Tratto da "Scritti sulla globalizzazione" 2005-2007
Nelle sue tesi, elaborate nel periodo dell'amministrazione Clinton (1992-2000), Samuel P. Huntington ("LO SCONTRO DELLE CIVILTA' Il nuovo ordine mondiale") critica i fautori del pluralismo culturale in America, perché vedono nella tradizione occidentale i crimini perpetrati dall'Occidente e non solo i pregi della democrazia. All'opposto egli approva i sostenitori dell'identità nazionale americana, fondata su "libertà, democrazia, individualismo, proprietà privata". Secondo Huntington, i pluralisti non temono, come Roosevelt, il "coacervo di litigiose nazionalità", "ma hanno addirittura assiduamente incoraggiato la diversità, anziché l'unità, del popolo che governano". Contro i pluralisti, egli respinge l'idea di un paese composto da più civiltà, privo di un nucleo centrale costitutivo, caratteristico della civiltà americana. E sostiene la sua tesi, affermando: "I fautori del pluralismo culturale hanno anche messo in discussione l'elemento centrale del credo americano, sostituendo ai diritti degli individui i diritti dei gruppi, genericamente definiti in termini di etnie, sesso e inclinazione sessuale".
Astraendo dalla sessualità, aspetto affatto secondario, possiamo affermare che l'America è realmente un paese che si distingue per le differenti etnie, razze e nazionalità, che originano proprio da quelle civiltà teorizzate da Huntington come storicamente fondamentali. Perciò, come può egli accusare i pluralisti di sostituire ai diritti individuali i diritti dei gruppi, quando sostituisce ai diritti degli individui il diritto della civiltà americana? Non si rende conto che, ponendo in primo piano la civiltà, l'individuo passa in secondo piano? Se si attribuisce all'individuo americano l'appartenenza a una determinata civiltà, sono i diritti di questa che passano in primo piano, spodestando la centralità dei diritti individuali.
Nelle sue tesi, elaborate nel periodo dell'amministrazione Clinton (1992-2000), Samuel P. Huntington ("LO SCONTRO DELLE CIVILTA' Il nuovo ordine mondiale") critica i fautori del pluralismo culturale in America, perché vedono nella tradizione occidentale i crimini perpetrati dall'Occidente e non solo i pregi della democrazia. All'opposto egli approva i sostenitori dell'identità nazionale americana, fondata su "libertà, democrazia, individualismo, proprietà privata". Secondo Huntington, i pluralisti non temono, come Roosevelt, il "coacervo di litigiose nazionalità", "ma hanno addirittura assiduamente incoraggiato la diversità, anziché l'unità, del popolo che governano". Contro i pluralisti, egli respinge l'idea di un paese composto da più civiltà, privo di un nucleo centrale costitutivo, caratteristico della civiltà americana. E sostiene la sua tesi, affermando: "I fautori del pluralismo culturale hanno anche messo in discussione l'elemento centrale del credo americano, sostituendo ai diritti degli individui i diritti dei gruppi, genericamente definiti in termini di etnie, sesso e inclinazione sessuale".
Astraendo dalla sessualità, aspetto affatto secondario, possiamo affermare che l'America è realmente un paese che si distingue per le differenti etnie, razze e nazionalità, che originano proprio da quelle civiltà teorizzate da Huntington come storicamente fondamentali. Perciò, come può egli accusare i pluralisti di sostituire ai diritti individuali i diritti dei gruppi, quando sostituisce ai diritti degli individui il diritto della civiltà americana? Non si rende conto che, ponendo in primo piano la civiltà, l'individuo passa in secondo piano? Se si attribuisce all'individuo americano l'appartenenza a una determinata civiltà, sono i diritti di questa che passano in primo piano, spodestando la centralità dei diritti individuali.
Quando Huntington si chiede: "In un'era in cui i popoli di tutto il mondo si definiscono in termini culturali, quale posto può esserci per una società priva di un suo nucleo culturale e definito unicamente da un credo politico?" non si rende conto di sostituire all'individuo la collettività (il popolo), finendo nella vecchia contraddizione mai risolta individuo-comunità. La storia mostra che nelle diverse epoche si sono affermate opposte soluzioni di questa contraddizione: cosi, in teoria, ora il primato della comunità, ora il primato dell'individuo; anche se poi nella pratica si è sempre imposto il primato della collettività, sebbene nella forma ristretta del primato della comunità dominante: quella dei proprietari.
