mercoledì 8 giugno 2011

III) Cellule staminali: l'ennesima millanteria

L'enorme interesse sulle staminali suscitato dalle speranze nella pratica clinica delle patologie degenerative

Uno degli aspetti più negativi che contrassegnano l'attuale società dello shopping è il prevalere delle apparenze sulla realtà e, di conseguenza, il prevalere delle promesse sul loro effettivo adempimento. Così, se l'esultanza (mediatica) accompagna sempre gli annunci, l'avverbio "purtroppo" accompagna sempre il rendiconto dei risultati. E' ciò che si può riscontrare nella ricerca sulle staminali. "Non passa settimana senza che venga riportato l'unnuncio di una nuova scoperta" (Milano e Palmerini, 2005, già citate), ma le possibilità di utilizzo nella pratica clinica,"purtroppo" richiederanno tempi lunghi senza alcuna garanzia del risultato ottimale voluto.

Riassumiamo molto sinteticamente la situazione attuale delle ricerche sperimentali sulle staminali: 1) se l'obiettivo di "rimuoverle dal loro habitat naturale, che sia l'embrione o il tessuto adulto", comincia ad essere solo parzialmente raggiunto, 2) e se l'obiettivo di "farle riprodurre in provetta" non è sempre facile (come vedremo), 3) quando si tratta "di indirizzarle a diventare il tipo di cellule desiderato", nascono difficoltà insormontabili, 4) e, quando si tratta di raggiungere la meta della pratica clinica: "trapiantarle nel tessuto o nell'organo da riparare o rigenerare", si raccolgono soltanto cocenti delusioni.


Come cerchiamo di dimostrare, fino a quando si continuerà a credere che in natura funzionano meccanismi di regolazione precisi ed economici, che gli sperimentatori devono soltanto riprodurre in maniera economica e sicura, il fallimento sarà sempre assicurato perché i processi naturali avvengono con un dispendio che gli sperimentatori non possono permettersi. E' il fallimento nella realtà di qualcosa, il meccanicismo biologico, che si illude da sempre dei propri successi teorici nella irreale, fittizia convenzione. Il passo che segue è rivelatore di questa illusione meccanicistica della biologia molecolare e cellulare: "Nell'embrione un complesso di segnali (!) chimici perfettamente orchestrati (sic!), ancora non del tutto compresi e studiati (!), compie il miracolo (sic!) di trasformare una cellula in un corpo composto di centinaia di tessuti diversi. E, nell'organismo adulto, le staminali fanno un incessante lavoro di manutenzione (!): si attivano a comando (!!) quando ricevono un certo messaggio (sic!), per esempio che la pelle è ferita e deve (!) essere riparata" (Ibid).

Fare affidamento su queste metafore meccanicistiche non è soltanto un grave errore teorico, è l'errore pratico dei ricercatori che cercano ciò che non esiste. Se "il sogno dei ricercatori è riuscire a governare questo groviglio di segnali per controllare il destino delle cellule e indurle a replicare in provetta ciò che fanno normalmente in natura" (Ibid), il loro sogno è destinato a diventare un incubo, perché in natura sono normali proprio quei processi dispendiosi che i ricercatori detestano, respingono e non vogliono vedere, perché non è in loro potere ricreare.

Ora, affinché le staminali possano essere utili alla pratica clinica, gli sperimentatori dovrebbero essere in grado di manipolarle "in modo da farle proliferare nel tipo di cellule voluto, fare in modo che sopravvivano nei pazienti una volta trapiantate e si integrino con i tessuti normali; che funzionino per tutta la durata della vita di chi ha ricevuto il trapianto senza procurare danni" (Ibid).

Questo percorso è lastricato di contraddizioni e paradossi. La prima contraddizione, attualmente insolubile, è la minaccia del cancro prodotto dalle staminali. Paradossalmente, però, questa minaccia ha rivelato una nozione utile alla conoscenza dell'origine dei tumori, della quale, prima delle sperimentazioni sulle staminali, neppure si sospettava: è la "staminalità" che dà luogo alla proliferazione inarrestabile delle cellule tumorali. Ormai è certo che a trasformarsi in cellule tumorali possono essere soltanto le cellule staminali. Tanto è vero che, per stabilire in laboratorio la pluripotenza di cellule iniettate nei topi, non si deve fare altro che attendere la loro trasformazione in cellule neoplastiche: "Se gli animali sviluppano bizzarre formazioni chiamate teratomi, significa che le cellule conservano la loro pluripotenza" (Ibid).

