I] I litigiosi congressi di Solvay (1913-1933) nella accomodante versione di Bohr
In una raccolta di scritti, pubblicata in Italia nel 1961 con il superbo titolo "I quanti e la vita", Bohr rifà la storia dei Congressi e delle Conferenze di Solvay, smussando tutte le polemiche e i contrasti che li avevano accompagnati, e fornendo la soluzione di compromesso, da lui stesso escogitata, che fu accettata senza vera soddisfazione, appunto soltanto perché era un compromesso che non risolveva niente.
Prima di affrontare la storia scritta da uno dei protagonisti della crisi della fisica dei primi decenni del Novecento, vediamo di riassumere i termini di questa crisi. I Congressi iniziarono nel 1911, dopo la scoperta sperimentale dell'elettrone (Thompson) e del nucleo (Rutheford), dopo l'equazione di Planck e i saggi di Einstein sui quanti di luce e sull'equivalenza massa-energia.
Queste novità riproposero il vecchio dilemma tra la concezione corpuscolare e quella ondulatoria. Agli inizi del Novecento, la comunità dei fisici era divisa tra due concezioni sulla natura della materia: alla costituizione atomistica corpuscolare veniva contrapposta una concezione energetista-ondulatoria, nella quale la materia veniva fatta scomparire. Era questa la forma in cui nella scienza della fisica si riproponeva l'antica opposizione tra materialismo e idealismo.
In una raccolta di scritti, pubblicata in Italia nel 1961 con il superbo titolo "I quanti e la vita", Bohr rifà la storia dei Congressi e delle Conferenze di Solvay, smussando tutte le polemiche e i contrasti che li avevano accompagnati, e fornendo la soluzione di compromesso, da lui stesso escogitata, che fu accettata senza vera soddisfazione, appunto soltanto perché era un compromesso che non risolveva niente.
Prima di affrontare la storia scritta da uno dei protagonisti della crisi della fisica dei primi decenni del Novecento, vediamo di riassumere i termini di questa crisi. I Congressi iniziarono nel 1911, dopo la scoperta sperimentale dell'elettrone (Thompson) e del nucleo (Rutheford), dopo l'equazione di Planck e i saggi di Einstein sui quanti di luce e sull'equivalenza massa-energia.
Queste novità riproposero il vecchio dilemma tra la concezione corpuscolare e quella ondulatoria. Agli inizi del Novecento, la comunità dei fisici era divisa tra due concezioni sulla natura della materia: alla costituizione atomistica corpuscolare veniva contrapposta una concezione energetista-ondulatoria, nella quale la materia veniva fatta scomparire. Era questa la forma in cui nella scienza della fisica si riproponeva l'antica opposizione tra materialismo e idealismo.
La scoperta sperimentale dell'elettrone e del nucleo atomico, dapprima, portò acqua al mulino dei fisici più orientati in senso materialista, ma i fisici influenzati dalle teorie di Mach e quelli più orientati verso l'idealismo riorganizzarono le fila e spostarono il dibattito: essi non negarono più i fatti, l'esistenza dell'elettrone e dell'atomo, confermati sperimentalmente, negarono invece l'interpretazione materialistica di quei fatti sperimentali.
La crisi della fisica, sorta sul problema della natura della materia, aggravata dall'opposizione tra idealismo e materialismo, finì col riproporre la vecchia questione della scelta tra la concezione corpuscolare e quella ondulatoria, questione che per la prima volta si era manifestata nel contrasto tra Newton e Huygens.
L'idealismo in fisica poteva trovare in questa opposizione la sua ultima ragione d'esistenza, anche se questa ragione era più apparente che reale, consistendo soltanto in un equivoco. Naturalmente la situazione ambigua della teoria in fisica non l'avevano inventata loro: era un portato del divorzio dalla filosofia che lasciò la scienza fisica senza bussola teorica. Risultato: tutti equivocarono, dai materialisti agli idealisti, a causa della mancanza di una valida teoria della conoscenza che i fisici respinsero con l'assurda formula: "Fisica, guardati dalla metafisica!"
