mercoledì 24 agosto 2011

La dialettica caso-necessità nella evoluzione della scienza

La realtà della specie umana e le possibilità degli individui 

Se confrontiamo le reali potenzialità della specie umana con le possibilità individuali, non possiamo fare a meno di notare che ci troviamo in presenza di due sfere completamente differenti. Tra la specie e l'individuo, tra il complesso e la sua base costituita di singole, molteplici particelle, c'è una profonda differenza qualitativa: per l'individuo vale la casualità, nel senso che la necessità per lui si manifesta solo attraverso il caso, e la possibilità può anche non tradursi in realtà; per la specie, per il complesso dei singoli molteplici individui, vale la necessità, nel senso che il movimento casuale dei molti individui si manifesta come necessità complessiva, statisticamente determinabile, e la realtà è assicurata necessariamente.

Consideriamo ora il nostro patrimonio scientifico e culturale, e vediamo il rapporto esistente tra le necessarie potenzialità della specie e le possibilità casuali degli individui. Prendiamo come punto di partenza i singoli individui. Che cosa osserviamo? Che la possibilità di accedere a questo patrimonio diventa realtà in una misura molto piccola, per un numero limitatissimo di individui, mentre per la maggioranza di essi è completamente inaccessibile. Eppure, nei secoli, pochi singoli individui di numerose generazioni hanno contribuito a creare un enorme patrimonio scientifico e culturale, fissato in un numero praticamente infinito di volumi; ma ogni generazione, o meglio, ogni epoca di diverse generazioni riesce a utilizzare soltanto una piccola parte di questo patrimonio, e non solo perché la maggior parte di esso è ritenuta invecchiata o piena di errori, ma anche perché l'utilizzo avviene secondo modalità che, inevitabilmente, sacrificano parti anche importanti dell'insieme complessivo.

Ciò deriva dal fatto che le realizzazioni della specie, sia a riguardo della produzione sia a riguardo della assimilazione della conoscenza scientifica, avvengono mediante singole realizzazioni individuali o di piccoli gruppi, che, sebbene collegati tra loro mediante scuole, libri, riviste, ecc., mantengono la loro individualità. Allora, che cosa impedisce una visione chiara della differenza qualitativa tra le reali acquisizioni della specie e le possibili acquisizioni degli individui? Il fatto che ogni singolo studioso è portato a concepire il proprio ruolo come necessario e non vuole intendere d'essere soltanto una particella casuale dell'universo di studiosi. E' questo sentimento narcisistico che impedisce una giusta impostazione dialettica.

Come è pensabile che lo studioso, che riflette attorno a temi da lui stesso considerati fondamentali, possa ritenere d'essere soggetto al caso? Eppure ogni studioso è solo un filo di una gigantesca rete, dove ogni filo è collegato ad altri in maniera spesso casuale e scomposta, così da dare alla fine come risultato una costruzione immensa, in gran parte sconnessa: quante parti sono cresciute a dismisura per poi finire nell'estinzione, quante sono solo appena abbozzate, quante ancora si contrappongono o si attorcigliano in un groviglio inestricabile? 

Se consideriamo l'opera del complesso di individui dediti alle scienze naturali e umanistiche, dalle università, alla produzione settoriale di saggi, riviste, volumi ecc., senza tralasciare conferenze e congressi, dobbiamo anche tenere presente che ogni singolo studioso produce una minima parte dell'intero complesso di conoscenze, e il suo contributo può essere considerato schematicamente di tre diverse qualità rispetto alle precedenti conoscenze: o neutrale e ininfluente o un regresso o un progresso.

Questo è il risultato di una evoluzione di tipo naturale, dove il prodotto neutrale e ininfluente rappresenta la parte in assoluto maggiore, il prodotto regressivo una parte molto rilevante, mentre il prodotto progressivo, che fa avanzare la conoscenza, rappresenta la parte in assoluto più rara ed eccezionale. La "mutazione" vantaggiosa per la scienza è una vera e propria rarità statistica, paragonabile alla mutazione vantaggiosa del DNA; e, quando si verifica, gli scienziati sembrano comportarsi non diversamente dai cloni batterici: per clonazione sorge una nuova generazione di studiosi che non vanno oltre il mutante.