Oggi chi teorizza e pratica coerentemente il primato della collettività, il primato della comunità non è l'America, sono la Cina e l'Islam. Così, quando Huntington sostiene che l'America ha la necessità di caratterizzarsi come civiltà, non si rende conto di accodarsi alla concezione che si fonda sul primato della comunità sull'individuo. Per evitare ogni possibile equivoco, occorre qui stabilire un punto fermo: ciò che separa e distingue, ad esempio, la comunità islamica dalla società americana non è la pratica politica che segue in entrambe il principio dell'interesse collettivo più o meno ristretto, ma è la teoria: coerente nel caso dell'Islam che concepisce il primato della comunità, contraddittoria nel caso dell'America che concepisce il primato dell'individuo.
Huntington porta alle estreme conseguenze questa contraddizione, perché, mentre concepisce il credo democratico americano come universale in quanto fondato sui diritti individuali, si intimorisce di fronte a "un'era in cui i popoli di tutto il mondo si definiscono in termini culturali" e comincia a balbettare: anche noi siamo come voi, rappresentiamo una civiltà culturale! Così, invece di affermare, coerentemente con il principio democratico individualista, che il credo americano tollera per sua essenza il pluralismo individualista, egli sostiene contraddittoriamente il credo americano e l'affermazione di una civiltà superiore che ha il diritto-dovere di difendersi dalle altre civilta.
Nella contrapposizione tra Huntington e i "pluralisti" democratici si riflette l'assoluta incomprensione della polarità individuo-comunità, che la democrazia non ha mai risolto e non poteva risolvere. Chi riconosce l'esistenza di diverse civiltà e culture dovrebbe, per coerenza, ammettere la supremazia della comunità sull'individuo e la conseguente soggezione dell'individuo casuale alla comunità necessaria. Paradossalmente, invece, nonostante che i pluralisti e Huntington concepiscano il fondamento individualistico della democrazia americana e riconoscano l'esistenza delle diverse civiltà e culture, cadendo nella medesima contraddizione, si contrappongono diametralmente sostenendo, i primi, gli eguali diritti dei diversi gruppi culturali, e quindi la diversità culturale persino entro i confini nazionali, il secondo, l'esigenza per l'America di difendere la propria civiltà e cultura dalle altre.
Sia nella impostazione dei "pluralisti" che in quella di Huntington, implicitamente si riconosce che l'individuo appartiene a una civiltà e cultura, per nascita: così si nasce democratici o islamici o confuciani, ecc., allo stesso modo in cui nel Medioevo si nasceva nobili o servi della gleba, ecc. Ma, mentre i "pluralisti" ammettono uguali diritti per individui e gruppi che appartengono a qualsiasi cultura, Huntington ammette un unico diritto, non dell'individuo o del gruppo, ma delle civiltà a difendersi le une dalle altre: è così che concepisce lo scontro di civiltà.
In entrambe le concezioni, il primato dell'individuo lascia il posto al primato della comunità, sia essa democratica, islamica, confuciana, ecc. Ma, in particolare, nella concezione di Huntington, il punto di partenza del "credo democratico" fondato sul primato dell'individuo appare un ben misero pretesto, che non giustifica affatto l'affermazione di principio del primato della civiltà americana. Il primato americano è realmente la sua egemonia mondiale conquistata nella seconda guerra mondiale. Perciò il primato della civiltà americana non deriva dal principio teorico democratico, ma dalla realtà dei fatti storici. Dunque, è solo la necessità del mantenimento della egemonia mondiale che oggi giustifica la difesa della civiltà americana.
Ora, quando passiamo dalle tesi ideologiche di Huntington sullo scontro di civiltà alla sua analisi dei rapporti di forza nel concerto degli Stati del globo, ci rendiamo facilmente conto che è lo stesso autore a togliere la maschera alla sua ideologia, quando denuncia l'esistenza di un asse confuciano¬islamico che può rafforzare l'imperialismo cinese, unico reale aspirante all'egemonia mondiale nel XXI secolo.