Da un lato si collocarono i materialisti atomisti con la loro definizione di materia incentrata sul concetto di corpuscolo-massa, per i quali il principale contrassegno della materia era dato dalla massa, così che massa e materia venivano a coincidere; dal lato opposto si collocarono gli idealisti, abbarbicati al salvagente fornito dal concetto di onda, intesa come la forma immateriale della luce e delle radiazioni elettromagnetiche in genere, i quali consideravano l'energia immateriale e non disdegnavano il concetto di campo, anch'esso per la sua apparente immaterialità.* Tra i due poli estremi, infine, si collocarono i positivisti che, con diverse sfumature, oscillavano tra la concezione corpuscolare e quella ondulatoria.
Ora, se gli idealisti ebbero a disposizione il salvagente dell'onda, fu soltanto per l'insipienza dei materialisti che non seppero interpretare decisamente in senso materialistico il cosiddetto carattere ondulatorio della materia.** Così, ciò che per gli uni poté essere un salvagente, invece d'essere l'onda che poteva affogarli in senso materialistico, per gli altri minacciava d'essere l'onda che poteva affogarli in senso idealistico.
Questa era la situazione della fisica, quando Planck ed Einstein aprirono la strada a nuove interpretazioni: il primo introducendo il concetto di quanto d'azione, che permetteva di combinare, in nuove formule, grandezze corpuscolari e grandezze ondulatorie, il secondo, trovando la formula della equivalenza tra massa ed energia.
I giochi venivano riaperti, ma i due fisici si bloccarono: Planck, ostinandosi a non voler accettare la qualità corpuscolare del quanto di luce, Einstein, ostinandosi a vedere ormai soltanto il quanto-corpuscolo di luce, rinnegando l'onda elettromagnetica. Bisognerà attendere un oscuro fisico, De Broglie, affermare nella sua tesi di laurea che corpuscolo e onda non sono inconciliabili, ma devono essere considerati come due aspetti della stessa realtà materiale, per avere finalmente un'idea interessante e meritevole di approfondimento.
Dopo aver compiuto il passo decisivo verso un'interpretazione materialistica meno meccanicistica e metafisica delle particelle, De Broglie trovò a sbarrargli la strada i fisici idealisti che elaborarono una spiegazione nota come "l'interpretazione di Copenaghen", dalla città dove avevano la loro sede. Bohr era il principale esponente di questo gruppo di fisici idealisti. Vediamo qui di seguito come ricostruì i Congressi e le Conferenze di Solvay.
1911/ 1° Congresso. Il tema trattato: "Teoria della radiazione e quanti". "Una svolta si ebbe nel primo anno del secolo con la scoperta di Planck del quanto universale di azione", scrive l'autore che aggiunge: Einstein sottolineò gli apparenti paradossi riguardanti "l'interazione tra radiazione e materia", in particolare nell'interpretazione dell'effetto fotoelettrico. Egli "introdusse anche l'idea dei quanti di luce, o fotoni, come portatori di energia e di quantità di moto nei processi radioattivi elementari".
Bohr valuta il rinnovato dilemma tra concezione corpuscolare e concezione ondulatoria in termini più favorevoli a quest'ultima. Scrive infatti: "L'introduzione del concetto di fotone sembrò risuscitare l'antico dilemma dei giorni di Newton e di Huygens tra struttura corpuscolare e ondulatoria della luce, già risolta in favore di quest'ultima con l'affermarsi della teoria elettromagnetica della radiazione. La situazione era alquanto singolare, poiché la definizione stessa della energia e della quantità di moto, data dal prodotto della costante di Planck per la frequenza o il numero d'onda delle radiazioni, fa riferimento diretto a parametri tipici di una descrizione ondulatoria".
