"Controlli" e "regolazioni" in biologia molecolare: soltanto una scelta per disperazione
I biologi molecolari cercano i "controlli" e le "regolazioni" nei processi cellulari, non avendo altri strumenti concettuali per risolvere le contraddizioni del loro determinismo riduzionistico meccanicistico, fondato sul codice genetico. Poiché, in questo modo, si trovano in una strada senza uscita, anche i migliori tra loro non possono fare a meno di cadere in errore, persino quando intuiscono le reali contraddizioni. E' il caso di Steven Rose. Esaminando il suo libro, "La chimica della vita" del 1979, potremo renderci conto del fatto che non c'è alcuna possibilità di far progredire la biologia molecolare sulla strada del "codice genetico", i cui "paracarri" sono i "controlli e le regolazioni".
Rose, con una non comune capacità di sintesi, ci mostra il reale contenuto del concetto di "controllo" in connessione alla novità "del codice genetico". "Nel 1948, l'ingegnere e matematico americano Norbert Wiener riunì sotto il termine di "cibernetica'" teorie quali quelle del "controllo", del "feedback" (o retroazione) e del "trasferimento d'informazione". Con la maggiore conoscenza dei meccanismi delle singole reazioni enzimatiche, delle loro esigenze energetiche e dell'armonioso funzionamento dei vari enzimi all'interno delle vie metaboliche, i biochimici si impadronirono di questi nuovi concetti al fine di capire con quali sistemi la cellula controlla e regola il proprio metabolismo; per fare un esempio, come essa è in grado di decidere (sic!), in qualsiasi momento, quanto glucosio scindere in anidride carbonica e acqua e quante nuove proteine sintetizzare. E il trionfo della biochimica come analisi informazionale è stata la spettacolare scoperta di meccanismi di duplicazione di molecole giganti come il DNA e di traduzione dei messaggi codificati nel DNA in strutture proteiche: senza dubbio uno dei più importanti progressi in campo scientifico di questo secolo".
I biologi molecolari cercano i "controlli" e le "regolazioni" nei processi cellulari, non avendo altri strumenti concettuali per risolvere le contraddizioni del loro determinismo riduzionistico meccanicistico, fondato sul codice genetico. Poiché, in questo modo, si trovano in una strada senza uscita, anche i migliori tra loro non possono fare a meno di cadere in errore, persino quando intuiscono le reali contraddizioni. E' il caso di Steven Rose. Esaminando il suo libro, "La chimica della vita" del 1979, potremo renderci conto del fatto che non c'è alcuna possibilità di far progredire la biologia molecolare sulla strada del "codice genetico", i cui "paracarri" sono i "controlli e le regolazioni".
Rose, con una non comune capacità di sintesi, ci mostra il reale contenuto del concetto di "controllo" in connessione alla novità "del codice genetico". "Nel 1948, l'ingegnere e matematico americano Norbert Wiener riunì sotto il termine di "cibernetica'" teorie quali quelle del "controllo", del "feedback" (o retroazione) e del "trasferimento d'informazione". Con la maggiore conoscenza dei meccanismi delle singole reazioni enzimatiche, delle loro esigenze energetiche e dell'armonioso funzionamento dei vari enzimi all'interno delle vie metaboliche, i biochimici si impadronirono di questi nuovi concetti al fine di capire con quali sistemi la cellula controlla e regola il proprio metabolismo; per fare un esempio, come essa è in grado di decidere (sic!), in qualsiasi momento, quanto glucosio scindere in anidride carbonica e acqua e quante nuove proteine sintetizzare. E il trionfo della biochimica come analisi informazionale è stata la spettacolare scoperta di meccanismi di duplicazione di molecole giganti come il DNA e di traduzione dei messaggi codificati nel DNA in strutture proteiche: senza dubbio uno dei più importanti progressi in campo scientifico di questo secolo".
