venerdì 17 giugno 2011

La critica di Hegel al rapporto tautologico di causa-effetto favorisce la soluzione del rapporto dialettico di "caso-necessità" (da "Scienza della logica", 1816)

Il passaggio, attuato da Hegel, dal rapporto di caso-necessità al rapporto di causa-effetto è mediato dal concetto di sostanza; ma è un passaggio, per così dire, sofferto: in questa parte della "Logica", egli diventa, infatti, oltremodo oscuro, e non è un caso, dato che si tratta di sacrificare arbitrariamente il caso per fare posto alla causa. E se sembra compiere questo "sacrificio" come qualsiasi altro filosofo prima di lui, come vedremo, la sua intelligenza non lesina critiche al concetto di causa (senza però toccare l'essenza della contraddizione del rapporto di causa-effetto; e ciò soltanto perché deve preparare la via per arrivare alla causa finale, e da questa all'idea assoluta). Il paradosso è però che, ancora una volta, proprio un momento prima di compiere il "sacrificio" con ragionamenti oscuri che dovrebbero dare la parvenza di una connessione logica, Hegel arrivi a risultati reali, fondamentali per la teoria della conoscenza.

 I) Il primo è che la necessità sostanziale si manifesta nella dialettica distruzione-costruzione, cosa questa che oggi può, anzi deve, essere verificata nelle scienze fisiche e biologiche. "La sostanza -egli scrive- si manifesta per mezzo della realtà col suo contenuto, nella quale essa traduce il possibile, come potenza creatrice; per mezzo della possibilità, invece, in cui si riconduce il reale, si manifesta come potenza distruttiva. Ma l'una e l'altra sono cose identiche; il creare è distruttivo; la distruzione è creativa, perocché il negativo e il positivo, la possibilità e la realtà sono assolutamente uniti nella necessità sostanziale".


II) Il secondo risultato è la giusta considerazione del rapporto esistente tra i molteplici casi singoli e la totalità dei casi. A questo proposito Hegel scrive: "Gli accidenti, come tali, e ve ne sono parecchi, in quanto la pluralità è una delle determinazioni dell'essere, [...] sono cose esistenti dotate di molteplici proprietà, ovvero intieri che constano di parti, parti per sé stanti, forze che abbisognano l'una della sollecitazione dell'altra e di cui l'una ha l'altra per condizione. Quando un ché di accidentale sembra esercitare un potere sopra un altro simile accidente, è il potere della sostanza che li comprende ambedue [...] -Un accidente ne caccia dunque un altro solo perché il suo proprio sussistere è quella stessa totalità della forma e del contenuto, nella quale tramontano tanto quell'accidentale quanto il suo altro".

Vedremo più avanti l'importanza fondamentale dell'idea delle singole accidentalità che tramontano nella totalità, nel complesso. Idea che abbiamo in seguito verificato nel corpo delle scienze naturali. Qui ci limitiamo a fornire un esempio. Nella "Dialettica della natura", Engels afferma che il mondo fenomenico appare un groviglio casuale, ma solo se considerato dal punto di vista dei singoli oggetti, individui, ecc. Perciò, quando egli afferma che per il singolo animale sono casuali il luogo dove nasce, i nemici che eredita con la sua nascita, e più in generale tutta la sua esistenza individuale, sottolinea la casualità relativa ai singoli. Ma prendiamo il complesso degli individui, la specie: quegli stessi nemici che cosa rappresentano? Essi permettono alla specie di perpetuarsi e prosperare senza superare i limiti adeguati alla sua esistenza. Il caso relativo ai singoli animali di una specie si rovescia continuamente nella cieca necessità del complesso; e, viceversa, la cieca necessità del complesso si rovescia nel caso dei singoli individui, manifestandosi come buona o cattiva fortuna, come sicurezza o rischio, infine come vita o morte.

In questo senso possiamo affermare che le singole accidentalità tramontano nel complesso. E ancora, non è la somma di tutti i singoli accidenti a costituire la necessità del complesso: la somma di tutti i singoli accidenti fornisce l'ampia base della casualità dei singoli individui, mentre il loro complesso, in quanto necessità in sé e per sé, è il luogo dove tramontano i singoli casi, le singole fortune individuali, in definitiva i singoli individui e le loro variegate esistenze.

