Il riduzionismo indeterministico applicato alle particelle e ai campi quantistici
Secondo Heinz Pagels ("Universo simmetrico", 1988) le particelle fondamentali della fisica non sarebbero fatte di "materia" nel senso comune del termine, ma di entità stabilite dal "mondo stravagante della realtà quantistica". E ancora: "Il primo modo in cui i fisici concepiscono queste particelle si riferisce alle proprietà intrinseche (quali massa, spin, carica elettrica e così via) che sono alla base della loro classificazione. Il secondo modo si fonda sulle interazioni tra particelle diverse. Una volta che un fisico conosce le proprietà intrinseche e tutte le interazioni di una particella quantistica, conosce tutto ciò che di essa si può conoscere".
Si tratta della pretesa conoscenza riduzionistica che predetermina persino ciò che si può conoscere. Ma che cosa si può conoscere? Chi lo stabilisce? Le particelle, come forme materiali, non contano nulla; ciò che conta è la nozione di simmetria, che è una nozione tipicamente matematica, geometrica, che vale per tutto ciò che vogliamo, che non distingue tra un cerchio e una particella, tra una sfera e un cristallo di ghiaccio. I matematici fisici adorano i concetti che valgono indistintamente per tutto (e quindi per niente in modo specifico). Credono in questo modo di fare una scienza superiore, mentre si elevano nel cielo terso delle astrazioni pure. Simmetria, supersimmetria, rottura della simmetria: sembra di tornare all'esoterismo.
Ma quando rimettono i piedi per terra e devono spiegare la faccenda in maniera più concreta, sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi. Un modo di cavarsela è il seguente: ieri, di fronte alla contrapposizione corpuscolo-onda, hanno sostenuto che le particelle possedevano un'onda, ma non nello stesso senso di una massa d'acqua; oggi, invece, affermano: gli elettroni e i fotoni sono privi di struttura e non di meno possiedono definite simmetrie, "nello stesso senso in cui ne possiede un cristallo". "Le simmetrie sotto i nostri occhi sono dappertutto", perché dovrebbero mancare alle particelle prive di struttura?
Secondo Heinz Pagels ("Universo simmetrico", 1988) le particelle fondamentali della fisica non sarebbero fatte di "materia" nel senso comune del termine, ma di entità stabilite dal "mondo stravagante della realtà quantistica". E ancora: "Il primo modo in cui i fisici concepiscono queste particelle si riferisce alle proprietà intrinseche (quali massa, spin, carica elettrica e così via) che sono alla base della loro classificazione. Il secondo modo si fonda sulle interazioni tra particelle diverse. Una volta che un fisico conosce le proprietà intrinseche e tutte le interazioni di una particella quantistica, conosce tutto ciò che di essa si può conoscere".
Si tratta della pretesa conoscenza riduzionistica che predetermina persino ciò che si può conoscere. Ma che cosa si può conoscere? Chi lo stabilisce? Le particelle, come forme materiali, non contano nulla; ciò che conta è la nozione di simmetria, che è una nozione tipicamente matematica, geometrica, che vale per tutto ciò che vogliamo, che non distingue tra un cerchio e una particella, tra una sfera e un cristallo di ghiaccio. I matematici fisici adorano i concetti che valgono indistintamente per tutto (e quindi per niente in modo specifico). Credono in questo modo di fare una scienza superiore, mentre si elevano nel cielo terso delle astrazioni pure. Simmetria, supersimmetria, rottura della simmetria: sembra di tornare all'esoterismo.
Ma quando rimettono i piedi per terra e devono spiegare la faccenda in maniera più concreta, sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi. Un modo di cavarsela è il seguente: ieri, di fronte alla contrapposizione corpuscolo-onda, hanno sostenuto che le particelle possedevano un'onda, ma non nello stesso senso di una massa d'acqua; oggi, invece, affermano: gli elettroni e i fotoni sono privi di struttura e non di meno possiedono definite simmetrie, "nello stesso senso in cui ne possiede un cristallo". "Le simmetrie sotto i nostri occhi sono dappertutto", perché dovrebbero mancare alle particelle prive di struttura?
E così è nata la teoria matematica dei gruppi applicata alla fisica delle particelle. Naturalmente non mancano le complicazioni. Pagels ha un dubbio: "Ma queste idee matematiche astratte cosa hanno a che fare con la fisica?" Il suo dubbio è retorico come la domanda, alla quale chi scrive può dare la seguente risposta: con la fisica dei matematici fisici hanno a che fare tutto; con la fisica della realtà materiale, nulla!
Alla simmetria si aggiunge il campo, un altro concetto astratto che vale per tutti gli usi e per tutte le particelle: "i campi fondamentali (ve ne sono molti oltre a quelli elettromagnetici) sono le entità primarie, mediante le quali si cerca di spiegare ogni altra cosa. Come ha detto Steven Weinberg, "l'essenza della realtà è un insieme di campi". Tutto il resto può essere dedotto come conseguenza della dinamica quantistica dei campi".
Ma che cosa sono i campi? Inutile chiedersi di che cosa siano fatti materialmente, perché i campi "sono entità fisiche definite semplicemente dalle equazioni che ne descrivono le variazioni; essi sono classificati secondo il modo in cui si trasformano in seguito alle diverse operazioni di simmetria, nonché secondo il modo in cui interagiscono con altri campi. Una volta specificate queste proprietà, qualsiasi campo è definito in modo rigoroso".