Concependo la cellula come un calcolatore, i biologi molecolare hanno potuto concepire i processi dispendiosi della vita come meccanismi economici, regolati armoniosamente. Così, mentre l'uomo cosciente, in genere, non è capace neppure di valutare la qualità e la quantità di nutrimento di cui il suo organismo ha bisogno (e neppure studiosi di dietetica sono in grado di saperlo con certezza), la cellula cieca e incosciente dovrebbe essere capace di sapere persino quanto glucosio i suoi processi interni devono scindere in anidride carbonica, ad ogni istante. Inoltre la cellula dovrebbe superare l'uomo nel campo della conoscenza deterministica-riduzionistica, perché: "ciò che può disorientare lo scienziato che analizza le cellule disorienta molto meno la cellula stessa, la cui precisione nel registrare minime variazioni all'interno di molecole con peso molecolare di milioni è paragonabile al potere analitico dei migliori calcolatori".
Rose sembra cogliere il carattere dispendioso della vita, ma, ostacolato dal suo modo di vedere deterministico, non riesce a comprenderlo. Le macromolecole, egli scrive "sono tutte sostanze estremamente improbabili: gli organismi viventi le producono in grandi quantità, mentre gli sforzi tecnici finora compiuti per sintetizzarle per via chimica hanno dato scarsi risultati". Ragionando da determinista, non si rende conto del significato delle "grandi quantità" nella produzione naturale. "E' importante -egli scrive- sottolineare che, nella cellula vivente, le macromolecole non nascono in modo casuale da semplici reazioni chimiche, ma piuttosto vengono prodotte secondo vie biosintetiche preordinate, che raggiungono una specificità di gran lunga superiore a quella realizzata da un chimico. In essa devono dunque essere presenti meccanismi (!) in grado di distinguere (sic!) sostanze fra loro molto affini, quali gli isomeri (+) e (-) degli aminoacidi o il glucosio e il galattosio fra gli zuccheri".
La realtà si presenta, però, nella inattesa "prodigalità della cellula". Negli anni venti, prima G. Hevesy, poi R. Schoenhimer hanno messo in luce -scrive Rose- "che tutti i componenti corporei sono soggetti a un flusso costante, vale a dire che vi è un ricambio continuo di lipidi, proteine, acidi nucleici, essendo le vecchie molecole ininterrottamente demolite e sostituite da molecole di nuova sintesi. Persino le molecole di tessuti considerati stabili e inerti, hanno mostrato di avere una "speranza di vita" breve: in tutto il corpo le molecole che sopravvivono più di alcuni giorni senza subire cambiamenti risultano l'eccezione non la regola".
Ciò che i biologi molecolari non vedono, perché accecati dal loro determinismo riduzionistico, è che la prodigalità della cellula fornisce quella che possiamo chiamare "sovrabbondanza statistica" che permette i risultati vitali. E' quando questa viene a mancare e si produce quella che possiamo chiamare "carenza statistica", che viene a mancare la necessità del risultato vitale. Così, nel caso dei linfociti, per citare l'esempio più lampante, è solo quando il loro numero viene a ridursi, fino a produrre una carenza statistica, che la situazione immunitaria risulta compromessa.
Rose si limita a constatare che "La scoperta di questa prodigalità della cellula nel flusso costante di molecole, che non si manifesta in una misura così massiccia neppure in alcuni tipici prodotti di massa, come le automobili e i televisori, soggetti anch'essi a un notevole logorìo, ha rivoluzionato il pensiero biochimico. E' parso evidente che una delle principali funzioni, forse la principale, della cellula vivente era il costante rifacimento di se stessa a partire dall'interno". Ma non è questa l'evidenza! Non è una funzione, è un risultato da nessuno voluto, un risultato della cieca necessità della vita, questo continuo rifacimento delle macromolecole della vita!
"Riunire parecchie centinaia di aminoacidi in un determinato punto, unirle mediante legami peptidici, avvolgere e ripiegare la molecola che ne risulta, inviarla infine alla giusta destinazione all'interno della cellula, significa compiere un lavoro". E' vero, è un lavoro, ma un lavoro naturale che non va confuso con il lavoro umano. Il lavoro della natura non è come quello dell'uomo che produce un modesto numero di televisori e li invia nei luoghi di vendita; non è il lavoro finalizzato, programmato, disciplinato di una fabbrica, dove ogni pezzo è seguito passo dopo passo, continuamente controllato: è un lavoro molto dispendioso, cieco, caotico, frenetico, nel quale la rapida moltiplicazione dei pezzi è accompagnata da una altrettanto rapida distruzione. E, in ogni momento, è solo la differenza tra produzione e demolizione (omeostasi) che garantisce la frequenza statistica vitale.
