lunedì 20 giugno 2011

Complessità, caos e proprietà emergenti I

Il caso: l'enigma irrisolto della scienza

Il "Dizionario asimmetrico" (2004)  di Pietro Greco, grazie ad alcuni argomenti tratti dalle voci "caos" e "caso", ci fornisce l'occasione di riprendere l'enigma millenario, irrisolto, del caso e di esporne di nuovo la soluzione, dopo aver mostrato che ancora oggi la teoria della conoscenza ufficiale non è in grado di sapere se il caso esiste realmente o se è solo una fantasma della mente umana. Cominciamo dalla prima voce, il "caos", che, pur opponendosi al determinismo classico fondato sulla connessione diretta di causa ed effetto, è stato ambiguamente concepito come "caos deterministico", sostanzialmente un ossimoro. Scrive Greco: "Il caos, anzi il caos deterministico, è la scienza che studia i grandi effetti provocati da piccole cause".  "Nei sistemi dinamici [...] l'errore associato alla misura delle condizioni iniziali subisce una rapida amplificazione. E' questo che ne rende imprevedibile l'evoluzione".

L'imprevedibilità, occorre sottolinearlo, è sinonimo di caso: si tratta di un contrassegno della sfera della casualità. Ma la cosiddetta amplificazione delle condizioni iniziali è un'altra questione, sorta dalle simulazioni al computer. Come scrive Greco: "Si dice che esso, il caos, sia apparso per la prima volta sulla scena a Boston presso il Massachussetts Institute of Tecnology, nell'inverno del 1961, nel computer di un meteorologo: Edward Lorenz". Il quale si rese conto che "Basta modificare leggermente le condizioni iniziali del sistema, perché la sua evoluzione diverga". E quali conseguenze avrebbero l'amplificazione e la divergenza? Enormi, secondo la ben nota metafora del battito di ali di una farfalla in Amazzonia, capace di far scatenare un temporale a Dallas.

Ci permettiamo una breve digressione, per smentire questo paradosso. Con simulazioni matematiche al computer si potrà anche produrre un virtuale temporale col solo battito di ali di una farfalla, ma, in natura, a impedire un simile risultato "vigila" il dispendio: ce ne vogliono di battiti e controbattiti di ali di farfalle, di eventi e controeventi per produrre, in maniera dispendiosa e imprevedibile, qualcosa come una bella giornata o un temporale a Dallas. In sostanza, riguardo al "caos" si può solo parlare di perturbazioni che rendono i fenomeni naturali disordinati e imprevedibili.

Del resto, come ricorda Greco, le cosiddette perturbazioni erano note anche a Newton, nella forma degli effetti gravitazionali prodotti dai vari pianeti del Sistema Solare, che disturbavano la sua legge della gravitazione, a tal punto che egli dovette fare appello all'intervento divino per riportare di tanto in tanto ordine nel sistema. E sempre Greco ci ricorda che furono Eulero, Lagrange e Laplace a dotare la fisica di strumenti matematici per il calcolo delle perturbazioni. "In particolare Laplace, il quale dimostrò che a causa delle mutue perturbazioni gravitazionali, i pianeti non si muovono su orbite ellittiche fisse e geometricamente perfette, come pensava Keplero. Ma su orbite se non erratiche, certo un pò contorte e abbastanza mutevoli".

Insomma, il Settecento scoprì un mondo molto meno ordinato e perfetto di quello concepito nel Seicento dal determinismo riduzionistico cartesiano, fondato sulla connessione di causa ed effetto divina. Ma la delusione e lo sconcerto produssero un equivoco storico: si attribuì l'attestato di fondatore del determinismo scientifico proprio a chi, di fatto, fu costretto a dargli il benservito: Laplace. Infatti, il brano, divenuto celebre come il "manifesto del determinismo scientifico", mentre nella sua prima parte esalta un determinismo assoluto (che solo un dio avrebbe potuto vantare di possedere), nella seconda parte, quella meno citata dai sostenitori del preteso determinismo laplaciano, concede all'uomo soltanto l'incerta "scienza del caso" o delle probabilità.

