qui si può osservare l'incapacità del pensiero di mettere in connessione il caso e la necessità e di comprendere che il "fenomeno eccezionale" è proprio l'eccezione statistica sorta sulla base dei grandi numeri casuali. Come vedremo, su miliardi di cellule linfocitarie alcune migliaia rappresentano l'eccezione statistica che permette, ogni volta, di intercettare l'antigene di turno tra i milioni di antigeni possibili.
Il punto 4. mentre attribuisce al caso il ruolo suo proprio, gli dà il benservito introducendo un elemento estraneo, convenzionale: un preteso meccanismo. Si può cogliere qui, in nuce, ciò che in seguito sarebbe diventato un vero diluvio di meccanismi, invocati per tamponare le falle prodotte dall'ampia base della casualità, relativa alle cellule del sistema immunitario, mai accettata dagli immunologhi quale fondamento ciecamente necessario della risposta immunitaria.
"5. Ogni cellula, appena comincia a maturare, produce spontaneamente piccole quantità dell'anticorpo corrispondente al suo genotipo. Va rilevata l'implicazione che l'anticorpo è sintetizzato prima dell'introduzione dell'antigene nella cellula che produce gli anticorpi. La funzione dell'anticorpo spontaneamente prodotto è quella di marcare (sic!) le cellule preadattate a reagire con un dato antigene, sia per sopprimere queste cellule allo scopo di indurre l'intolleranza immunitaria (...), sia per stimolarle a una massiccia sintesi di anticorpi (...)".
Come si vede, le proposizioni 4 e 5 rappresentano lo spartiacque che divide un pensiero immunologico in formazione, che ha tutte le carte in regola per evolvere nella direzione giusta -perché ha messo al posto giusto la casualità-, da un pensiero immunologico che subisce una involuzione -perché nega il ruolo del caso e pretende di formulare meccanismi "plausibili", con le loro "funzioni", e i loro "scopi", ecc. Partendo dai processi reali si torna indietro ai meccanismi cartesiani convenzionali.
L'introduzione arbitraria del concetto di funzione per scopi inesistenti giustifica formalmente il concetto fittizio di "marcatura", col quale si crede di poter descrivere e spiegare qualcosa che rimane invece incompreso. Di fatto si finisce col non comprendere l'essenza del sistema immunitario quando si attribuisce un ruolo immunitario specifico alla singola cellula, al singolo anticorpo, ecc. Non è con le manifestazioni di questi singoli elementi che si esprime il fenomeno della immunità, perché è soltanto nel complesso del sistema immunitario che il caso si rovescia in necessità: insomma, la garanzia (la necessità) della risposta immunitaria è, ogni volta, un risultato complessivo non voluto di grandi numeri di linfociti. Invece, considerando la singola cellula linfocitaria, essa è tanto poco adatta a garantire, da sola, la risposta immunitaria, quanto poco adatta, ad esempio, a garantire la riproduzione è il singolo spermatozoo e il singolo ovulo, considerati isolatamente.
Lederberger dice che, a partire dalla proposizione 6, abbiamo quattro proposizioni applicabili anche alle teorie istruttive. Ora, le conseguenze di questa ambiguità teorica risultano sempre più chiare quando si consideri il fondamento della soppressione: nella fase prenatale tutte le cellule che casualmente producono anticorpi che si legano con strutture dell'organismo vengono eliminate. Questa cieca necessità dispendiosa garantisce, senza predeterminazione, la sopravvivenza dell'intero organismo, fornendogli il necessario sistema immunitario. Insomma, sopravvivono necessariamente quelle cellule che casualmente non producono globuline, che risulterebbero anticorpali in questa prima fase. E poiché, come vedremo, le cellule sopravvissute rappresentano un'eccezione, nella fase prenatale si deve verificare un grande dispendio.
Per l'autore, invece, appare "evidente che ogni cellula del sistema che produce gli anticorpi deve essere marcata allo scopo (sic!) di inibire la capacità di reagire, sia agli antigeni autologhi dell'animale stesso, sia agli antigeni estranei introdotti e conservati nell'organismo a partire da uno stadio di sviluppo opportunamente precoce".
Ma
non è affatto evidente un simile comportamento teleonomico-istruttivo.