Invece l'analogia con la produzione umana fa ancora oggi commettere il vecchio errore meccanicistico di Aristotele: la cellula è presentata "come un impianto industriale organizzato". Ma chi programma questa organizzazione industriale? E chi la dirige? Rose si rende conto del problema e si domanda: "se anche un complesso relativamente così grossolano come una fabbrica necessita di una sistema direttivo, a maggior ragione non ne richiederà uno più sofisticato il sistema sensibile e delicato della cellula (doveva dire: sistema incommensurabilmente più complesso)? Non è forse questo il punto in cui le spiegazioni della vita in termini chimici e fisici non sono più sufficienti e si è costretti a invocare una proprietà al di sopra della chimica e intrinseca alla vita stessa?"
La seconda domanda è il sintomo di una perplessità, di un implicito dubbio sulla biochimica attuale, che, come vedremo, spingerà Rose a fare alcune critiche e a sperare in qualche rivoluzione teorica. Invece, con la prima domanda siamo sotto il dominio del determinismo meccanicistico. Allora chi dirige la fabbrica cellulare? La risposta di Rose è "il brutto termine di "automazione", preso a prestito dal vocabolario della cibernetica. E, infatti l'interpretazione dei meccanismi di controllo in biochimica è progredita in parallelo ai progressi compiuti nell'automazione delle fabbriche. Alla luce di questa nuova teoria, la cellula comincia ad essere considerata la fabbrica meglio automatizzata che si conosca. Ciò significa che sta diventando possibile comprendere in che modo i complessi processi di regolazione che, in passato, apparivano come lo sconcertante prodotto di una sorta di "volontà cosciente" della cellula, siano di fatto, né più né meno, la conseguenza inevitabile della combinazione di strutture fisiche e di sequenze di reazioni chimiche, opportunamente organizzate [da chi?] all'interno della cellula, e da cui derivano inesorabilmente secondo leggi che si possono formulare in maniera matematica".
L'automazione non può risolvere il problema, come non lo risolse, al tempo di Cartesio e Leibniz, l'automatismo. Inoltre, l'idea di automazione, di regolazione, presuppone l'idea della volontà cosciente che l'ha creata. Non si può domandare: chi dirige, chi regola? E poi rispondere: l'automazione. Da dove salta fuori questa automazione naturale? Così si gira intorno al problema come il cane che si morde la coda.
A un certo punto, Rose scrive una frase rivelatrice, seguita da una domanda che non può avere risposta: "Quando analizziamo le migliaia di reazioni e le centinaia di sequenze di reazioni che si svolgono all'interno delle cellule, tutte controllate da molte differenti variabili, e ci accorgiamo che parecchie di queste reazioni alterano le suddette variabili, generando acidità o alcalinità, utilizzando o producendo cofattori e inibitori, il nostro sentimento immediato potrebbe essere di disperazione. Come è possibile scegliere fra così tanti fattori quali sono significativi e quali no?"
Ecco il termine esatto: disperazione. E' la disperazione prodotta nei biologi molecolari dall'enorme complessità dei processi cellulari che ha preteso come compensazione la rassicurante visione di una cellula-fabbrica controllata e regolata. Solo che nei fatti ci si continua a mettere le mani nei capelli: o natura, perché sei così complicata?
Ma in questa concezione compensatoria dei "controlli" e delle "regolazioni" c'è anche un riflesso della nostra società sulla natura. Nel campo industriale, come nel campo delle relazioni internazionali, un'importanza spesso esagerata è attribuita allo spionaggio. Nell'epoca delle invenzioni e delle guerre tecnologiche, lo spionaggio e il controllo sociale hanno acquistato un'importanza eccezionale. Così è stato negli della "guerra fredda", della scoperta del DNA, della invenzione de computer e della cibernetica. Ora, l'immagine di una cellula-fabbrica, di una cellula-computer e la conseguente importanza dell'informatica e dell'informazione hanno riflesso non la realtà naturale, bensì la realtà artificiale dello spionaggio. La cellula è così diventata una organizzazione da spiare e la natura intera un mondo da spiare, mentre lo scienziato ha acquisito la mentalità dell'agente segreto.