Per correttezza avrebbe dovuto dire: parametri corpuscolari e ondulatori si trovano ora riuniti in una stessa equazione, ossia possono derivare matematicamente gli uni dagli altri. L'autore fa però di più: anticipa qui le conclusioni che solo molti anni dopo saranno elaborate da lui stesso e da Heisemberg: "Si era di fronte ad un relazione del tutto nuova di complementarità nell'applicazione di differenti concetti fondamentali della fisica classica. Lo studio di questa relazione doveva rivelare i limiti di validità della descrizione deterministica, e la necessità di una spiegazione essenzialmente statistica fin dei più elementari processi atomici".
Quelli che Bohr chiama "i limiti di validità della descrizione deterministica" non rappresentano altro che una formulazione indeterministica, la quale, come abbiamo già tentato di dimostrare in Teoria della conoscenza, non si fonda sulla necessità statistica, ma sul probabilismo casualistico, le cui rappresentazioni delle singole particelle sono fittizie e convenzionali.
Bohr dice che non partecipò ai primi Congressi e Conferenze di Solvay. Era Rutheford a fargliene i resoconti. E nell'occasione del primo congresso, egli dice che Rutheford si dimenticò di riferire che "nelle discussioni non si era parlato di un evento recente che avrebbe avuto le più profonde conseguenze, cioè della sua scoperta del nucleo atomico". Tre strane dimenticanze; ed è difficile dire se è più strano il fatto che i fisici si fossero dimenticati di parlare della scoperta del nucleo atomico, o il fatto che Rutheford si fosse dimenticato di parlarne a Bohr, o infine che anche Bohr si fosse dimenticato di chiedergli come era stata accolta la scoperta del nucleo atomico.
Un fatto è certo: appellandosi alla dimenticanza Bohr evita di spiegare il disinteresse dei fisici nei confronti della scoperta del nucleo. Proviamo a spiegarlo noi: i fisici machisti e i fisici idealisti non avevano ancora digerito la scoperta dell'elettrone, contro la quale avevano solo saputo obiettare che la massa (e quindi la materia) era scomparsa! Inoltre, in quel congresso, furono restìi ad accogliere l'ipotesi corpuscolare dei quanti di luce, sostenuta da Einstein, pur dovendo accettare "per disperazione" la formula di Planck, la quale "purtroppo" doveva considerare le radiazioni, almeno nel formalismo matematico, come fossero corpuscoli.
E non era finita: c'era ancora da digerire l'equivalenza tra massa ed energia scoperta da Einstein. Insomma, i partecipanti al Congresso non erano nella condizione di spirito più favorevole a mandar giù la scoperta del nucleo atomico. Tutto si stava indirizzando a favore del materialismo. Il rischio era che la concezione materialistica inglobasse elettroni, nucleo, quanti ed equivalenza massa¬energia, togliendo alla concezione idealistica qualsiasi fondamento, e ai machisti qualsiasi appiglio. (Continua)
* Identificando unilateralmente la materia con la massa, i materialisti offrirono agli idealisti, su un piatto d'argento, il coltello per tagliar via le radiazioni elettromagnetiche, la luce, dall'ambito della materia. Infatti l'immaterialità della luce, del campo, dell'onda elettrognetica era concepita nel senso che luce, campo, onda, non possiedono massa. Potremmo anche aggiungere che questo equivoco si trascina da tempo in fisica, e ancora oggi lo si ritrova in molti libri di testo scolastici, e in molte opere di divulgazione di fisica. Esso rappresenta uno dei tanti luoghi comuni della scienza ufficiale, accademica, che poco riflette, e molto manda a memoria, acriticamente.
** Ma l'incapacità di considerare materialisticamente l'onda elettromagnetica, la luce, il campo, deriva da una ragione profonda: secondo la nostra ipotesi, il materialismo dei fisici, fin dall'inizio, si è sostenuto sul determinismo riduzionistico, ragion per cui essi hanno avuto sempre e soltanto gli occhi per la singola particella: il singolo elettrone, il singolo fotone, ecc., e non per il complesso degli elettroni, dei fotoni, ecc. Ma è proprio il complesso, ad esempio un fascio di fotoni, che produce una reale onda elettromagnetica.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume secondo Fisica" (1993-2002) Inedito
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