[Prima parte] "Una intelligenza che, per un istante dato, potesse conoscere tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che inoltre fosse abbastanza grande da sottomettere questi dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti del più grandi corpi dell'universo e quelli dell'atomo più leggero: nulla le risulterebbe incerto, l'avvenire come il passato sarebbe presente ai suoi occhi". Come si vede, questa è roba per la "Scienza divina e veneranda" di Aristotele, non per l'uomo. Per l'uomo vale il passo successivo.

[Seconda parte] Dopo aver premesso che "lo spirito umano offre, nella sua perfezione che ha saputo dare all'astronomia una debole parvenza di questa intelligenza", Laplace chiarisce: "Ma l'ignoranza delle diverse cause che concorrono alla formazione degli eventi come pure la loro complessità, insieme con l'imperfezione della analisi, ci impediscono di conseguire la stessa certezza rispetto alla grande maggioranza dei fenomeni. Vi sono quindi cose che per noi sono incerte, cose più o meno probabili, e noi cerchiamo di rimediare alla impossibilità di conoscerle determinando i loro diversi gradi di verosimiglianza. Accade così che alla debolezza della mente umana si debba una delle più fini e ingegnose fra le teorie matematiche, la scienza del caso e della probabilità".

Quello di Laplace potrebbe essere definito un determinismo negativo, perché è proprio l'imperfezione e l'impossibilità di stabilire cause certe a fargli respingere il determinismo della causa a favore dell'indeterminismo del caso, a sua volta beneficiato positivamente dalla matematica. In questo modo, non solo egli tolse di mezzo la determinazione causale, ma con essa anche la necessità, lasciando la scienza umana in balìa del caso e delle probabilità. Allora, se il determinismo veniva dichiarato impraticabile in questo modo, mentre si dava il benservito al riduzionismo deterministico, si apriva di fatto l'era del riduzionismo indeterministico. 

Conferma questa tesi anche la seguente considerazione di Greco: "Il padre del determinismo scientifico è tra i primi, dunque, a invitare la debole mente umana a usare quella che oggi Ilya Prigogine chiamerebbe una razionalità probabilistica, piuttosto che una razionalità deterministica, per cercare di spiegare i fenomeni complessi o semplicemente caotici della vita quotidiana". Insomma, in questo modo, si ammette che già Laplace aveva ridimensionato il determinismo scientifico, ma nessuno allora volle capirlo. Così, il secolo successivo, l'Ottocento, fu dominato dal determinismo riduzionistico. Non solo, ma ancora nel Novecento il determinismo non è stato messo completamente da parte, come attestano i vari Einstein, Bell, Bohm, ecc.

Occorre anche dire che l'insistenza sul determinismo è giustificabile se si pensa che il suo contrario, l'indeterminismo ha cancellato persino dal vocabolario il termine di "necessità". Ciò che è grave per la teoria della conoscenza non è l'abbandono del determinismo come strumento di comprensione dei fenomeni e dei processi naturali, bensi l'abbandono della necessità. Ma senza necessità che cosa rimane? Il caso. E così siamo passati alla seconda voce.

"Che cos'è, dunque, il caso?" Si domanda Greco, dopo averne elencato le varie manifestazioni: "Il caso è l'imprevisto, ciò che accade oltre la nostra capacità di prevedere. Il caso è l'alea, il rischio che corriamo quando giochiamo a poker o quando saliamo su un aereo. Il caso, ancora, è ciò che si contrappone alla legge o a una causa razionale, ed è pertanto la negazione della necessità. Il caso è il caos, il disordine più o meno apparente. Il caso, infine, è un fantasma della nostra mente, che nella realtà non esiste". Ma, dopo aver elencato le più diverse manifestazioni del caso, come ci si può ancora chiedere che cosa esso sia. Imprevisto, alea, rischio, caos, disordine sono appunto i concetti della sfera del caso, la quale, a sua volta, non è definibile se non come opposto polare della sfera della necessità. Il caso è negazione della necessità, ma non è una negazione metafisica tipica del determinismo, per il quale esiste realmente solo la necessità della causalità, bensì una negazione dialettica: il caso è l'opposto polare della necessità e, viceversa, la necessità è l'opposto polare del caso.