Anzi, sostenere che una cellula possa essere marcata per qualsivoglia
scopo, è soltanto un modo di dire convenzionale. Per rendere ragione di
questa iniziale selezione di cellule che non reagiscono con antigeni, è
sufficiente osservare che in fase prenatale due sole sono le reali
possibilità che il caso permette: o si formano celluli indifferenti a
qualsiasi antigene, o si formano cellule reattive. E non c'è proprio
bisogno di scomodare il "riconoscimento del sé" o qualsiasi altro
comportamento "consapevole": infatti, in questa fase, qualsiasi
antigene introdotto dall'esterno vale come antigene interno, perché
qualsiasi cellula reattiva viene soppressa.
Ora, queste due possibilità possono essere paragonate a quelle del lancio di una moneta; e in questo modo esprimiamo una analogia per ribadire che l'intero processo di soppressione e di sopravvivenza delle cellule del sistema immunitario si fonda sul caso, caso che si rovescia nella cieca necessità del sistema complessivo stesso. Ma, mentre nel lancio di una moneta, le due possibilità sono equiparabili e, quindi, possiamo scrivere P = 1/2, quando consideriamo le due opposte possibilità delle cellule linfocitarie, quella di sopravvivere e quella di soccombere, è un'altra questione.
La probabilità misura l'ampiezza della casualità e nel lancio di numerose monete ci fornisce la frequenza che è sempre 1/2. Nel caso del sistema immunitario, non abbiamo bisogno di scomodare la probabilità, ma occorre conoscere sperimentalmente la frequenza delle cellule che sopravvivono e di quelle che soccombono. Ora, sebbene questo dato non sia mai stato cercato, possiamo senz'altro stabilire che la maggior parte delle cellule che si differenziano in cellule produttrici di differenti anticorpi, finiranno col soccombere nel "confronto" con l'organismo prenatale.
L'ipotesi da considerare è, dunque, la seguente: nel grande dispendio di cellule antiautologiche, che rappresentano la maggior parte delle cellule trasformate, soltanto l'eccezione statistica costituita da rare cellule indifferenti agli antigeni potrà sopravvivere e formare in seguito il fondo comune di cloni del sistema immunitario. A trasformarle in cellule reattive ci penserà ancora una volta il caso: ossia il casuale incontro con gli antigeni e le continue casuali mutazioni che si rovesceranno nella cieca necessità dell'eccezione statistica.
Non riuscendo a comprendere la legge del dispendio, gli immunologi hanno sempre minimizzato il fenomeno della soppressione, immaginando qualche meccanismo economico. Ad esempio, Lederberger distinse due fasi: una prima di ricettività e una successiva di reattività. Nello stato recettivo la cellula è marcata a non reagire agli antigeni autologhi. Considerando, però, che questi ultimi sono numerosi, la soluzione della marcatura è un'assurdità che anticipa un'altra assurdità: quella delle cellule programmate in senso teleonomico.
La parola d'ordine era quella di minimizzare la distruzione delle cellule che si legano all'antigene autologo: "La soppressione di questo processo di maturazione è un attributo sufficiente a rendere conto della tolleranza, e non richiede l'attuarsi di un evento così drastico quale la distruzione della cellula. Tuttavia, l'ipotesi selettiva propone che solo un limitato numero di cellule reagiranno spontaneamente con un dato antigene, cosicché la loro distruzione, dovuta a un'interazione prematura, può essere facilmente invocata come il meccanismo della loro soppressione".
Insomma, non è detto che la soppressione sia distruzione di cellule, ma si può concedere che sia distruzione purché si tratti di un numero limitato di cellule. E, anzi, in tal caso la distruzione può essere invocata come "meccanismo della soppressione". Il termine "meccanismo" comincia a prendere piede in immunologia, e sempre più a sproposito.
Tra le varie formulazioni del fenomeno della tolleranza nei confronti degli antigeni autologhi, quella che segue è abbastanza convincente: "Se un antigene viene introdotto nell'organismo prima della maturazione di ogni cellula che forma gli anticorpi, l'ipersensibilità di tali cellule a una reazione antigene-anticorpo, mentre sono ancora immature, eliminerà i tipi cellulari specifici via via che essi sorgono per mutazione, inducendo quindi la tolleranza verso l'antigene".
Insomma, è "autologo" tutto ciò che appartiene all'organismo o è presente in esso prima della formazione delle cellule che sintetizzano anticorpi. Il risultato complessivo necessario di questa formazione di cellule anticorpali è che, finché l'organismo non è autonomo, il suo sistema immunitario di fatto non esiste, perché le sue cellule sono singolarmente dormienti. Quando l'organismo è autonomo le cellule dormienti si risvegliano, ossia cominciano a proliferare dando luogo a cellule mutanti, tra le quali, eccezionalmente, qualcuna sarà in grado di funzionare come cellula anticorpale contro l'antigene di turno. E tutto senza che si debba scomodare alcun meccanismo.
