lunedì 29 agosto 2011

L'ambiguo concetto di dimensione in fisica

La dimensione altro non è che la misura di una grandezza, indipendentemente dal fatto che si tratti di una grandezza reale fisica o puramente convenzionale matematica, perché, in entrambi i casi, la misura di una grandezza riguarda la matematica che ha concepito con Euclide tre astratte dimensioni spaziali: lunghezza, altezza e larghezza, stabilendo così la figura geometrica tridimensionale chiamata solido.

Riguardo al tempo, si tratta, invece, di una sola dimensione, quella relativa alla successione degli eventi, dimensione misurabile mediante orologi. Dal punto di vista logico, l'unica dimensione temporale ha presentato non poche difficoltà in relazione alla sua suddivisione in passato, presente e futuro. In fisica, però, l'unica dimensione temporale prima è stata scissa in due, contrapponendo il tempo irreversibile della termodinamica al tempo reversibile della meccanica, poi è stata fusa con le tre dimensioni spaziali nella relatività ristretta.

Abbiamo già trattato i concetti di spazio e di tempo*, senza però approfondire la questione della dimensione, che si è complicata a causa della confusione tra l'aspetto fisico reale e l'aspetto matematico convenzionale. Per comprendere i motivi che hanno reso ambiguo il concetto di dimensione, dobbiamo fare chiarezza sul rapporto realtà-convenzione. Innanzi tutto, occorre distinguere tra convenzione matematica che permette di misurare grandezze fisiche reali e convenzione matematica che misura soltanto grandezze fittizie appartenenti alla matematica pura, astratta, senza alcun corrispettivo con la realtà materiale. La storia della fisica rivela, da questo punto di vista, paradossali scambi delle parti tra il fittizio e il reale.

Cominciamo dall'inizio: la geometria euclidea ha compiuto delle astrazioni come il punto, la linea, il piano, grazie alle quali ha permesso la misura di figure geometriche a due dimensioni come quadrati, rettangoli, cerchi, ecc., ma anche a tre dimensioni come cubi, sfere, ecc. che potevano servire a misurare cose reali. L'introduzione del sistema degli assi cartesiani a tre coordinate spaziali, anch'essa un'astrazione matematica, ha permesso di misurare più completamente le cose reali. In sostanza, queste erano pur sempre convenzioni, astrazioni matematiche, ma nulla avevano a che fare con cose fittizie, "libere creazioni della mente" matematica. Per quanto limitate come misure del molto piccolo e del molto grande, il loro scopo era comprendere la reale materia e il reale universo.

Con l'introduzione dei modelli convenzionali, puramente fittizi, delle cosiddette geometrie non euclidee, e del conseguente modello di continuo quadrimensionale della relatività generale, le parti si scambiano: non è più l'universo che deve essere compreso e misurato, sono i modelli matematici che devono essere compresi in quanto si sostituiscono all'universo; non è più la geometria a fornire delle coordinate spaziali per misurare i corpi cosmici e i loro movimenti; non è più la geometria a essere "tridimensionale", ma è l'universo che deve coincidere con il modello geometrico, e se questo è concepito a quattro dimensioni, ebbene l'universo deve essere quadrimensionale.

Insomma, nello scambio delle parti, la finzione matematica ha preteso sostituirsi all'universo reale: così le sue quattro dimensioni fittizie prima diventano lo spazio-tempo della relatività ristretta, poi il continuo a quattro dimensioni della relatività generale, dove, beninteso, il tempo scompare.

Sul concetto di dimensione si è sempre riflettuto poco. Perciò, è facile cadere nei paradossi strani. Hegel concepiva giustamente la misura delle grandezze come misura quantitativa di qualità diverse. Ogni qualità ha, infatti, la sua misura quantitativa che la caratterizza. Gli astronomi, per esempio, non hanno bisogno nel loro lavoro di ricorrere a troppe dimensioni: è sufficiente per loro stabilire un'unica dimensione misurabile in anni luce, mediante la quale non hanno problemi a distinguere i corpi cosmici: stelle, galassie, gruppi locali, ecc. 

Invece, realtà e finzione si confondono e si scambiano le parti da quando Einstein ha preteso far passare l'universo per quadrimensionale, attribuendogli il modello tratto dalla geometria curvilinea di Riemann: questa operazione, per apparire meno strana, aveva però bisogno di una giustificazione accettabile per il senso comune. Così, per rendere più digeribile la quadrimensionalità dell'universo, Einstein ha dovuto premettere che anche per la geometria euclidea l'universo aveva più dimensioni; che prima della relatività a 4 dimensioni, l'universo era spazialmente concepito a 3 dimensioni.

Insomma, lo spazio, prima di lui, aveva proprio tre dimensioni, era proprio euclideo! In questo modo, sostituendo alla cosa il modello matematico, si poteva permettere a ogni forma di convenzionalismo matematico di spacciarsi per realtà. E così è avvenuto anche con l'ultima arrivata, la teoria-M a 11 dimensioni, per far digerire la quale al senso comune, i suoi creatori hanno escogitato la seguente soluzione: tutte le dimensioni non intuitive, quelle cioè che superano le tre coordinate cartesiane, appartengono al molto piccolo e scompaiono nel molto grande, arrotolandosi (sic!) su se stesse.

La teoria-M rappresenta perciò una delle numerose conseguenze del metodo iniziato da Einstein: il convenzionalismo matematico fittizio può creare qualsiasi modello da sostituire all'universo! Così, a seconda del modello che alla fine vincerà la competizione, l'universo sarà obbligato a indossarlo, "modificando" la sua "realtà". Infine, se nessun modello vincerà la gara, allora l'universo avrà questa o quella "realtà", a seconda del modello preferito dal divulgatore di turno. Del resto, perché stupirsi? Non viviamo in un mondo beatamente... pluralista?

* "Il caso e la necessità - L'enigma svelato- Volume secondo Fisica" (1993-2002) Inedito.

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Scritto nel 2009

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