mercoledì 2 febbraio 2011

Realtà, realismo e realismo ingenuo III

Nella crisi dell'irrealismo scientifico, che respinge il realismo ingenuo, un'unica certezza: i tempi lunghi della conoscenza umana

Quasi quarant'anni dopo il Dizionario di Abbagnano, Pietro Greco pubblica il suo Dizionario, dove, sotto la voce "Realtà", si domanda tra il serio e il faceto: "Ma i quark esistono davvero? E la Luna se ne sta lì nella sua orbita intorno alla Terra, anche se non la guardo?" E risponde: "No, non fatevi tentare da queste facili risposte dettate dal senso comune. Passereste per ingenui. Anzi, come dicono i filosofi, per realisti ingenui".

Questo prudente sfottò nei confronti dei filosofi della scienza non riesce a mascherare un pessimismo di fondo che si rivela nel saluto che Greco rivolge ai "benvenuti tra i realisti (non più ingenui)", avvertendoli: "Non avete possibilità alcuna di contrastare la critica più radicale al principio della realtà, quella del solipsista", perché la sua logica: esisto solo io e tutto il resto è costruzione della mia immaginazione, "è dotata di un'intima coerenza interna. E non può essere confutata per via dimostrativa".

Ma se sulla fisionomia del "realismo ingenuo" sono tutti d'accordo, quando si tratta di identificare la "realtà", le cose si complicano: "Attenzione" -avverte Greco- "questo principio di realtà va ben identificato". "Non possiamo pensare che la realtà trascenda il soggetto che tenta di conoscerla e le sue percezioni". "La fiducia ingenua nella percezione porta molto presto lontano dal realismo".

Rimane, comunque, paradossale il fatto che, mentre si dà per scontata la definizione assoluta di "realismo ingenuo", non si sappia praticamente nulla della realtà stessa. Allora sorge il sospetto, anzi la certezza, che non si voglia ammettere un realismo che rifletta la realtà: così, disprezzando come ingenuo il realismo, non si fa altro che favorire il fisico teorico, il quale persegue una conoscenza convenzionale e fittizia, non potendo fare altro con i soli strumenti della matematica pura.

Abbiamo più volte sostenuto che tutto è iniziato dal "caso Galileo" e dalla successiva, tacita accettazione del "suggerimento" di Bellarmino  (e Osiander) da parte della comunità scientifica moderna. Occorre, però, aggiungere una nuova riflessione che forse renderà giustizia a tutti, ridimensionando le responsabilità personali -dipendendo l'intera faccenda da qualcosa di molto più profondo e indipendente dall'uomo, che nessun potere umano poteva, può e potrà mai modificare. Si tratta di questo: mentre non è difficile per ogni generazione riconoscere l'esistenza della oggettiva realtà naturale, questa è così complessa da non poter essere conosciuta completamente nell'ambito di una sola generazione. Ma l'accettazione di questo limite invalicabile non è tollerabile per la presunzione umana, per la sua pretesa di dominare la natura. Così, per poter coltivare questa illusione, ogni generazione ha abbassato la natura, riducendola a dimensione umana.

C'è mai stata un'epoca storica nella quale gli studiosi non abbiano preteso (e anche creduto) di poter raggiungere il massimo della conoscenza possibile o di essere sul punto di arrivarci? Da questo punto di vista il Novecento ha superato i secoli precedenti, galvanizzato dai propri grandiosi progressi tecnologici. Eppure, se solo immaginiamo, come ha fatto Schrodinger, di attribuire alla specie umana altri due milioni di anni d'esistenza (che a qualcuno paiono persino pochi!), è poi così difficile comprendere che in un tempo così lungo per la nostra specie quasi infiniti saranno i futuri progressi scientifici? Solo a uomini meschini, corrotti dal potere trainante del contingente Nobel, poteva venire in mente di aspirare alla teoria finale, alla teoria del tutto: una teoria da ammirare in eterno per le numerose generazioni del futuro (alle quali, vien detto oggi, stiamo lasciando poche risorse persino per sopravvivere!).

Allora, qual è l'attuale paradosso? Che, respingendo la realtà e il realismo, l'attuale conformismo scientifico pretende mettersi al riparo dalla delusione che l'enorme vastitità della realtà naturale (da conoscere) produce all'attuale generazione. Accettare l'esistenza di una realtà al di fuori dell'uomo, costringerebbe ad ammettere che la scienza non può essere un semplice spasso, una questione di bellezza teorica, ma un duro lavoro che richiede i tempi lunghi della conoscenza umana.

Qui ci preme sottolineare che la conoscenza (prerogativa della specie umana) ha come oggetto l'intera natura o materia in movimento. Allora, l'illusione del Novecento di poter accorciare i tempi lunghi della conoscenza umana, grazie alla scorciatoia del convenzionalismo fittizio fondato sulla matematica pura applicata alla fisica, doveva portare alla situazione attuale, che appare sempre più una strada senza uscita. L'utile finzione non ha reso un utile servigio alla scienza. Perciò occorre cambiare strada, riprendendo quella del realismo accorto che richiede i tempi lunghi della conoscenza.

E questo viene detto non certo per la scienza sperimentale e tecnologica, che ha prodotto il grandioso apparato dell'LHC, capace di funzionare, ma per la scienza teorica, la matematica fisica, che non sa offrire a questo apparato nulla di reale da confermare o smentire.

--------

Scritto nel 2011

Post scriptum luglio 2013. La pretesa scoperta del bosone di Higgs non merita alcuna considerazione, come non la meritano le altre teorie del momento che rappresentanto soltanto il fallimento della "teoria". E non si comprende la ragione per la quale "Le Scienze", per bocca di Elena Castellani, continui a filosofeggiare sulla nascita di una teoria, prendendo come esempio, persino, la teoria delle fantomatiche stringhe!

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...