Poiché in questi esperimenti si utilizzano topi immunologicamente depressi, è implicita in questa sperimentazione l'idea che una depressione immunitaria possa portare le cellule staminali a produrre tumori. E così, ancora una volta, cercando una cosa, la cura con le staminali, gli scienziati ne hanno trovata un'altra, la scoperta dell'origine dei tumori. Come attesta il passo che segue, si è trattato di una scoperta reale, concreta, non della solita soluzione convenzionale:

(Nel caso del carcinoma dello stomaco) "La teoria è che l'infiammazione persistente della mucosa dello stomaco provocata dal batterio possa degenerare e scatenare mutazioni che portano al tumore. Un gruppo di studiosi della University of Massachusetts ha scoperto, facendo esperimenti su topi infettati con un batterio simile all'Helicobacter che, probabilmente per riparare il danno causato dalla infiammazione all'epitelio dello stomaco, l'organismo fa affluire cellule staminali dal midollo osseo. Sarebbero proprio queste, e non le cellule dello stomaco, alla fine, a dar vita al tumore".

In altre parole, quando un organo o un tessuto incrementa, a causa di infiammazioni, danni ecc., la proliferazione di staminali che poi si differenziano sostituendo le cellule differenziate perdute, cresce la possibilità di mutazioni tumorali di cellule pressoché immortali che proliferano continuamente. Allora, lo studio delle staminali una cosa buona al momento ha prodotto, a parte l'illusione di poter curare tutte le patologie degenerative: valutare meglio i bersagli delle terapie antitumorali: "La maggior parte delle chemioterapie a disposizione ha per bersaglio le cellule che si riproducono rapidamente. Ma le staminali sono per la maggior parte dormienti, si risvegliano solo occasionalmente per dividersi, e in questo modo probabilmente riescono a sfuggire ai farmaci. Per curare fino alla radice il cancro, come alcuni ricercatori cominciano a sottolineare, bisognerebbe trovare il modo e distruggere proprio le staminali che lo alimentano" (Ibid).

Agendo così, però, si andrebbe incontro al rischio di ridurre troppo la dotazione media di staminali nei tessuti coinvolti. Quindi siamo di fronte a un'altra contraddizione polare: l) quando si accentua nel tempo la proliferazione, scatta il rischio neoplastico, 2) quando si diminuisce il serbatoio di staminali scatta il rischio o di una insufficiente "riparazione" dei tessuti lesi, oppure di un eccesso di attività proliferativa delle scarse staminali rimaste; ciò che provoca di nuovo il rischio neoplastico. Sembra proprio il classico circolo vizioso.

Ma passiamo a considerare alcuni esempi di pratica clinica con le staminali, cominciando dal cuore. L'obiettivo di rinnovare cellule cardiache in cuori danneggiati ad esempio da infarti, utilizzando staminali, va incontro a difficoltà insormontabili che riassumono quelle che sono le tipiche difficoltà della pratica clinica con le staminali: a) innanzi tutto, staminali troppo "potenti" possono "andare oltre"; il rischio è che, come negli esperimenti sui topi, vengano prodotti noduli o teratomi; b) una volta iniettata nel cuore una staminale, non si sa dove possa andare; si vorrebbe che andasse nel punto dell'infarto, ma non si sa in quale percentuale statistica lo faccia.

Come il seguente passo conferma, la pratica clinica sul cuore è ancora in alto mare per l'"ostinazione" delle staminali a non farsi inquadrare in alcun meccanismo. "Molti anelli dei meccanismi (!) di quella complessa macchina (sic!) che è il muscolo cardiaco devono ancora trovare una puntuale verifica nella ricerca su modelli animali" (Ibid). Possiamo tranquillamente prevedere che queste verifiche meccanicistiche non saranno mai trovate.