Allora, come concepire tutto questo se non nei termini dell'ampia base della casualità relativa ai movimenti individuali dalle scuole alle scrivanie, dai laboratori alle biblioteche, ecc., movimenti che nel loro complesso si manifestano come necessario dispendio sul quale sorge necessariamente l'eccezione statistica, da intendersi come opera geniale che fa progredire la scienza? In definitiva, le società naturali, fondate sulla divisione in classi, e quindi sui corrispondenti modi di produzione e di scambio e sulle relative relazioni sociali, non potevano dare altra scienza che questa: una scienza che evolve come qualsiasi altro processo naturale, mediante grande dispendio ed eccezioni statistiche. Quindi, è soltanto grazie al gran numero di studiosi che si può sperare nel caso eccezionale come cieca necessità.

Può sembrare paradossale, ma l'attività più cosciente, voluta e predeterminata dell'uomo: l'attività scientifica, non ha mai potuto svolgersi, fino ad oggi, in altro modo che in maniera ciecamente necessaria. Gli studiosi non accettano la dialettica della natura, ma essi stessi la vivono direttamente nella loro attività che segue la dialettica naturale caso-necessità. E ciò significa che, nel campo della conoscenza scientifica, l'uomo fino ad oggi non è stato ancora in grado di realizzare, se non eccezionalmente e con molti limiti, le enormi potenzialità del suo metodo specifico: quello del binomio scopo-necessità fondato sulla connessione di causa ed effetto.

Ma esiste una contraddizione relativa al rapporto singolo-complesso, che permane indipendentemente dai rapporti caso-necessità e scopo-necessità. Da questo punto di vista, dobbiamo sottolineare la differenza qualitativa esistente tra le potenzialità della specie (o complesso di tutti gli uomini), e le potenzialità dei singoli individui, astraendo dalle loro diversità che dipendono dal caso della differente costituzione psico-fisica. E' una contraddizione sulla quale in genere si sorvola con un certo pudore, preferendo puntare l'attenzione sulla diversità tra i singoli individui (per i quali si può parlare di rari uomini di talento e di ancora più rari uomini di genio su una massa prevalentemente costituita di uomini mediocri): si tratta della possibilità della conoscenza in relazione al singolo e alla specie umana.

"Il nipote di Rameau", di Diderot, diceva che: o si sa tutto o non si sa niente, e la mediocrità nella conoscenza è peggio della completa ignoranza. Frenhofer ne "Il capolavoro sconosciuto" di Balzac, dice: "Oh! natura, natura! chi mai ha potuto sorprenderti nelle tue fughe? Credete a me, la troppa scienza, come l'ignoranza, arriva a una negazione". Sembrano due concezioni opposte sulla possibilità della conoscenza, ma in realtà riflettono una contraddizione. Diderot esprimeva l'illuministica aspirazione a una conoscenza completa; Balzac, invece, vedeva questa aspirazione fallire nel singolo individuo: la ricerca individuale dell'assoluto era per lui destinata al fallimento.
   
La contraddizione consiste in ciò che, mentre non c'è limite alla possibilità della conoscenza nella specie, nell'individuo la possibilità della conoscenza è limitata da molteplici circostanze. Ciò che per la specie rappresenta la realtà necessaria, la realtà del patrimonio complessivo della conoscenza umana, per l'individuo si tratta solo di una possibilità contingente: la possibilità di accedere a una parte infinitesimale di questo patrimonio, che diventa realtà solo per intervento del caso, delle capricciose circostanze.

Balzac mostra che cosa possa accadere a un uomo che per assurdo, ossia per effetto di una forza soprannaturale, raggiunga l'onniscienza: "vedendo il principio e il meccanismo del mondo, non ne ammirava più i risultati, e manifestò ben presto quel disdegno profondo che rende l'uomo superiore simile a una sfinge che sa tutto, vede tutto, e serba una silenziosa immobilità" (da "Melmoth riconciliato").

Ora, se il singolo individuo sognasse da insensato di accedere alla onniscienza, che è la destinazione non ancora realizzata della specie, egli sarebbe destinato al fallimento. Ma se, con la fantasia, si immagina, come fa Balzac, di riassumere in un solo uomo tutta la conoscenza possibile, allora appare chiara la contraddizione, per la quale ciò che per l'individuo sarebbe una tragedia: la silenziosa immobilità della sfinge, per la specie umana sarebbe, invece, la sua missione finalmente realizzata: la fervente attività dei titani.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato Volume primo Teoria della conoscenza (1993-2002) Inedito
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