sabato 4 giugno 2011

I) Cellule staminali: il mito di Prometeo

Il mito di Prometeo può essere ricordato per via del suo fegato, divorato ogni giorno da un rapace e continuamente rigenerato, in eterno (Gianna Milano e Chiara Palmerini, "La rivoluzione delle cellule staminali", 2005). Ma il mito non rende conto di una rilevante contraddizione: la moltiplicazione continua e indefinita delle cellule staminali che si rovescia nella proliferazione inarrestabile di cellule tumoralì, che non è infinita perché si conclude con la morte dell'intero organismo. Questo contrassegno, la continua proliferazione cellulare, appartiene sia alle cellule staminali che a quelle tumorali. Ne consegue come ipotesi (solo da breve tempo presa in parziale considerazione) che a trasformarsi in cellule tumorali siano proprio le staminali.

Questa contraddizione rappresenta, inoltre, il principale ostacolo, tutt'oggi insormontabile, all'utilizzo delle cellule staminali nella pratica medica per rigenerare tessuti soggetti a processi degenerativi. Ma questa contraddizione oggettiva e imprescindibile dev'essere collegata ad un'altra contraddizione fondamentale e più generale della vita, che la biologia non è riuscita finora a riconoscere, perché dominata da una concezione basata su precisi ed economici meccanismi, guidati da "informazioni" e "regolazioni": si tratta del rapporto caso-necessità che produce dispendio ed eccezioni statistiche. I processi biologici sono dispendiosi, e la pratica umana è spesso impotente di fronte a questo dispendio.

La pratica umana, in particolare, si scontra con due oggettivi ostacoli, quando tenta di risolvere una malattia degenerativa tessutale di un organismo pluricellulare (sia un topo o un uomo), introducendo cellule sane in un tessuto o in un organismo malati: 1) o queste cellule non riescono a stare al passo con l'ambiente, restando vittime di processi dispendiosi, per i quali servono numeri più grandi di cellule, 2) o esse stesse superano il passo delle altre cellule presenti nell'ambiente, dando luogo a una proliferazione eccessiva di tipo neoplastico.


C'è poi da sottolineare la circostanza per la quale l'importanza delle cellule staminali è salita agli onori della cronaca solo dopo che l'ingegneria genetica ne è scesa. Secondo Lee M. Silver, eminente professore di biologia molecolare all'Università di Princeton, se i geni e il genoma rappresentano uno dei pilastri dei progressi della biochimica del Ventesimo secolo, il secondo pilastro è la biologia delle cellule staminali. Peccato che il primo "pilastro", dopo mezzo secolo, abbia disatteso tutte le speranze di medici e pazienti, non riuscendo in particolare a ottenere, dai vettori genici virali, nient'altro che rischi, senza mantenere nessuna promessa della ingegneria genetica. Quindi, se il primo "pilastro" è oggi molto malridotto, il secondo rischia di subire il medesimo destino.

Entrambi sono accomunati dalla medesima illusione: quella di poter inviare, rispettivamente, geni e cellule staminali in organismi concepiti come meccanismi che si autoregolano in maniera precisa ed economica. La realtà dimostra, invece, che ciò che viene introdotto può finire a casaccio ovunque, senza produrre il risultato voluto, benefico, producendo spesso il risultato non voluto, dannoso.

In relazione al secondo "pilastro" si aggiunge la circostanza per la quale l'apparente vantaggio della proliferazione continua delle cellule staminali si può rovesciare nello svantaggio della proliferazione continua e incontrollata di cellule tumorali.

In sostanza, per valutare gli studi e le sperimentazioni sulle cellule staminali, occorre sempre tenere presente: a) che nell'organismo vivente nulla avviene in maniera meccanica ed economica, secondo un progetto che determini istruzioni e regolazioni, perché tutto avviene con grande dispendio, b) che negli esperimenti sulle staminali, si maneggiano cellule le quali, proprio dalla loro capacità vitale di rigenerare tessuti e organi danneggiati, derivano la capacità esiziale di trasformarsi in cellule tumorali, la cui proliferazione è inarrestabile. È forse un caso che i tumori si sviluppino proprio in quei distretti dell'organismo nei quali le cellule staminali intervengono normalmente per rinnovare le cellule differenziate, e accentuino il loro intervento proliferativo in occasioni di danni prodotti, ad esempio, da ferite, bruciature, malattie degenerative, ecc.?

C'è, infine, da sottolineare che il continuo ricambio di cellule in tempi spesso molto brevi può solo significare un continuo e costante dispendio, che si manifesta nella morte di un gran numero di cellule durante la vita media, ad esempio, di un organismo umano. Perciò non ha senso affermare: "Fortunatamente per Prometeo il suo fegato era programmato (!) per rinnovarsi: è uno degli organi con la maggior capacità rigenerativa del corpo umano, tanto è vero che se ne può donare senza danni una porzione per un trapianto". Non ha senso, in senso stretto, perché, se il fegato è costretto a rigenerarsi oltre la norma, a causa di malattie come la cirrosi epatica o, ad esempio, per ricreare una sua porzione "donata", aumenta la possibilità di trasformazione neoplastica; e non ha senso, più in generale, perché il termine di "programmazione" illude di aver compreso ciò che ancora non si conosce e che si fa passare per un complicato meccanismo programmato.

Tanto è vero che oggi assistiamo a un deja vù: a sette anni dall'annuncio che le staminali embrionali erano state isolate, suscitando la speranza che esse potessero curare ogni sorta di malattie, Milano e Palmerini  sono costrette a scrivere: "Per ora, nessun tipo di staminale, né embrionale né adulta, si è dimostrata capace di poter curare qualsiasi malattia. E sono ancora molti i problemi da superare, sia di natura scientifica che politica. Le staminali embrionali possiedono grandi potenzialità, ma bisogna ancora capire come funzionano e come controllarle".