Ma un qualsiasi campo un qualche riferimento alla realtà deve pur averlo. In fisica quantistica nulla di più semplice: "Ogni campo ¬continua Pagels- corrisponde a una particella quantistica distinta, dotata di una massa e di uno spin caratteristici, e questa è la base della classificazione. Alcuni campi corrispondono a particelle quantistiche prive di massa: essi si estendono a grandi distanze, cosicché possiamo facilmente rivelarne la presenza; fra questi, ci sono i campi elettromagnetici e quelli gravitazionali. Altri descrivono le interazioni di particelle quantistiche dotate di massa; questi non si estendono al di là delle brevissime distanze atomiche o subnucleari".
E così i matematici fisici, per decisione unanime, dopo aver stabilito che l'etere non esiste realmente, hanno deciso che esistono i campi, in quanto utili astrazioni matematiche; e per ancorare queste astrazioni matematiche alla realtà fisica, hanno deciso che dovevano essere agganciate alle particelle. Così un campo = una particella, e viceversa. Questa operazione è stata possibile appellandosi soltanto all'analogia con i campi elettromagnetici. Così, se, ad esempio, il campo elettromagnetico è associato ai fotoni, i campi quantistici saranno associati a particelle analoghe. E, sempre grazie a questa analogia, il campo gravitazionale si è visto assegnare anche lui una particella: il gravitone. Così, nell'universo vuoto, al posto dell'etere, possiamo ora trovare il gravitone in buona compagnia delle particelle virtuali del "vuoto quantistico"!
Restituiamo la parola a Pagels: "I campi non sono sostanze eteree che pervadono lo spazio e si muovono nel tempo; sono invece entità non riducibili (!?), con determinati valori di massa, spin e carica, proprietà definite tutte da operazioni di simmetria. Una volta che si siano specificate queste proprietà, si è anche descritto in modo completo che cosa è un campo. Il concetto classico di campo è uno dei più profondi della scienza moderna. Esso fornisce il linguaggio matematico, simbolico, per la descrizione del mondo fisico reale, un linguaggio che, una volta pienamente compreso, non lascia spazio a ulteriori spiegazioni".
Dopo questa drastica conclusione che non lascia spazio a nient'altro che al campo stesso e alle sue leggi matematiche, l'autore spiazza il lettore aggiungendo: "Se il concetto di campo sarà superato, ciò richiederà una profonda modificazione dei nostri concetti di spazio tempo e simmetria. Oggi la teoria dei campi è il linguaggio che i fisici usano per parlare dell'ordine materiale fondamentale del cosmo".
Un linguaggio, soltanto un linguaggio dunque, che un domani potrebbe essere cambiato e sostituito con un altro linguaggio. In questo modo la matematica ha decisamente sottomesso la fisica. Il cuculo matematico non si è limitato a gettare giù dal nido il passerotto fisico, perché, imperterrito, continua a gettar giù dal nido anche i cuculi che l'hanno preceduto: ovvero le precedenti teorie matematiche convenzionali e fittizie.
Sull'associazione campo-particella, dice Pagels, i fisici "scoprirono che ogni campo, se "quantizzato", se reso cioè conforme a quanto richiede la teoria quantistica, descrive una particella elementare ad esso associata. Il quanto associato al campo elettromagnetico di Maxwell era il fotone, la particella di luce, il quanto associato al campo classico di Dirac, era l'elettrone. In questo modo l'insoddisfacente dualismo tra particelle e campi veniva superato. Come le particelle quantistiche sono classificate in base alle caratteristiche di massa, spin e cariche, così i campi ad esse associati.
La teoria quantistica inoltre forniva un'interpretazione del campo classico: l'intensità di un campo in un dato punto dello spazio era una misura della probabilità di trovare in quel punto la particella associata. I campi erano onde di probabilità (!) per le rispettive particelle quantistiche: quanto più in un punto il campo era intenso, tanto più era probabile che là si trovasse la particella quantistica corrispondente. Questa interpretazione statistica (!) della teoria quantistica implica una indeterminazione essenziale nelle leggi della fisica, poiché la distribuzione degli eventi quantistici è completamente determinata dalle equazioni della teoria, ma gli eventi singoli non lo sono. Per esempio, la teoria non predice il punto di uno schermo che il singolo fotone andrà a colpire dopo essere passato attraverso un foro; a poter essere determinata con precisione è solo la distribuzione di un gran numero di impatti".
Verrebbe voglia di dire: e ti pare poco? Che è cosa è rilevante per la conoscenza? il comportamento inevitabilmente casuale di un singolo fotone o il comportamento conseguentemente necessario di un fascio di fotoni? Pur avendo la soluzione in tasca, se la sono lasciata sfuggire perché non l'hanno compresa.
Come abbiamo dimostrato in teoria della conoscenza, l'indeterminazione della singola cosa, oggetto, evento, ecc. non appartiene solo alla fisica delle particelle, alla fisica quantistica, ma a tutti i processi naturali e persino ai processi umani che seguono modalità naturali. Perciò, il compito della conoscenza non è quello di ostinarsi a determinare, almeno in linea di principio, il singolo oggetto, evento, ecc., nel senso del rapporto di causa ed effetto, oppure di accontentarsi delle sue probabilità. Ciò che conta è stabilire la necessità statistica, la frequenza ricavata dai grandi numeri che formano i complessi: quei complessi che sono rilevanti per l'evoluzione della materia.
Scritto nel 2008
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