Tanto vale riprendere l'analisi della crisi in borsa del 2008, compiuta in corso d'opera, e che vale anche per l'oggi
Il "lunedi nero" del 6 ottobre 2008
Le borse sono crollate di circa -20% nella prima settimana; ma poi c'è stato il "rimbalzo". Una cosa è certa: a rimetterci è stato il "risparmio" del ceto medio "globale". Quanto alla cosiddetta crisi della economia "reale", era già in atto nella forma del ristagno dei "consumi", in altri termini nella forma del rallentamento dello shopping a livello mondiale.
Le borse sono crollate di circa -20% nella prima settimana; ma poi c'è stato il "rimbalzo". Una cosa è certa: a rimetterci è stato il "risparmio" del ceto medio "globale". Quanto alla cosiddetta crisi della economia "reale", era già in atto nella forma del ristagno dei "consumi", in altri termini nella forma del rallentamento dello shopping a livello mondiale.
Prima del "lunedì nero", era già in atto una diminuzione del saggio generale del profitto industriale-commerciale, conseguente alla perdita di potere d'acquisto del ceto medio della società occidentale dell'opulenza. L'impoverimento relativo del ceto medio del "Nord", non essendo compensato da un corrispondente aumento di shopper nel "Sud", ha dato luogo a una diminuzione dello shopping mondiale.
Perciò, in attesa che la Cina e l'India incrementino la massa degli shopper, è l'Occidente che deve mettere una pezza alla tendenziale caduta del saggio medio del profitto nell'unica maniera possibile, quella di polverizzare il "risparmio" individuale investito in titoli di borsa, così da creare una situazione favorevole al credito al consumo.
Perciò, in attesa che la Cina e l'India incrementino la massa degli shopper, è l'Occidente che deve mettere una pezza alla tendenziale caduta del saggio medio del profitto nell'unica maniera possibile, quella di polverizzare il "risparmio" individuale investito in titoli di borsa, così da creare una situazione favorevole al credito al consumo.
Per comprendere il marchingegno che i medici del "capitalismo senescente" hanno ideato da tempo per sostenere il vecchio malato, occorre partire dalle forme con le quali la "globalizzazione" ha cercato di contrastare la caduta del saggio medio del profitto. La prima forma, che riguarda la società dell'opulenza (il cosiddetto Nord del mondo), è il credito al consumo che permette alle aziende di vendere i propri prodotti creando nel contempo il cliente indebitato, inconsapevole di regalare ai venditori un 15% di rendimento medio. La seconda forma, che riguarda la società della penuria (il cosiddetto Sud del mondo) è il credito ai PVS, che crea un indebitamento che a sua volta regala ai creditori un 15% di rendimento medio. In sostanza, si tratta di due forme usuraie che si garantiscono un 15% di interesse mediante un indebitamento, da decenni, inestinguibile.
Allora, se una crisi in borsa, come quella del 6 ottobre 2008, evapora una massa ingente di risparmio delle famiglie, crea nel contempo una massa di shopper disponibili al "credito al consumo", che si indebiteranno negli acquisti, rimpiguando così il saggio generale del profitto. Non è quindi un caso che, passata la buriana in borsa, sia iniziata la campagna delle offerte allettanti per l'acquisto di automobili, prodotti tecnologici e persino case: si tace sul particolare del 15% di interesse da pagare, e si alletta il pubblico con il calo dei prezzi.
Ora, sebbene nessuno colleghi l'indebitamento della massa di shopper alla necessità della sopravvivenza del capitalismo senescente, qualcuno c'è che si spinge fin sull'orlo del precipizio e racconta ciò che vede. Bauman, ad esempio, l'8 ottobre su "La Repubblica", scrive un articolo ("Schiavi della carta di credito"), nel quale mette in risalto il "debito inestinguibile". Secondo lui, la filosofia imprenditoriale da tempo ha come scopo un commercio che impedisca la soddisfazione dei bisogni, creando altri bisogni e quindi ulteriore domanda: "La suddetta filosofia imprenditoriale si applica anche ai prestiti: l'offerta di un prestito deve creare e ingigantire il bisogno di indebitarsi".
In passato occorreva risparmiare per concedersi acquisti importanti; 0ggi "prendi subito, paghi dopo". Dover pagare dopo crea lo shopper indebitato; ma, osserva giustamente Bauman: i creditori non vogliono che i debitori estinguano il loro debito, perché "sono proprio i loro debiti (il relativo interesse mensile) che i moderni, disponibili (e geniali) prestatori di denaro hanno deciso, con successo, di riciclare come fonte prima del loro profitto costante, assicurato (e si spera garantito). I clienti che restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono l'incubo dei prestatori". Bauman ricorda che c'è stata persino una delle maggiori società di carte di credito che in Inghilterra ha scoperto il gioco "rifiutando il rinnovo delle carte ai clienti che pagavano ogni mese il loro intero debito, senza quindi incorrere in sanzioni finanziarie". Infine, secondo lui, "vivere a credito dà dipendenza come poche altre droghe".
Insomma, questa filosofia fondata sul concetto di debito inestinguibile è la stessa che possiamo osservare nel credito al consumo occidentale e nel credito ai PVS. Identico è anche il rendimento del 15%. Ma Ruffolo ci assicura che la stessa filosofia guida anche la borsa. In un suo libro recente, "Il capitalismo ha i secoli contati", egli osserva che l'essenza delle sofisticherie dei mercati finanziari "è il ricorso sistematico all'indebitamento, che scarica sul futuro le incertezze del presente,..." Insomma, "lo sviluppo della finanza ha determinato una forte inclinazione al rischio non per pochi operatori ma per masse di milioni di uomini, e un mostruoso ingigantirsi dei debiti". E anche in borsa, egli ci assicura, si arriva a "una rendita media del 15%, mentre una "bolla" che scoppia rappresenta una perdita secca per il risparmio di questi milioni di uomini".
Ma il fatto che questo 15% rappresenti il "rendimento medio" o, più precisamente, l'interesse medio percepito dalla usura "postmoderna", che come una sanguisuga si è attaccata alle forme monetaria e commerciale del capitale, è una necessità assolutamente vitale per il capitale mondiale, in quanto contrasta la caduta inarrestabile del saggio medio del profitto. Come abbiamo già osservato in altro luogo, si tratta di una soluzione tipica della senescenza del capitale, la quale si manifesta nel ritorno indietro alle origini più brutali del capitalismo. Allora, quanti sforzi deve fare, nella "globalizzazione", la coscienza etica e ideologica per abbellire e idealizzare le porcherie di una capitalismo decrepito? Per saperlo è sufficiente andare a leggere con spirito critico certi contributi apparsi nei maggiori quotidiani italiani nei giorni successivi al lunedì nero.