Prendiamo un altro esempio, il Parkinson: dopo 30 anni di esperimenti con terapie cellulari su animali, nel 2001 è iniziata la sperimentazione nel cervello di 25 malati, con cellule staminali fetali. All'epoca che cosa non si sarebbe fatto per ottenere risultati positivi, considerando la situazione del grande malato, Papa Woityla! Ma "il fatto che all'inizio abbia funzionato e successivamente no, fa pensare due cose, o le staminali erano in realtà troppo poche e quindi hanno smesso di dar luogo a nuove cellule, oppure potrebbe essere che le cellule trapiantate per un pò abbiano funzionato e poi abbiano fatto la fine di quelle che sostituivano" (Ibid).

Di recente, una strada per la cura del Parkinson e dell'Alzheimer sembra essere stata aperta con la "scoperta" del gene Vax1 che controllerebbe e frenerebbe la replicazione delle staminali adulte del cervello. Si dice che, se fosse inattivato, potrebbe permettere una moltiplicazione cellulare cento volte più rapida di quella normale. In tal caso, però, si tornerebbe al rischio di una replicazione incontrollata che di solito finisce in un tumore.

Passiamo a un altro esempio di utilizzo delle staminali: far trainare determinate proteine ad uso medico da cellule staminali con la funzione di vettori. I biologi molecolari, dopo aver esaltato per decenni le mirabilia della genomica, l'hanno abbandonata a favore della proteomica. E ora hanno bisogno delle cellule staminali. Senza entrare nei particolari di questo utilizzo, è l'impostazione in se stessa, il fatto di esaltare le staminali e di voler far tutto con esse che è sbagliato.

Questo passo di Milano e Palmerini è significativo in tale senso: "L'entusiasmo degli scienziati e del pubblico per le staminali riecheggia quello di circa un decennio fa sulle potenzialità della terapia genica. Anche allora si parlava dell'inserimento di geni per correggere i difetti delle cellule come di una possibile cura per il cancro o il morbo di Parkinson. Senza che quel campo di ricerca si sia esaurito, sono già venute meno le descrizioni iperboliche delle sue potenzialità. Accadrà lo stesso alle staminali? Difficile dirlo".

Sembra' invece' facile dire che, senza ottenere le mirabilie annunciate e promesse, sono passati dalla genomica alla proteomica e alle cellule staminali, senza rendersi conto di imitare il vecchio Lisenko con il quale condividono, del resto, una passione smodata per il meccanicismo. Basta citare Vescovi ("La cura che viene da dentro", 2005): "Davanti all'elegante (?!) meccanismo (!) rigenerativo delle staminali, viene da chiedersi: perché in alcuni casi l'organismo non interviene e lascia che si instaurino patologie anche terribili?" Insomma, come può incepparsi un meccanismo tanto elegante?

Secondo Vescovi, quando l'organismo è sottoposto a un agente distruttivo (che ovviamente "nuoce", e perciò è stato chiamato "noxa"!), se la distruzione delle cellule è più rapida di quanto l'organismo riesca a rigenerare, si instaura una grave malattia, quale ad esempio la distrofia muscolare di Duchenne. Allora la questione che ha provocato il dibattito sulle staminali "con i suoi laceranti risvolti sociali, etici e religiosi è la seguente: non è possibile intervenire sulle riserve di staminali per rafforzarle o sostituirle? Insomma non si può utilizzarle per curare numerose patologie?"

Per rispondere a questa domanda, occorrerebbe conoscere realmente "in vivo" il processo di differenziazione cellulare che si origina dalle staminali. Invece, l'approccio meccanicistico, a nostro avviso, può produrre "noxa" ancora più gravi e incontrollabili. Non riconoscendo lo specifico dispendio che accompagna il processo di differenziazione cellulare, l'intervento dell'uomo può produrre più nocumento delle stesse malattie naturali.

L'autore sostiene che, a quasi quarantanni dai primi trapianti di organi "è ancora molto difficile trapiantare con successo cellule diverse da quelle del sangue e del midollo". "La logica suggerisce di derivare le staminali dallo stesso tipo di tessuto che deve ricevere il trapianto". Per poter evitare di ricorrere a donatori e quindi di andare incontro al rigetto, si deve trovare il modo, in vitro, di far moltiplicare le staminali del tessuto in questione. Ma "Nella pratica queste procedure presentano problemi tecnici difficilissimi da risolvere". Il più importante "riguarda come moltiplicare le staminali umane in provetta". A parte casi eccezionali come le staminali dell'epidermide e dello stroma osseo, "una volta fuori dell'organismo e isolate dai tessuti adulti umani, le staminali non si lasciano "convincere facilmente" a moltiplicarsi".