Questa è la soluzione dialettica del rapporto caso-necessità, sul cui fondamento diventa comprensibile anche il rapporto possibilità-realtà. Hegel però non giunge a questa conclusione perché ha bisogno della relazione di causa-effetto per poter affermare la causa finale. Se, come abbiamo visto, la necessità è il rovesciamento dialettico della casualità, ossia se la necessità è il risultato di un processo che muove dal caso, e se poi chiamiamo effetto questo risultato, senza più considerare com'è stato ottenuto, allora l'effetto necessario appare derivato da qualcos'altro, che prende il posto del caso: questo altro è la causa.

Se riflettiamo a fondo su questa sostituzione, confrontando la concezione fondata sul caso con quella fondata sulla causa, però da due punti di vista diversi, quello del singolo e quello del complesso, otteniamo quanto segue:

1) dal punto di vista del complesso, a) ragionando nei termini della dialettica caso-necessità, il risultato è sempre necessario, però il suo punto di partenza è la casualità dei suoi singoli elementi: qui è avvenuto un salto dialettico dal caso alla necessità; b) ragionando in termini di causa-effetto, qui la causa prende il posto del caso relativo ai singoli elementi e l'effetto prende il posto della necessità relativa al complesso;

2) dal punto di vista dei singoli, tutto appare capovolto: sub a) i risultati sono molteplici e casuali, però il punto di partenza è la necessità relativa al complesso di appartenenza dei singoli. Anche qui c'è un rovesciamento, un salto dialettico, ma opposto al precedente, ossia dalla necessità al caso; invece, sub b) la causa prende il posto della necessità relativa al complesso, e l'"effetto" è i singoli numerosi effetti che prendono il posto della molteplice casualità relativa ai singoli elementi.

Per conseguenza, se noi assumessimo, come fa il riduzionismo, per oggetto di studio il singolo elemento, per assoggettarlo alla relazione di causa ed effetto, troveremmo il paradosso di una necessità che è causa di effetti casuali (e questo, ad esempio, è stato rilevato dai teorici del "Caos"). Al contrario, assumendo il complesso come oggetto di studio, noi troviamo il rovesciamento dialettico dal caso alla necessità. Allora se la scienza vuole la necessità, non può fare altro che rivolgere la propria attenzione ai complessi.

Il pensiero metafisico ha, però, concepito le cose in maniera differente, a sé più congeniale, immaginando che il caso producesse solo il caso (Epicuro), e la necessità, come causa, producesse solo la necessità, come effetto (Democrito), senza distiguere le cose singole dalle cose complessive. A sua volta, la scienza moderna, a partire da Cartesio, ha risolto la questione nel senso di Democrito della necessità che, come causa, determina un'altra necessità come effetto. Ma questa determinazione ha riguardato solo le singole cose (riduzionismo).

Poiché Hegel non applica mai chiaramente la distinzione dialettica tra la necessità del complesso e la casualità del singolo, la sua argomentazione sulla causalità è alquanto oscura. Comunque egli non considera neppure valida la connessione diretta: necessità, come causa di una altra necessità. Poiché, inoltre, concepisce dialetticamente il rovesciamento degli opposti, non può evitare d'esser critico nei confronti del rapporto di causa-effetto come necessità (causa) che determina un'altra necessità (affetto). Infatti dice: "l'effetto non contiene quindi in generale nulla che la causa non contenga. Viceversa la causa non contiene nulla che non sia nel suo effetto. La causa non è altro che questa determinazione, di avere un effetto, come l'effetto non è altro se non questo di avere una causa. Nella causa come tale risiede il suo effetto, e nell'effetto la causa".

Insomma, causa ed effetto sono una sola cosa, dunque si tratta di una vuota tautologia. "A cagione di cotesta identità di contenuto, questa causalità è una proposizione analitica. E' la medesima cosa, che si presenta una volta come causa, l'altra come effetto [...] Siccome queste determinazioni di forma sono una riflessione esterna, così è la considerazione sostanzialmente tautologica di un intelletto soggettivo, di determinare un fenomeno come effetto e di risalire da esso alla sua causa, affin di comprenderlo e spiegarlo. Non fa che ripetersi un unico e medesimo contenuto: nella causa non si ha nulla di diverso da quello che si ha nell'effetto".