E quando i cinesi sponsorizzano il loro sistema economico, sottolineando l'esigenza di ridurre lo spreco e il parassitismo del capitalismo occidentale, non fanno che indicare al capitalismo mondiale un'altra via, quella del ritorno ai suoi primordi. E' come se dicessero: oggi noi rappresentiamo meglio degli americani l'interesse vitale del capitale. Noi possiamo garantire per il futuro la sopravvivenza del vecchio capitalismo sostenendo il saggio medio del profitto con una enorme massa di plusvalore assoluto, ottenuto grazie alla forte riduzione del capitale variabile (dei salari) mondiale.
Questo messaggio per il lungo periodo contiene, tra le righe, un altro messaggio per l'immediato: l'Occidente deve sacrificare una parte del suo esercito di shopper, perché la Cina non ci sta più a fornire plusvalore assoluto affinché venga realizzato soltanto dall'Occidente opulento. Così, fa sapere che in territorio cinese ci sono già 200 milioni di shopper benestanti, in grado di realizzare il profitto che è contenuto in beni di lusso, in merci firmate, ecc. Di conseguenza, altrettanti in Occidente dovranno accontentarsi di comprare made in Cina a basso costo. Insomma, se la Cina è in grado di partecipare all'opulenza, occorre che l'Occidente accetti di fare un passo indietro per essere in grado di partecipare alla penuria.
La conseguenza di questa politica economica della Cina, sorretta da condizioni economiche molto favorevoli, può essere solo un ridimensionamento dell'opulenza e un aumento della penuria dell'Occidente. Questo è il problema attuale del "Nord" del mondo: USA, Ue, Giappone. Altro che scontro di Civiltà! Tanto è vero che, nonostante le proteste di Huntington, Gli Stati Uniti si sono già adeguati da tempo e anche pesantemente, sacrificando decine di milioni di famiglie americane alla povertà relativa. La Ue stenta ad adeguarsi; cerca strade di impossibile percorso, ma alla fine dovrà farsene una ragione.
Oggi chi teorizza e pratica coerentemente il primato della collettività, il primato della comunità non è l'America, sono la Cina e l'Islam. Così, quando Huntington sostiene che l'America ha la necessità di caratterizzarsi come civiltà, non si rende conto di accodarsi alla concezione che si fonda sul primato della comunità sull'individuo. Per evitare ogni possibile equivoco, occorre qui stabilire un punto fermo: ciò che separa e distingue, ad esempio, la comunità islamica dalla società americana non è la pratica politica che segue in entrambe il principio dell'interesse collettivo più o meno ristretto, ma è la teoria: coerente nel caso dell'Islam che concepisce il primato della comunità, contraddittoria nel caso dell'America che concepisce il primato dell'individuo.
Huntington porta alle estreme conseguenze questa contraddizione, perché, mentre concepisce il credo democratico americano come universale in quanto fondato sui diritti individuali, si intimorisce di fronte a "un'era in cui i popoli di tutto il mondo si definiscono in termini culturali" e comincia a balbettare: anche noi siamo come voi, rappresentiamo una civiltà culturale! Così, invece di affermare, coerentemente con il principio democratico individualista, che il credo americano tollera per sua essenza il pluralismo individualista, egli sostiene contraddittoriamente il credo americano e l'affermazione di una civiltà superiore che ha il diritto-dovere di difendersi dalle altre civilta.
Nella contrapposizione tra Huntington e i "pluralisti" democratici si riflette l'assoluta incomprensione della polarità individuo-comunità, che la democrazia non ha mai risolto e non poteva risolvere. Chi riconosce l'esistenza di diverse civiltà e culture dovrebbe, per coerenza, ammettere la supremazia della comunità sull'individuo e la conseguente soggezione dell'individuo casuale alla comunità necessaria. Paradossalmente, invece, nonostante che i pluralisti e Huntington concepiscano il fondamento individualistico della democrazia americana e riconoscano l'esistenza delle diverse civiltà e culture, cadendo nella medesima contraddizione, si contrappongono diametralmente sostenendo, i primi, gli eguali diritti dei diversi gruppi culturali, e quindi la diversità culturale persino entro i confini nazionali, il secondo, l'esigenza per l'America di difendere la propria civiltà e cultura dalle altre.