Steven Rose è comunque uno che non teme una rivoluzione nella biochimica, uno che, nonostante accolga la teoria dominante, riesce a esprimere perplessità fino al punto di criticare la concezione che ha adottato nel suo libro: ossia il determinismo riduzionistico meccanicistico, che chiama "materialismo meccanicistico-molecolare", fino al punto di auspicare uno sconvolgimento "del tipo di quelli che scossero le fondamenta della fisica agli inizi del secolo, durante la transizione dalla teoria gravitazionale alla teoria einsteiniana della relatività..." Se lodevole è l'intenzione, del tutto da respingere è il modello a cui Rose si richiama, del quale evidentemente non conosceva bene il significato. Comunque, che Rose non sia affatto soddisfatto del determinismo riduzionistico meccanicistico della biologia molecolare, ma non sappia da dove cominciare per sostituirlo con un metodo migliore, lo si può capire da quest'ultimo brano, con il quale chiudiamo il paragrafo:
"Sono dell'opinione che i biologi molecolari, insistendo nel loro rigido determinismo molecolare e genetico, che vuole riportare la spiegazione di ogni fenomeno a termini molecolari, stiano incorrendo in un errore filosofico e scientifico simile a quello in cui incorse nel secolo XIX il fisico Kelvin, il quale sosteneva che la fisica sarebbe stata "completa" solo quando fosse stato possibile ridurre tutti i fenomeni ad analoghi meccanismi, a modelli a orologeria. Questo materialismo meccanicistico-molecolare, che sta alla base della crudezza del "dogma centrale" della biologia molecolare, di cui si è parlato nel capitolo X, dovrebbe lasciare il posto a una comprensione molto più ricca della necessità di interpretare il fenomeno della vita a più livelli, da quello molecolare a quello di popolazioni, senza considerare nessuno di questi livelli come statico e fondamentale. Tutte le forme di vita hanno una storia -storia biochimica, evolutiva ed ontogenetica- e compito della biochimica è quello di comprendere la vita a uno solo di questi livelli, collaborando a scoprire regole di traduzione che collegano quella disciplina, da un lato alla chimica e alla fisica, dall'altro, alla fisiologia, alla psicologia e all'ecologia".
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume terzo Biologia" (1993-2002) Inedito
Rose sembra cogliere il carattere dispendioso della vita, ma, ostacolato dal suo modo di vedere deterministico, non riesce a comprenderlo. Le macromolecole, egli scrive "sono tutte sostanze estremamente improbabili: gli organismi viventi le producono in grandi quantità, mentre gli sforzi tecnici finora compiuti per sintetizzarle per via chimica hanno dato scarsi risultati". Ragionando da determinista, non si rende conto del significato delle "grandi quantità" nella produzione naturale. "E' importante -egli scrive- sottolineare che, nella cellula vivente, le macromolecole non nascono in modo casuale da semplici reazioni chimiche, ma piuttosto vengono prodotte secondo vie biosintetiche preordinate, che raggiungono una specificità di gran lunga superiore a quella realizzata da un chimico. In essa devono dunque essere presenti meccanismi (!) in grado di distinguere (sic!) sostanze fra loro molto affini, quali gli isomeri (+) e (-) degli aminoacidi o il glucosio e il galattosio fra gli zuccheri".
La realtà si presenta, però, nella inattesa "prodigalità della cellula". Negli anni venti, prima G. Hevesy, poi R. Schoenhimer hanno messo in luce -scrive Rose- "che tutti i componenti corporei sono soggetti a un flusso costante, vale a dire che vi è un ricambio continuo di lipidi, proteine, acidi nucleici, essendo le vecchie molecole ininterrottamente demolite e sostituite da molecole di nuova sintesi. Persino le molecole di tessuti considerati stabili e inerti, hanno mostrato di avere una "speranza di vita" breve: in tutto il corpo le molecole che sopravvivono più di alcuni giorni senza subire cambiamenti risultano l'eccezione non la regola".