E' solo perché il suo idealismo oggettivo ripudia tutto ciò che non è intrinseco alla sostanza, all'idea e alla natura prodotti dallo spirito assoluto, che Hegel attacca il rapporto di causa-effetto in quanto estrinseco, e nell'attaccarlo lo demolisce e lo ridicolizza. Ovviamente, noi non accettiamo i motivi idealistici della critica hegeliana alla causalità, motivi che lo condurranno alla soluzione teleologica, alla causa finale, ma la sua critica rimane assolutamente valida, ed è per questo che ne riportiamo alcune parti.
 
"Riguardo a questa tautologia del rapporto di causalità è da osservare ch'essa non sembra esservi contenuta quando si assegni non già la causa prossima, ma la causa remota di un effetto. La mutazione di forma subìta dalla sostanza fondamentale della cosa in questo passaggio per molti gradi intermedi nasconde l'identità ch'essa conserva con quelli. In questa moltiplicazione delle cause che si sono interconnesse fra lei e l'ultimo effetto, essa in pari tempo si collega con le altre cose e circostanze, per modo che non già quella prima, che viene chiamata causa, ma soltanto queste molte cause insieme contengono l'effetto completo. Così un uomo p. es. venne a trovarsi in condizioni tali che il suo talento si sviluppò per aver perduto suo padre, il quale fu in una battaglia colpito da una pallottola; questo colpo (o, risalendo ancor più indietro, la guerra ovvero una causa della guerra e così via all'infinito) potrebbe esser assegnato come causa dell'abilità di quell'uomo. Ma è chiaro che non già p. es. quel colpo è per sé questa causa, sibbene soltanto il collegamento suo con altre determinazioni efficienti. O meglio, esso non è in generale causa, ma è soltanto un momento singolo, che apparteneva alle circostanze della possibilità".

Ecco il punto fondamentale: il colpo di fucile è solo un "momento singolo" che appartiene "alle circostanze della possibilità", ovvero alla sfera del caso-: quindi la cosiddetta "moltiplicazione delle cause" è in realtà la molteplice casualità, della quale la causa ha preso arbitrariamente il posto. Le molte cause sono in realtà i molti accidenti casuali. Quindi la causalità qui non c'entra per niente. Se Hegel avesse portato la sua riflessione fino all'estrema conseguenza logica avrebbe sostenuto, oltre a "l'inammissibile applicazione del rapporto di causalità", anche l'unica possibile applicazione: quella della dialettica caso-necessità.

"E' poi soprattutto da notare ancora l'inammissibile applicazione del rapporto di causalità ai rapporti della vita fisico-organica e della vita spirituale. Qui quello che si chiama causa si mostra certamente di un contenuto diverso dall'effetto, ma ciò accade perché quello che opera sul vivente viene in maniera indipendente determinato, mutato e trasformato da questo, perché il vivente non lascia che la causa giunga al suo effetto, vale a dire, toglie la causa. Così è una maniera di parlare inammissibile il dire che l'alimento sia la causa del sangue, o che questi cibi, ovvero il freddo, l'umido, sian causa della febbre etc.; altrettanto illegittimo è l'assegnare il clima ionico come causa delle opere omeriche, oppure l'ambizione di Cesare come causa del tramonto della costituzione di Roma. Nella storia in generale le masse e gl'individui spirituali sono in gioco e in determinazione reciproca fra loro; ma la natura dello spirito, in un senso ancora molto più alto che il carattere del vivente in generale, è di non cogliere anzi in sé un altro originario, ossia di non lasciar continuare nello spirito una causa, ma d'interromperla e trasformarla"
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Come si vede, Hegel considera il rapporto di causa-effetto inadeguato ai rapporti della vita biologica e della storia. E quando dice che "l'effetto non può essere più grande della causa", premette che ciò si può osservare "in quanto si ammetta il rapporto di causa ed effetto, sebbene in senso improprio". Così egli non considera appropriato attribuire al rapporto di causalità lo scaturire di grandi effetti da piccole cause. Famosi sono i seguenti passi: "è una spiritosaggine di cui si è presa l'abitudine nella storia, quella di far nascere grandi effetti da piccole cause, e di addurre qual prima causa di un avvenimento di vasta e profonda portata un aneddoto". "Questi arabeschi della storia, nei quali da uno stelo flessibile si vede sorgere una gran figura, costituiscono quindi bensì una trattazione ingegnosa, ma quanto mai superficiale".

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume Primo Teoria della conoscenza" (1993-2002). Inedito

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