sabato 14 maggio 2011

"DNA non codificante": il mistero degli introni

Richard Dawkins ha intitolato il suo libro più famoso "L'orologiaio cieco" (1986), attribuendo questa metafora alla natura. Ora, sebbene sia scientificamente corretto affermare che i processi naturali sono ciechi in quanto ciecamente necessari, ciò significa soltanto che essi sono inconsapevoli e da nessuno voluti. Ma soltanto un soggetto cosciente può essere ignaro o consapevole di ciò che fa. La natura non è però un soggetto cosciente, quindi non può essere l'orologiaio cieco. Il biologo, invece, può esserlo. De te fabula narratur: Dawkins, senza avvedersene, ha definito, con la metafora dell'orologiaio cieco, la condizione attuale dei biologi molecolari.

Nulla testimonia la loro cecità più del modo con il quale essi hanno interpretato e tentato di risolvere il mistero degli introni. Riguardo all'interpretazione citiamo alcuni esempi: in "Guida alla biochimica" del 1980, gli autori, Yudkin e Offord, scrivono: "Esperimenti eseguiti su organismi superiori hanno rivelato alcuni interessanti fenomeni che sembrano non avvenire nei batteri. Per esempio è stato scoperto che una buona parte del DNA degli organismi superiori non codifica alcuna proteina. Ancor più importante, il DNA non codificante compare talvolta nel mezzo di un gene dove interrompe la sequenza delle basi che codificano gli aminoacidi di una determinata proteina ... Non siamo in grado di capire il significato di queste scoperte ...".

Isaac Asimov, ne "Il libro di biologia" del 1984, scriveva: "Perché gli eucarioti conservino questa massa di nucleotidi che sembrano del tutto inutili è un mistero. Forse è il modo in cui i geni si sono formati all'inizio, e nei procarioti gli introni sono stati eliminati in modo da ottenere delle catene di nucleotidi più corte, che potessero venir replicate più velocemente per favorire una crescita e una riproduzione più rapide. Negli eucarioti gli introni non sono stati eliminati, forse perché offrono qualche vantaggio che non è immediatamente visibile. Senza dubbio la risposta, quando giungerà, sarà illuminante".  

Nel 1991, in "Materia e vita", Mario Rizzotti si limita a dire: "Che cosa ci stiano a fare gli introni è tuttora oggetto di discussione. Certo non si conserva una simile complicazione senza motivo".

Abbiamo citato solo alcuni esempi che testimoniano il seguente fatto: posti di fronte alle cosiddette sequenze di DNA non codificante per le proteine, presenti nei genomi degli eucarioti, che, soprattutto negli organismi pluricellulari, sembrano costituire la maggior parte del DNA complessivo, i biologi molecolari sono stati colpiti da stupore e smarrimento: se la maggior parte del DNA è inutile dal punto di vista della informazione, dove va a finire la teoria del codice? La corsa ai ripari ha contrassegnato decenni di preoccupati dibattiti, dai quali sono emerse due opposte posizioni.

Eleanor Lawrence ha riassunto l'intera vicenda nei seguenti termini: "C'è stato un vivace dibattito sull'origine dell'organizzazione a geni discontinui; se sia antica, e sia stata quindi persa dalla maggior parte dei batteri quando hanno evoluto genomi sempre più "snelli" e energeticamente efficienti, oppure se sia sorta in un antenato degli eucarioti dopo che questo si differenziò dalla linea dei procarioti. Un'opinione corrente è che in effetti l'organizzazione sia molto antica, addirittura precedente l'apparizione del DNA, e che molti introni rappresentino frammenti intermedi delle prime e più primitive sequenze di codifica...". ("Guida alla biologia moderna" 1993)   