Sia nella impostazione dei "pluralisti" che in quella di Huntington, implicitamente si riconosce che l'individuo appartiene a una civiltà e cultura, per nascita: così si nasce democratici o islamici o confuciani, ecc., allo stesso modo in cui nel Medioevo si nasceva nobili o servi della gleba, ecc. Ma, mentre i "pluralisti" ammettono uguali diritti per individui e gruppi che appartengono a qualsiasi cultura, Huntington ammette un unico diritto, non dell'individuo o del gruppo, ma delle civiltà a difendersi le une dalle altre: è così che concepisce lo scontro di civiltà.
In entrambe le concezioni, il primato dell'individuo lascia il posto al primato della comunità, sia essa democratica, islamica, confuciana, ecc. Ma, in particolare, nella concezione di Huntington, il punto di partenza del "credo democratico" fondato sul primato dell'individuo appare un ben misero pretesto, che non giustifica affatto l'affermazione di principio del primato della civiltà americana. Il primato americano è realmente la sua egemonia mondiale conquistata nella seconda guerra mondiale. Perciò il primato della civiltà americana non deriva dal principio teorico democratico, ma dalla realtà dei fatti storici. Dunque, è solo la necessità del mantenimento della egemonia mondiale che oggi giustifica la difesa della civiltà americana.
Ora, quando passiamo dalle tesi ideologiche di Huntington sullo scontro di civiltà alla sua analisi dei rapporti di forza nel concerto degli Stati del globo, ci rendiamo facilmente conto che è lo stesso autore a togliere la maschera alla sua ideologia, quando denuncia l'esistenza di un asse confuciano¬islamico che può rafforzare l'imperialismo cinese, unico reale aspirante all'egemonia mondiale nel XXI secolo.
E quando i cinesi sponsorizzano il loro sistema economico, sottolineando l'esigenza di ridurre lo spreco e il parassitismo del capitalismo occidentale, non fanno che indicare al capitalismo mondiale un'altra via, quella del ritorno ai suoi primordi. E' come se dicessero: oggi noi rappresentiamo meglio degli americani l'interesse vitale del capitale. Noi possiamo garantire per il futuro la sopravvivenza del vecchio capitalismo sostenendo il saggio medio del profitto con una enorme massa di plusvalore assoluto, ottenuto grazie alla forte riduzione del capitale variabile (dei salari) mondiale.
Questo messaggio per il lungo periodo contiene, tra le righe, un altro messaggio per l'immediato: l'Occidente deve sacrificare una parte del suo esercito di shopper, perché la Cina non ci sta più a fornire plusvalore assoluto affinché venga realizzato soltanto dall'Occidente opulento. Così, fa sapere che in territorio cinese ci sono già 200 milioni di shopper benestanti, in grado di realizzare il profitto che è contenuto in beni di lusso, in merci firmate, ecc. Di conseguenza, altrettanti in Occidente dovranno accontentarsi di comprare made in Cina a basso costo. Insomma, se la Cina è in grado di partecipare all'opulenza, occorre che l'Occidente accetti di fare un passo indietro per essere in grado di partecipare alla penuria.
La conseguenza di questa politica economica della Cina, sorretta da condizioni economiche molto favorevoli, può essere solo un ridimensionamento dell'opulenza e un aumento della penuria dell'Occidente. Questo è il problema attuale del "Nord" del mondo: USA, Ue, Giappone. Altro che scontro di Civiltà! Tanto è vero che, nonostante le proteste di Huntington, Gli Stati Uniti si sono già adeguati da tempo e anche pesantemente, sacrificando decine di milioni di famiglie americane alla povertà relativa. La Ue stenta ad adeguarsi; cerca strade di impossibile percorso, ma alla fine dovrà farsene una ragione.
* Aggiunta Agosto 2011: questo momento è arrivato e la Ue, Italia inclusa, ne può cogliere gli amari frutti: riduzione dei salari e del Welfare, diminuzione dello shopping e aumento della penuria.