mercoledì 23 febbraio 2011

Gravità quantistica: soltanto un ossimoro

"Ogni successo della fisica crea nuovi problemi ed enigmi a un livello più profondo. L'enigma più oscuro è la gravità", afferma Einz Pagels in "Universo simmetrico" (1988). Si tratta del problema, ormai quasi secolare, della inconciliabilità tra le due principali teorie della fisica del Novecento: la meccanica quantistica e la relatività generale. La teoria quantistica dei campi è uscita fuori da una simbiosi tra la teoria quantistica e la teoria della relatività solo ristretta. "Ma una teoria che includa la gravità deve unire la teoria quantistica e la relatività generale".

Già questa affermazione di Pagels conferma che la teoria della relatività generale da sola non poteva risolvere il mistero della gravitazione, avendolo semplicemente "geometrizzato", "mummificato" e "fasciato" con le geodetiche. Ma, ancora più importante è il fatto che non potrà risolverlo neppure con l'aiuto della meccanica quantistica. A nostro parere, relatività generale e meccanica quantistica non possono fondersi perché hanno come rispettivi oggetti di studio due opposti polari: il primo la gravità, ossia l'attrazione; il secondo l'energia attiva, ossia la repulsione.

I fisici delle particelle non hanno saputo comprendere l'opposizione polare repulsione-attrazione, avendola dissolta nel convenzionale concetto di forza o interazione. Così non hanno compreso che la fisica di Einstein e la fisica di Bohr stanno tra loro come l'attrazione sta alla repulsione, ossia come i due poli di una opposizione dialettica, astraendo dal fatto che esse non siano riuscite a riflettere la realtà del proprio, rispettivo, oggetto di studio.

Com'è noto a tutti, "I fisici hanno individuato nella natura quattro interazioni fondamentali -scrive Pagels-. L'interazione nucleare forte, l'interazione debole, che causa il decadimento dei nuclei atomici e delle particelle quantistiche, l'interazione elettromagnetica e la gravità. Il modello standard descrive tre di queste quattro forze: quella forte, quella debole, quella elettromagnetica e quella gravitazionale".

Ma che cosa sono queste quattro forze? Che cosa rappresentano realmente? Realmente parlando, la cosiddetta forza gravitazionale altro non è che la manifestazione della capacità attrattiva di un grave, che definiamo in maniera sufficientemente corretta energia potenziale gravitazionale, la quale si rovescia nella energia cinetica dei corpi attratti. Ogni corpo esprime realmente un'attrazione proporzionale alla sua massa, perciò nell'universo è tutta una reciproca attrazione gravitazionale (che dipende fisicamente dalle distanze oltre che dalle masse).

Riguardo alle altre tre forze, che sono oggetto del modello standard, si può dire in breve che la forza debole è realmente l'opposto di attrazione: è un eccesso di repulsione che fa decadere il neutrone in protone. La forza elettromagnetica è in realtà una polarità attrazione-repulsione, a seconda che le cariche tra le particelle siano opposte o uguali. Infine, la cosiddetta forza forte è in realtà l'equivalente del "difetto di massa", ossia la grande quantità di energia repulsiva perduta che fa da "collante" tra le particelle combinate nei protoni e nei neutroni. In parole povere, quanto maggiore è il difetto di massa, tanto maggiore è l'attrazione, e viceversa. Ad esempio i protoni liberi si respingono, ma dentro un nucleo è grazie alla diminuzione di energia repulsiva che essi non si respingono fino a liberarsi, e perciò rimangono reclusi. A maggior ragione per i quark: la perdita di energia originaria è stata tanto grande da assicurare lunga esistenza ai protoni. Allora, se trascuriamo tutte queste differenze, che derivano dalla polarità repulsione-attrazione, certamente si fa un favore ai matematici che possono così semplificarsi  l'esistenza, ma si fa un grave torto alla conoscenza della realtà.