Quindi la nostra mente può sì concepire il caso come un fantasma o come conseguenza della nostra ignoranza, ma così facendo cade in errore, un errore storico millenario. Dice, infatti, Greco che "La natura del caso ancora oggi non è risolta". E ha ragione a dirlo, nel senso che la scienza e la filosofia della scienza, ancora oggi, non hanno compreso l'essenza dialettica del caso in connessione con la necessità. Ovviamente, per chi scrive, è molto difficile far passare l'idea che l'arcano è stato finalmente risolto da un autodidatta, al di fuori della comunità scientifica e filosofica. Come questo blog contribuisce a far conoscere, la natura del caso si evidenzia come sfera del caso, o sfera d'azione dei singoli numerosi eventi, oggetti, individui, i quali costituiscono dei complessi che appartengono alla sfera della necessità.

Il pensiero umano, a partire da Epicuro, Democrito, Aristotele, ecc. non ha mai compreso o accettato questa dialettica polare caso-necessità, dando luogo a una millenaria contrapposizione metafisica tra il caso e la necessità: o l'uno o l'altra. E a peggiorare la situazione è intervenuta la concezione metafisica matematica che, se con la teoria delle probabilità ha posto le basi per comprendere finalmente la differenza qualitativa esistente tra la singolarità probabilistica e la complessità frequentista (statistica), non ha poi saputo fare altro che sostituire al fallimentare riduzionismo deterministico il suo opposto diametrale, l'altrettanto fallimentare riduzionismo indeterministico.

Dice Greco che, nonostante il contributo dei teorici delle probabilità, Laplace, Gauss, Poisson, Poincarè e Kolmogorov, "questa teoria non dice nulla sullo stato ontologico del caso". E di nuovo si domanda: "Il caso esiste o è un fantasma della nostra mente?". Una simile domanda sembra suscitata da quel determinismo deluso che in varie forme, anche ambigue, ha sempre cercato di riguadagnare terreno in filosofia della scienza, aggravandone la situazione.

Comunque, a questa domanda l'autodidatta può rispondere facilmente: certo che il caso esiste! Esso rappresenta la condizione singolare, individuale dell'esistenza materiale, ovvero, la sfera del caso, polarmente opposta alla sfera della necessità o esistenza materiale dei complessi. Di conseguenza, la cosiddetta "scienza del caso" o delle probabilità, a partire da Laplace, è stata solo l'esito inevitabile e infausto dell'ignoranza umana: non aver compreso che la probabilità è tale proprio perché riflette matematicamente il caso relativo ai singoli eventi (come, ad esempio, singoli lanci di una moneta). Quindi, la conclusione di Laplace sul calcolo matematico delle probabilità, come strumento per sopperire alla nostra ignoranza (concepita come caso) è stato un errore che ha confuso tutti, producendo la perenne contrapposizione diametrale tra determinismo e indeterminismo, tra causa e caso.

Come scrive Greco: "Nella interpretazione di Copenaghen, il caso esiste e tutto quello che sia noi sia una intelligenza laplaciana possiamo fare è calcolare probabilità. Nella interpretazione dei "realisti", come Einstein e David Bohm, il caso non esiste". Come si vede, si è rimasti sempre impigliati in questa contrapposizione diametrale, come conferma anche la seguente conclusione: "Il dibattito non si è ancora concluso. Non in modo definitivo, almeno. E così ancora non sappiamo se il caso esiste davvero nel mondo fisico o è solo una fantasma della nostra mente". Se Greco è veramente interessato a concludere questo dibattito, nel senso di trovare la risposta finalmente risolutiva, l'autodidatta lo invita seriamente a visitare il suo blog. *

Scritto nel 2011

* Oggi, 13/08/2017, Pietro Greco è molto più impegnato a rendere conto dei vantaggi della "peer review" che a respingere il "fantasma della nostra mente" mediante la "dialettica caso-necessità".
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