mercoledì 1 giugno 2011

4° L'essenza del processo di differenziazione cellulare: l'involuzione della cellula eucariotica

Conclusioni: due esempi di dispendiosa involuzione cellulare e soluzione statistica

Uno dei sistemi fisiologici che più facilmente confermano la tesi del processo involutivo del differenziamento cellulare è senz'altro il sistema immunitario. Come vedremo, l'immunologia ha a che fare con una straordinaria variabilità cellulare, assicurata da cellule differenziate, di piccole dimensioni, che sono assimilabili alle cellule procariotiche per la replicazione del genoma e per la rapida moltiplicazione clonale. Come dimostreremo, è proprio grazie a queste caratteristiche primitive che queste cellule possono assicurare, nel loro complesso, la risposta immunitaria.

Solo di recente, e con molta riluttanza, i biologi hanno cominciato a rendersi conto che nel campo della immunologia il concetto di meccanismo è diventato una camicia troppo stretta, perché ogni preteso meccanismo si frammenta in un numero impressionante di minuti "meccanismi" intrecciati fra loro. Cercheremo di dimostrare che la complessità del processo immunologico può essere affrontata soltanto se si concepisce la risposta immunitaria come rovesciamento dialettico del caso in necessità, e quindi se si trova il modo di tradurre il rapporto caso-necessità nei termini del rapporto probabilità-frequenza statistica.

La principale caratteristica delle cellule immunitarie è la rapida selezione clonale, ossia la rapida moltiplicazione del mutante adatto alla risposta immunitaria del momento: ciò che rappresenta una eccezione statistica. L'immunologia, invece, concepisce il "riconoscimento" dell'antigene da parte del singolo linfocita. Ora, mentre il concetto di riconoscimento è una soluzione convenzionale che serve a conservare l'illusorio meccanismo deterministico, ritenere che tra diversi milioni di cloni, casualmente, ve ne siano alcuni atti a bloccare l'antigene di turno è non soltanto realistico ma perfettamente coerente con le leggi statistiche.

Le principali cellule immunitarie*, i linfociti B, producono proteine, gli anticorpi (Ac), appartenenti alle immunoglobuline (Ig). La conseguenza della straordinaria variabilità genetica dei linfociti si manifesta nella produzione di milioni di Ig diverse. Ora, il fatto che singole cellule, tra loro differenti per qualche tratto di DNA, producano proteine diverse l'una dall'altra per qualche aminoacido, dimostra che siamo di fronte a fenomeni di tipo ancestrale. Possiamo così ipotizzare in generale che il sistema immunitario è tale proprio perché è l'erede di un passato che riguarda la preistoria della vita, un passato nel quale gli organismi protocellulari possedevano le seguenti caratteristiche: una elevata frequenza di mutazione e una rapida moltiplicazione clonale di rari organismi casualmente adatti a circostanze ambientali specifiche, circostanze in continuo mutamento. La vita non poteva primordialmente assumere altra forma che questa, unica garanzia di perpetuazione in tutte le direzioni.

I biologi, che hanno un nome per ogni fenomeno che non riescono a comprendere, hanno chiamato la variabilità genetica col nome di "riarrangiamento". Nella nostra ipotesi, invece, la variabilità genetica molto elevata delle cellule immunitarie è originata dal caso, presente sia ad ogni replicazione dei genomi cellulari sia ad ogni incontro con l'antigene di turno. Possiamo così sostenere che la garanzia del funzionamento del sistema immunitario è data non dalla precisione tipica di un meccanismo deterministico, ma da un processo al quale partecipano molti miliardi di cellule, singolarmente casuali e solo complessivamente necessarie in senso immunitario: ossia nel senso di permettere l'eccezione statistica funzionale alla risposta immunitaria. Non è dunque un caso che il sistema immunitario abbia messo a dura prova la concezione del "codice genetico" della biologia molecolare, mostrando una varietà di trasformazioni per essa inconcepibile.

Anche il caso della "tolleranza del self" è istruttivo. Scrive Eisen ("Microbiologia", 1993, gà citato): "Sebbene i linfociti T e i linfociti B di un soggetto siano in grado di rispondere collettivamente ad un numero virtualmente illimitato di differenti Ag, normalmente essi non rispondono agli Ag propri dell'individuo. Questa non responsività selettiva o "tolleranza del self" è da lungo tempo nota come una caratteristica fondamentale delle risposte immuni, benché i meccanismi (!) responsabili non siano ancora chiariti (sic!). Qualora venga perduta la tolleranza del self, ne conseguono risposte autoimmuni che possono condurre a gravi malattie, ... "

Pretendere di ridurre il processo di formazione di cellule immunitarie a dei semplici meccanismi è completamente fuori luogo. Questo processo è il risultato di una lunga evoluzione che ha potuto usufruire soltanto della legge del dispendio, quindi, di un enorme sperpero biologico. L'evoluzione delle specie può essere osservata anche da questo punto di vista: organismi pluricellulari sempre più complessi potevano sorgere soltanto quando fosse sorto un sistema immunitario in grado di svolgere la sua complessa funzione. E che questa funzione sia il risultato della cieca necessità fondata sull'ampia base della casualità, lo conferma la risposta autoimmune, incomprensibile per la concezione del codice genetico. Se per la risposta immunitaria questa concezione si può avvalere della convenzione che esistano cellule somatiche che vengono programmate per il riconoscimento dell'antigene, per la risposta autoimmune non sa più su quale finzione appoggiarsi.