"7. La cellula matura, che produce anticorpi, è reattiva al legante antigene-anticorpo: in questo periodo essa sarà stimolata non appena incontra l'antigene omologo. La stimolazione comprende un incremento della sintesi proteica e la maturazione citologa caratteristica di una "plasmacellula"."
Se prima abbiamo considerato un'assurdità l'idea della cellula recettiva -che viene marcata per non reagire agli antigeni autologhi- come spiegazione della tolleranza, ora dobbiamo considerare l'idea di una reattività al legante antigene-anticorpo. A nostro avviso, la reattività non spiega niente, anzi complica la faccenda. Ogni cellula produttrice di anticorpi è "reattiva" non appena incontra l'antigene omologo, ma è proprio la possibilità di questo "incontro" che, per ogni cellula produttrice di anticorpi, rappresenta un evento assai raro ed eccezionale: soltanto poche cellule avranno il "privilegio" dell'incontro!
Occorre chiarire che, se consideriamo una singola cellula produttrice di anticorpi, la ricerca sperimentale di una sua eventuale reazione a un eventuale singolo antigene potrebbe scoraggiare la più paziente equipe di immunologhi. Questo perché, di tanti milioni di cellule solo un minimo numero reagisce a un determinato antigene perché, eccezionalmente e casualmente, suo omologo. E' dunque considerando il complesso di grandi numeri di cellule neutre, le quali costituiscono, per così dire, un fondo comune, che si può "osservare" la reazione immunitaria cicamente necessaria: dal fondo comune costituito da grandi numeri di cellule linfocitarie, il caso estrarrà l'eccezione statistica che garantirà la risposta tempestiva.
In definitiva, parlare di una funzione immunitaria per la singola cellula è un nonsenso: sarebbe come parlare della pressione di una singola molecola di un gas. Come la pressione di un gas è il risultato di un complesso molto numeroso di molecole così la risposta immunitaria è il risultato del complesso di numerose cellule linfocitarie, le quali, come le molecole di un gas, si muovono casualmente in tutte le direzioni, respinte continuamente da tutte le parti, finché (e qui vediamo la differenza tra la materia vivente e la materia non vivente) una cellula casualmente, ma come evento raro, incontra l'antigene omologo, cominciando a manifestare comportamenti che, per essa, sono soltanto di tipo biochimico, mentre per l'intero organismo sono di tipo immunitario. Dopo aver chiarito questo fondamentale aspetto, vediamo le ultime due proposizioni di Lederberger.
"8. Le cellule mature proliferano ampiamente in seguito a una stimolazione antigenica, ma esse sono geneticamente stabili e, quindi, generano cloni numerosi il cui genotipo è preadattato a produrre l'anticorpo omologo". Anche qui occorre chiarire un punto fondamentale: le cellule cosiddette "mature", produttrici di anticorpi, esprimono in realtà caratteristiche primordiali come le frequenti mutazioni e la rapida clonazione. E sono proprio queste caratteristiche a contrassegnarle come cellule involute.
"9: Questi cloni tendono a persistere dopo la scomparsa dell'antigene, mantenendo la loro capacità di reagire prontamente alla sua successiva reintroduzione". Per spiegare il "controverso fenomeno della immunità permenente di un virus", viene infine introdotto il concetto di "memoria": "Una riserva consistente di memoria immunologica sarebbe derivata da un ciclo di espansione di un dato clone".
In conclusione, con il concetto di "memoria" siamo di nuovo all'interno della teoria istruttiva: i concetti di "riconoscimento" e di "memoria" portano definitivamente la teoria immunologica in grembo alla cibernetica, con il risultato di sostituire una teoria che poteva riflettere la realtà della risposta immunitaria con una teoria puramente convenzionale e fittizia.
* Lederberger, microbiologo. Premio Nobel 1958 per la medicina.
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Rileggendo il Capitolo XIV del mio Terzo volume inedito, "La dialettica
caso-necessità in biologia" (1993-2002), capitolo riguardante il pensiero
immunologico, ho ritenuto che fosse ancora valido e che fosse
arrivato il momento di pubblicarlo in 10 post, quanti sono i suoi paragrafi.
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