Insomma, "qualsiasi cellula, fuori del proprio contesto naturale, adotta un comportamento diverso (...)"". Ad esempio, con le staminali del cervello del topo si è riusciti facilmente a farle moltiplicare in coltura, a velocità impressionante, ma la stessa tecnica, applicata alle staminali del cervello umano, non ha dato risultati. Soltanto nel 1995, a Milano, l'autore e il suo gruppo sono riusciti a coltivare staminali cerebrali, però soltanto da feti umani nati morti. Così sono riusciti a ottenere materiale sufficiente, in teoria, per trapianti su decine e centinaia di migliaia di pazienti. Allora, tutto bene? Neanche per sogno! Scrive Vescovi: "Non sappiamo ancora se il trapianto funziona e in quale malattia sarà possibile applicarlo al meglio".

Insomma, se l'obiettivo della moltiplicazione delle staminali in provetta può essere in certi casi parzialmente assicurato, occorre anche aggiungere che questo è pur sempre un problema minuscolo, se paragonato al trapianto funzionale alla cura di malattie degenerative. Inoltre, trattandosi di cellule fetali, ossia provenienti da un "donatore", c'è sempre il problema del rigetto.

Volendo invece utilizzare cellule staminali adulte, qui siamo ancora al problema di farle moltiplicare in provetta: "oggi la presenza di staminali cerebrali è ampiamente dimostrata anche nell'uomo adulto, ma, purtroppo, nessuno di noi è riuscito a ottenerne la moltiplicazione in modo sufficiente anche solo per iniziare una sperimentazione clinica. Perché le staminali adulte umane sono così ostinatamente recalcitranti quando si cerca di costringerle a moltiplicarsi in vitro, mentre la loro controparte animale sembra non aver alcun problema?"

La "controparte animale", cui allude Vescovi, sono i topolini degli esperimenti. Ma i topi sono animali che si riproducono rapidamente e vivono brevemente. Queste specie di roditori in senso evolutivo possono sopportare la facilità della moltiplicazione delle staminali cerebrali e quindi un aumento relativo di tumori nel cervello, per il semplice motivo che la vita breve dei singoli animali è compensata dalla loro rapidissima riproduzione. Se le staminali umane si replicassero velocemente come quelle dei topi, la conseguenza sarebbe una frequenza statistica di tumori del cervello inaccettabile per una vita così lunga e una riproduzione così lenta come quella della specie umana. Nell'uomo una maggior durata della vita, in senso evolutivo, si deve accompagnare necessariamente a una minor frequenza di mutazioni e tumori. Una frequenza come quella dei topi porterebbe all'estinzione la specie umana.

Anche Vescovi ha preso in considerazione questi aspetti, ma, come sperimentatore interessato alle nuove scoperte, preferisce sottolineare "altre scoperte sorprendenti": "cellule staminali normali, iniettate in prossimità di un tumore cerebrale, inseguono letteralmente le cellule tumorali bloccandone la crescita anomala. Allora la staminale è insieme causa e cura del cancro?"

Questa domanda-risposta ambigua è illuminante: gli esperimenti procedono fornendo risultati empirici "sorprendenti", ossia incomprensibili alla mentalità meccanicistica degli addetti ai lavori. Così, il reale bilancio degli studi sulle staminali si riduce a ben poca cosa: "resta il fatto che costringere le staminali adulte a moltiplicarsi nelle nostre provette invece che nell'organismo, è tutt'ora un'impresa ardua, eccezion fatta per quelle dell'epidermide, delle ossa e delle cartilagini". E persino quando si riesce ad avere queste benedette staminali, replicate in provetta, non si sa che cosa farne.

Se queste sono le "coordinate", le condizioni oggettive degli studi sulle staminali, non ci resta che vedere perché si stia facendo tanto chiasso sulla contrapposizione: staminali adulte-staminali embrionali.

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Tratto da "Chi ha frainteso Darwin?", edito nel 2009.

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