L'"opinione corrente" (della quale abbiamo citato due esempi: Asimov e Rizzotti) concepisce, dunque, gli introni come primordiali, nonostante essi siano sovrabbondanti negli eucarioti e quasi assenti nei virus e nei procarioti. Questa opinione, che si è imposta negli ultimi anni, immagina dunque, non si capisce in base a quale osservazione empirica e a quale coerenza logica, che i genomi primordiali fossero ancora più sovrabbondanti di DNA non codificante di quanto non lo siano i genomi eucariotici degli organismi più evoluti. Perciò, secondo questa opinione, l'evoluzione si sarebbe caratterizzata nella forma della eliminazione o riduzione degli introni: eliminazione nei virus e nei batteri, riduzione negli eucarioti. Insomma, quanto più si va in alto nella scala evolutiva e tanto più troviamo DNA non codificante, ossia qualcosa che si ipotizza sorto primordialmente e ridotto di dimensioni durante l'evoluzione!  

La seconda teoria esclude che gli introni siano sorti ai primordi della vita, ma non è conseguente perché esclude che siano sorti con la cellula eucariotica. Non si capisce il motivo per cui debbano essere sorti soltanto dopo. L'unica spiegazione plausibile è che i sostenitori di questa teoria abbiano temuto la conseguenza logica della contemporaneità dei due eventi: la contraddizione con la "teoria del codice". Infatti, poichè la cellula eucariotica è il prodotto più progressivo della evoluzione biologica, il suo genoma o "codice" dovrebbe essere più evoluto di quello dei procarioti. Ma come potrebbe un "codice" evolvere aumentando la quantità di "messaggi senza senso"? In sostanza, come conciliare la crescita degli introni, che rendono insensata la maggior parte del "codice", con l'evoluzione della cellula eucariotica il cui "codice" dovrebbe essere il più evoluto?

Insomma, per salvare "la teoria del codice" da questa contraddizione, persino i sostenitori degli introni tardivi non sono stati conseguenti, e la maggior parte dei biologi molecolari sono stati costretti ad accreditare la teoria degli introni precoci, accettandone tutte le assurde conseguenze. Ma per salvare la teoria del codice, essi sono diventati del tutto ciechi, e ciecamente hanno immaginato processi molecolari previdenti, economici e razionali. Così facendo, sono però caduti in un'altra contraddizione: immaginando di risolvere l'intera faccenda in termini di meccanismi economici e previdenti, in realtà essi hanno tolto il velo al dispendio dei processi biomolecolari.

La faccenda si presenta nei seguenti termini: i geni sono stati concepiti come discontinui, ossia composti di esoni che contengono le informazioni e di introni che sono senza senso e che si interpongono tra gli esoni. Ora, come può l'informazione complessiva passare dal DNA del nucleo all'RNA del citoplasma per la codificazione delle proteine? la risposta a questa domanda è stata trovata nel meccanismo dell'RNA splicing, secondo il quale, dopo che l'intero gene (esoni più introni) è stato trascritto in una lunga molecola di hnRNA, chiamata precursore, gli introni vengono tagliati via l'uno dopo l'altro in maniera precisa, così che gli esoni uniti l'uno all'altro formano l'mRNA funzionale che passa al citoplasma. Risultato: una piccola frazione dell'RNA precursore, trascritto dal DNA nel nucleo, raggiunge il citoplasma per codifica delle proteine.

Comunque si voglia intepretare l'azione dell'RNA splicing, l'unica cosa che risulta evidente è il dispendio. E così, il meccanismo di "regolazione" che, nelle intenzioni dei biologi molecolari, avrebbe dovuto salvare il codice, in realtà lo affossa, perché, se la maggior parte dei trascritti di mRNA vengono tagliati via, e solo una minima parte raggiunge il citoplasma, lo spreco è di per sé evidente: è come se un sarto, per produrre un abito, che in genere richiede tre metri di stoffa con poco spreco, fosse costretto a usarne trecento!

Questo dispendio può essere compreso solo assumendo come ipotesi che il cosiddetto RNA splicing sia un processo ciecamente necessario, fondato sul movimento casuale di singoli enzimi, che determina basse frequenze statistiche. Ma per comprendere la cieca necessità genetica, occorre modificare il nostro punto di vista attorno ai cosidetti esoni e introni. (E ciò che vedremo nel prossimo post)

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume terzo Biologia" (1993-2002) Inedito

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