Ciò che i biologi molecolari non vedono, perché accecati dal loro determinismo riduzionistico, è che la prodigalità della cellula fornisce quella che possiamo chiamare "sovrabbondanza statistica" che permette i risultati vitali. E' quando questa viene a mancare e si produce quella che possiamo chiamare "carenza statistica", che viene a mancare la necessità del risultato vitale. Così, nel caso dei linfociti, per citare l'esempio più lampante, è solo quando il loro numero viene a ridursi, fino a produrre una carenza statistica, che la situazione immunitaria risulta compromessa.
Rose si limita a constatare che "La scoperta di questa prodigalità della cellula nel flusso costante di molecole, che non si manifesta in una misura così massiccia neppure in alcuni tipici prodotti di massa, come le automobili e i televisori, soggetti anch'essi a un notevole logorìo, ha rivoluzionato il pensiero biochimico. E' parso evidente che una delle principali funzioni, forse la principale, della cellula vivente era il costante rifacimento di se stessa a partire dall'interno". Ma non è questa l'evidenza! Non è una funzione, è un risultato da nessuno voluto, un risultato della cieca necessità della vita, questo continuo rifacimento delle macromolecole della vita!
"Riunire parecchie centinaia di aminoacidi in un determinato punto, unirle mediante legami peptidici, avvolgere e ripiegare la molecola che ne risulta, inviarla infine alla giusta destinazione all'interno della cellula, significa compiere un lavoro". E' vero, è un lavoro, ma un lavoro naturale che non va confuso con il lavoro umano. Il lavoro della natura non è come quello dell'uomo che produce un modesto numero di televisori e li invia nei luoghi di vendita; non è il lavoro finalizzato, programmato, disciplinato di una fabbrica, dove ogni pezzo è seguito passo dopo passo, continuamente controllato: è un lavoro molto dispendioso, cieco, caotico, frenetico, nel quale la rapida moltiplicazione dei pezzi è accompagnata da una altrettanto rapida distruzione. E, in ogni momento, è solo la differenza tra produzione e demolizione (omeostasi) che garantisce la frequenza statistica vitale.
Invece l'analogia con la produzione umana fa ancora oggi commettere il vecchio errore meccanicistico di Aristotele: la cellula è presentata "come un impianto industriale organizzato". Ma chi programma questa organizzazione industriale? E chi la dirige? Rose si rende conto del problema e si domanda: "se anche un complesso relativamente così grossolano come una fabbrica necessita di una sistema direttivo, a maggior ragione non ne richiederà uno più sofisticato il sistema sensibile e delicato della cellula (doveva dire: sistema incommensurabilmente più complesso)? Non è forse questo il punto in cui le spiegazioni della vita in termini chimici e fisici non sono più sufficienti e si è costretti a invocare una proprietà al di sopra della chimica e intrinseca alla vita stessa?"
La seconda domanda è il sintomo di una perplessità, di un implicito dubbio sulla biochimica attuale, che, come vedremo, spingerà Rose a fare alcune critiche e a sperare in qualche rivoluzione teorica. Invece, con la prima domanda siamo sotto il dominio del determinismo meccanicistico. Allora chi dirige la fabbrica cellulare? La risposta di Rose è "il brutto termine di "automazione", preso a prestito dal vocabolario della cibernetica. E, infatti l'interpretazione dei meccanismi di controllo in biochimica è progredita in parallelo ai progressi compiuti nell'automazione delle fabbriche. Alla luce di questa nuova teoria, la cellula comincia ad essere considerata la fabbrica meglio automatizzata che si conosca. Ciò significa che sta diventando possibile comprendere in che modo i complessi processi di regolazione che, in passato, apparivano come lo sconcertante prodotto di una sorta di "volontà cosciente" della cellula, siano di fatto, né più né meno, la conseguenza inevitabile della combinazione di strutture fisiche e di sequenze di reazioni chimiche, opportunamente organizzate [da chi?] all'interno della cellula, e da cui derivano inesorabilmente secondo leggi che si possono formulare in maniera matematica".
L'automazione non può risolvere il problema, come non lo risolse, al tempo di Cartesio e Leibniz, l'automatismo. Inoltre, l'idea di automazione, di regolazione, presuppone l'idea della volontà cosciente che l'ha creata. Non si può domandare: chi dirige, chi regola? E poi rispondere: l'automazione. Da dove salta fuori questa automazione naturale? Così si gira intorno al problema come il cane che si morde la coda.