La confusione tra repulsione e attrazione è alla base anche della cosiddetta forza elettrica nella teoria QED. Ad esempio, Susskind ("Il paesaggio cosmico" 2006), dopo la seguente definizione convenzionale: "La forza elettrica tra due elettroni, ad esempio, deriva da un diagramma di Feynman in cui uno degli elettroni emette un fotone, il quale viene in seguito assorbito dall'altro", dice che nel diagramma corrispondente si dà questa interpretazione: "Lo scambio di un fotone dà luogo alla forza di repulsione tra due elettroni". Qui l'errore è evidente: chiamare forza la repulsione! Insomma, i fisici contemporanei, non distinguendo la repulsione dall'attrazione, non sanno più comprenderne la differenza intrinseca: eppure è pur sempre la vecchia, ben nota, differenza che passa tra l'energia potenziale gravitazionale e l'energia cinetica.

Secondo Susskind, la forza gravitazionale è trascurabile per gli elettroni in un atomo e per i quark in un protone, ma comincerebbe a farsi sentire al diminuire della distanza tra le particelle: "Tutte le forze aumentano d'intensità al diminuire della distanza, ma quella gravitazionale cresce molto più rapidamente delle altre. In effetti, quando la separazione tra le particelle raggiunge la distanza di Planck, la forza di gravità è ormai di gran lunga più intensa delle forze elettriche e anche delle forze che tengono insieme i quark. Se il paradigma delle scatole cinesi (cose fatte di cose sempre più piccole) resterà dominante, le particelle elementari potrebbero rivelarsi costituite da oggetti ancor più piccoli, tenuti insieme -qualunque cosa questo significhi- dalla gravità".

Che dire di quest'altro equivoco, delle cose fatte da cose sempre più piccole? Queste cose più piccole, come ad esempio i quark, hanno in realtà originariamente una massa molto più grande dei protoni; ma poi è la stessa fisica quantistica che arriva a concepire il piccolo, inteso nel senso della durata e della dimensione, come una enorme quantità di energia! Tanto che la piccola dimensione spaziale e la piccola durata temporale sono, per la meccanica quantistica, praticamente sinonimo di elevata energia!

Ecco, dunque, a quali conseguenze erronee può portare la confusione tra repulsione e attrazione. Susskind, ad esempio, sembra proprio del tutto ignaro del fatto che al diminuire delle distanze ciò che aumenta è l'energia repulsiva a scapito dell'attrazione, tanto è vero che quanto più ci si avvicina alla distanza di Planck tanto più la repulsione cresce, fino a non permettere più alcuna attrazione gravitazionale tra le particelle (se non per attimi infinitesimali).

Come abbiamo più volte sostenuto nel volume dedicato alla fisica, negli attimi successivi al big bang prevale la repulsione; poi, con i successivi decadimenti delle particelle, sorge l'attrazione tra di esse come conseguenza del forte ridimensionamento della repulsione. Ciò che le particelle perdono, come energia repulsiva, si rovescia in commisurata, reciproca attrazione "legata" (ad esempio, i quark nei protoni, i protoni nei nuclei, ecc.). La cosiddetta "forza di legame" è in definitiva il "difetto di massa". E ancora, quando la materia si massifica fino a dar luogo ai gravi, anch'essi, come conseguenza di perdita di energia attiva, eserciteranno un'attrazione che prende il nome di gravitazione.

Dunque, la gravità è un concetto usato per i gravi, e se anche lo vogliamo usare per le particelle, occorre ricordare che essa è l'opposto polare della repulsione, della energia attiva (di qualunque genere essa sia). In definitiva, non rendersi conto che a distanze sempre più piccole prevale un'energia repulsiva sempre più grande, a scapito della "forza" attrattiva (tanto è vero che le piccolissime distanze sono raggiungibili solo quando cresce enormemente l'energia, la repulsione: basta vedere quel che succede nel Large Hadron Collider), significa non aver capito niente, significa compiere un errore macroscopico, la cui conseguenza si manifesta, oggi, nell'inutile ostinazione sull'ossimoro "gravità quantistica".

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