Ecco il punto fondamentale! Il biologo molecolare si vede costretto a controllare, ogni volta, qualcosa che "in vitro" scopre facilmente e in maniera economica, ma che "in vivo" si comporta diversamente, secondo processi dispendiosi e incomprensibili per mentalità forgiate in laboratorio e su teorie meccanicistiche, convenzionalmente, regolate da meccanismi economici. "Le difficoltà da superare per poter utilizzare le cellule staminali nella pratica clinica sono molte. Come ha detto Donald MC Kay, che le studia da anni, è difficile distinguere il "rumore di fondo" [ossia il caso] dai fenomeni veri [ossia dalla necessità]" (Ibid). In effetti non si può non rimanere frastornati se, con la mentalità suddetta, si sbatte il naso contro la larga base casuale di un dispendio incredibile. Ma, occorre anche aggiungere, gli addetti ai lavori superano facilmente il disturbo, immaginando di scoprire cose straordinarie. Il biologo, pur di mantenere le sue illusioni meccanicistiche, si fa piccolo magnificando la straordinaria complessità dei meccanismi della vita, di fronte ai quali il suo modesto cervello si sente inadeguato.

E così il pensiero umano più mediocre e ordinario ha concepito la "straordinarietà" della natura. Se, invece, fosse consapevole che i processi naturali sono incoscienti e ciechi, il biologo comprenderebbe che il suo cervello è il prodotto più elevato della evoluzione; quindi potrebbe considerarsi capace di elevarsi al di sopra della sua origine naturale. Lo spirito umano, pur nella sua breve esistenza, rimane di gran lunga al di sopra dei processi naturali di lunga durata, proprio perché ne può rappresentare la coscienza. Ma secoli di dominio teologico, negando al cervello umano la possibilità della conoscenza reale, sono riusciti a ottenebrare anche i cervelli più dotati.

Così si può arrivare persino ad esaltare la "straordinarietà" delle cellule staminali per "un 'dono' particolare che solo loro possiedono, e che le rende speciali" (Ibid). Non riuscendo a comprendere i propri risultati sperimentali, non potendo perciò esaltare la propria scienza, frutto del proprio cervello, si esalta la straordinarietà dell'incompreso oggetto d'indagine. Non comprendendo la normalità dei processi biologici, si inventano, quasi per compensazione, meccanismi straordinari che rimpiccioliscono la nostra capacità scientifica e, quel che è peggio, la portano fuori strada.

Ciò che non si è ancora compreso, e sembra tanto difficile comprendere, è che i processi naturali, tra i quali i processi biologici, sono sempre normali, e quando ci sembrano straordinari e sovrumani c'è sempre di mezzo l'inveterata abitudine a concepire la natura creata da un'intelligenza straordinaria e sovrumana. L'uomo crea i suoi prodotti che, per quanto complicati, sono per lui normali e ordinari; poi, per analogia, immagina che anche la natura sia creata a somiglianza dei prodotti umani, cioè come un meccanismo di meccanismi, però straordinario.

Se, invece, si cominciasse a pensare che la potenza dei fenomeni e dei processi naturali non ha nulla a che vedere con qualità meccaniche straordinarie, ma soltanto con quantità cieche che si manifestano con grande dispendio, il quale si rovescia nel suo opposto: in eccezioni, in qualità eccezionali (statistiche) di maggiore o minore durata, allora l'uomo potrebbe considerarsi per quel che realmente è: semplicemente un prodotto naturale relativamente stabile, eccezione dell'eccezione statistica della evoluzione, dotato eccezionalmente di un organo, il cervello, che può produrre la coscienza stessa della natura, ossia della materia in tutte le sue forme non viventi e viventi.

Con questa consapevolezza, l'uomo sarebbe capace di comprendere le sue reali capacità e il suoi reali limiti. Senza osannare altri che se stesso come prodotto più elevato del movimento della materia, egli sarebbe in grado di conoscere il mondo reale, la reale natura; sarebbe in grado di comprendere il suo ruolo nel mondo materiale; e per tutta la sua breve permanenza su questa terra potrebbe perfezionare le sue arti e i suoi mestieri, in principal modo l'arte e il mestiere di vivere al meglio delle sue possibilità.

La scienza sarebbe per l'uomo lo strumento della sua conoscenza e della sua sopravvivenza. Per quanto impressionato da fenomeni sovrumani quali il big bang, le supernove, i collassi estremi di stelle, ecc., per quanto intimorito da eventi catastrofici quali la caduta di grandi meteoriti, i vulcani attivi, i terremoti ecc., egli saprebbe calcolare statisticamente i grandi numeri dell'universo e i più modesti numeri dei rischi terreni; infine, saprebbe affrontare qualsiasi difficoltà scientifica, prima o poi, a tempo debito, senza aver bisogno di inventare creazioni, divinità ordinatrici, deus ex machina, misteri incomprensibili, straordinari meccanismi, meccanismi regolatori, ecc., consapevole di avere a che fare con processi naturali assolutamente normali.

Infine, nel concetto di normalità si può trovare sia la media che l'eccezione statistica, sia la "curva a campana" che la "legge di potenza"; si può trovare sia l'assoluto dispendio naturale sia la relativa parsimonia umana, che tra loro non vanno confusi. È in questo modo, normale, che intendiamo rendere conto delle principali questioni relative alle cellule staminali, senza nulla concedere al dibattito etico-teologico, e soprattutto senza nulla concedere al meccanicismo deterministico e riduzionistico della scienza attuale che si rifugia sempre nelle metafore prodotte attorno agli ultimi ritrovati della tecnologia umana.

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Tratto da "Chi ha frainteso Darwin?", edito nel 2009.

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