A un certo punto, Rose scrive una frase rivelatrice, seguita da una domanda che non può avere risposta: "Quando analizziamo le migliaia di reazioni e le centinaia di sequenze di reazioni che si svolgono all'interno delle cellule, tutte controllate da molte differenti variabili, e ci accorgiamo che parecchie di queste reazioni alterano le suddette variabili, generando acidità o alcalinità, utilizzando o producendo cofattori e inibitori, il nostro sentimento immediato potrebbe essere di disperazione. Come è possibile scegliere fra così tanti fattori quali sono significativi e quali no?"
Ecco il termine esatto: disperazione. E' la disperazione prodotta nei biologi molecolari dall'enorme complessità dei processi cellulari che ha preteso come compensazione la rassicurante visione di una cellula-fabbrica controllata e regolata. Solo che nei fatti ci si continua a mettere le mani nei capelli: o natura, perché sei così complicata?
Ma in questa concezione compensatoria dei "controlli" e delle "regolazioni" c'è anche un riflesso della nostra società sulla natura. Nel campo industriale, come nel campo delle relazioni internazionali, un'importanza spesso esagerata è attribuita allo spionaggio. Nell'epoca delle invenzioni e delle guerre tecnologiche, lo spionaggio e il controllo sociale hanno acquistato un'importanza eccezionale. Così è stato negli della "guerra fredda", della scoperta del DNA, della invenzione de computer e della cibernetica. Ora, l'immagine di una cellula-fabbrica, di una cellula-computer e la conseguente importanza dell'informatica e dell'informazione hanno riflesso non la realtà naturale, bensì la realtà artificiale dello spionaggio. La cellula è così diventata una organizzazione da spiare e la natura intera un mondo da spiare, mentre lo scienziato ha acquisito la mentalità dell'agente segreto.
Steven Rose è comunque uno che non teme una rivoluzione nella biochimica, uno che, nonostante accolga la teoria dominante, riesce a esprimere perplessità fino al punto di criticare la concezione che ha adottato nel suo libro: ossia il determinismo riduzionistico meccanicistico, che chiama "materialismo meccanicistico-molecolare", fino al punto di auspicare uno sconvolgimento "del tipo di quelli che scossero le fondamenta della fisica agli inizi del secolo, durante la transizione dalla teoria gravitazionale alla teoria einsteiniana della relatività..." Se lodevole è l'intenzione, del tutto da respingere è il modello a cui Rose si richiama, del quale evidentemente non conosceva bene il significato. Comunque, che Rose non sia affatto soddisfatto del determinismo riduzionistico meccanicistico della biologia molecolare, ma non sappia da dove cominciare per sostituirlo con un metodo migliore, lo si può capire da quest'ultimo brano, con il quale chiudiamo il paragrafo:
"Sono dell'opinione che i biologi molecolari, insistendo nel loro rigido determinismo molecolare e genetico, che vuole riportare la spiegazione di ogni fenomeno a termini molecolari, stiano incorrendo in un errore filosofico e scientifico simile a quello in cui incorse nel secolo XIX il fisico Kelvin, il quale sosteneva che la fisica sarebbe stata "completa" solo quando fosse stato possibile ridurre tutti i fenomeni ad analoghi meccanismi, a modelli a orologeria. Questo materialismo meccanicistico-molecolare, che sta alla base della crudezza del "dogma centrale" della biologia molecolare, di cui si è parlato nel capitolo X, dovrebbe lasciare il posto a una comprensione molto più ricca della necessità di interpretare il fenomeno della vita a più livelli, da quello molecolare a quello di popolazioni, senza considerare nessuno di questi livelli come statico e fondamentale. Tutte le forme di vita hanno una storia -storia biochimica, evolutiva ed ontogenetica- e compito della biochimica è quello di comprendere la vita a uno solo di questi livelli, collaborando a scoprire regole di traduzione che collegano quella disciplina, da un lato alla chimica e alla fisica, dall'altro, alla fisiologia, alla psicologia e all'ecologia".
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume terzo Biologia" (1993-2002) Inedito