L'immunologia fece mutare parere ai biologi molecolari, quando mostrò l'assurdità del dogma: una proteina = un gene. Se ogni Ig fosse codificata da un gene, occorrerebbero milioni di geni. Allora, da dove deriva l'unicità di ogni Ig? Semplicemente da casuali diverse combinazioni di tratti di DNA dei linfociti che lo producono. Perciò bastano relativamente poche modificazioni del DNA per ottenere milioni di differenti proteine. La scoperta di questo fatto statistico, comprensibile soltanto nei termini della casualità relativa ai grandi numeri, permette di interpretare ogni linfocita funzionale e ogni Ig funzionale come eccezione statistica di grandi numeri: questa è la conferma che l'immunologia dà alla legge del dispendio.

Questa idea è però ben lontana dall'essere concepita dagli immunologi, anche se qualche volta viene da essi sfiorata. Ad esempio, Eisen ha una specie di intuizione che sciupa immediatamente: "E' molto probabile che in numerosi linfociti abbiano luogo soltanto riarrangiamenti non produttivi [traduzione: si formano casualmente sequenze non funzionali], che quindi non hanno alcun valore per il sistema immunitario. Tuttavia, quando i benefici sono sufficientemente grandi, la natura può apparentemente permettersi di eliminare cellule superflue, come avviene ad esempio nel caso dell'enorme numero di spermatozoi che sono prodotti ma non usati per fertilizzare l'ovulo".

Prodotti in grandi numeri e non utilizzati! Insomma, l'enorme numero di spermatozoi prodotti e continuamente eliminati sarebbe uno spreco naturale privo di utilità! Questo è l'equivoco da cui i biologi non riescono a liberarsi. Eisen dice che quando i benefici sono grandi la natura si permette qualche spreco. Non si rende conto che la natura può produrre i suoi capolavori soltanto con grande dispendio. Il dispendio non è l'eccezione ma la regola: così il "beneficio" della vita è ottenuto mediante l'enorme dispendio della vita stessa. Di più, la vita è una rarità statistica a paragone con il suo opposto dialettico: la morte.

Così, il gran numero di spermatozoi prodotti, che agli occhi dei biologi sembrano non usati per fertilizzare l'ovulo, in realtà sono assolutamente necessari alla fecondazione. La loro necessità consiste in ciò, che soltanto un enorme serbatoio di spermatozoi garantisce la rara frequenza statistica mediante la quale si manifesta la fusione di un solo spermatozoo con un solo ovulo. Un gran numero di spermatozoi è destinato a perire senza altra utilità che quella, assolutamente necessaria, di riempire un serbatoio dal quale soltanto il caso estrarrà quel solo spermatozoo che feconderà un solo ovulo. Ed entrambi, fondendosi nello zigote, avvieranno il processo di proliferazione differenziata di circa centomila miliardi di cellule, anch'esse destinate, in tempi diversi, a un unico destino: la morte. E il risultato di tutto questo spreco è la vita di lunga durata e di relativa stabilità di un organismo pluricellulare come quello umano!

C'è da immaginare lo sconcerto del biologo, digiuno di teoria della conoscenza, assunto per esprimere il massimo di produttività ed efficienza in un laboratorio universitario o industriale! Egli arriverà a concedere qualche attenuante alla natura quando si permette sprechi evidenti come quello della riproduzione sessuata, ma continuerà a minimizzare ogni forma di dispendio naturale, limitandosi a considerare non funzionale tutto ciò che in natura non ha una resa immediata e non contribuisce direttamente al risultato, nella speranza di trovare, prima o poi, qualche meccanismo regolatore che riduca o almeno giustifichi il dispendio stesso.

Per questa via, che purtroppo è percorsa dagli immunologi in compagnia dei biologi molecolari, ogni comprensione dei reali processi immunitari è preclusa: per poter comprendere il reale rapporto del caso, evidenziato anche dagli stessi immunologi, relativo alle singole manifestazioni immunitarie, con la necessità del sistema immunitario, ossia con la regolarità delle risposte immunitarie, occorre distinguere due diversi livelli qualitativi: 1) quello relativo al processo complessivo proprio dell'organismo pluricellulare superiore (qui consideriamo l'organismo umano), 2) quello relativo ai molteplici singoli eventi cellulari dell'organismo stesso. Allora risulterà comprensibile la necessità del complesso come rovesciamento dialettico della casualità dei suoi singoli elementi costituenti.

Infatti, a livello delle singole cellule troviamo soltanto il caso indeterminabile e imprevedibile, mentre a livello del complesso di cellule troviamo un immenso groviglio, dove vige la spietata legge del dispendio, la legge della vita intesa come eccezione di una grande mortalità. Ma, nel complesso, ciò che si realizza altro non è che la cieca necessità nella quale si rovescia continuamente la casualità delle singole cellule. Questo rovesciamento si attua nella forma della eccezione statistica: ovvero l'eccezione funzionale, vitale, in mezzo a un enorme dispendio di cellule solo apparentemente inutili.

Per concludere su questo fondamentale aspetto di teoria della conoscenza: se la natura (ossia i processi naturali) operasse in senso teleonomico, come pretende la "nuova immunologia", ogni spreco dovrebbe essere bandito. Poiché, invece, lo spreco è smisurato, s'impone la tesi che la natura operi in senso statistico. L'immunologia deve perciò fondare su questa tesi le proprie ricerche, i propri risultati sperimentali e le proprie riflessioni teoriche.

* Per semplificare la nostra indagine, finalizzata a contrapporre la soluzione statistica della risposta immunitaria al convenzionalismo deterministico-meccanicistico della "nuova immunologia", prenderemo in considerazione soltanto l'azione dei linfociti B.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Terzo Biologia" (1993-2002) Inedito

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