domenica 4 novembre 2018

Il liberalismo antidemocratico di Constant

Per approfondire i princìpi del liberalismo classico, prendiamo in considerazione i "Princìpi di Politica" di B. Constant, il quale respinge l'idea di Hobbes, Machiavelli, ecc. che il potere sia fondato soltanto sulla forza, distinguendo la forza, come potere illegittimo, dalla volontà generale, come potere legittimo. Quindi partendo dal princìpio costituzionale moderno afferma: "La nostra attuale Costituzione riconosce formalmente il principio della sovranità popolare, cioè la supremazia della volontà generale su ogni volontà particolare. Questo principio, di fatto, non può essere contestato".

Ma può essere criticato oppure aggiustato. Può essere criticato osservando che esso rappresenta una restrizione rispetto al principio universale dell'interesse del genere umano, ammesso persino da Kant; ma può anche essere aggiustato, ossia ridotto  da una ulteriore restrizione, come fa lo stesso Constant quando, partendo dall'affermazione che "La legge deve essere espressione della volontà di tutti o della volontà di alcuni", stabilisce che "Se si suppone che il potere del piccolo numero è sanzionato dal consenso di tutti, questo potere diviene allora la volontà generale".

Il principio della "sovranità popolare", ossia della "volontà generale", rappresenta ora la necessità collettiva non più come volontà generale della specie umana, ma come volontà particolare di un popolo appartenente a una nazione fra tante; e, a sua volta, questa volontà generale di un singolo popolo può essere ridotta alla "volontà particolare" di un piccolo numero di individui, sanzionata "dal consenso di tutti".

D'altra parte, dopo aver stabilito che: "In una società fondata sulla sovranità popolare è certo che nessun individuo, nessuna classe può sottomettere gli altri alla sua volontà particolare", Constant pone un limite alla sovranità popolare, dichiarando che "è falso che la società intera possieda sui suoi membri una sovranità senza limiti". In questo modo il primato della comunità sull'individuo non è più assoluto, ma limitato e relativo.

Riassumendo la propria concezione, Constant scrive: "L'universalità dei cittadini è il sovrano nel senso che nessun individuo, nessuna frazione, nessuna associazione partigiana può arrogarsi la sovranità se non è stato delegato". E questa è già una prima limitazione, perché si ammette che individui singoli, singole frazioni e associazioni partigiane possano vedersi attribuire la sovranità mediante una delega.

Constant continua: "Ma non ne deriva che l'universalità dei cittadini, o coloro che da questa sono investiti della sovranità, possano disporre in maniera sovrana dell'esistenza degli individui. V'è, al contrario, una parte dell'esistenza umana che resta necessariamente individuale e indipendente e che è di diritto fuori da ogni competenza sociale. La sovranità non esiste che in maniera limitata e relativa. La dove incomincia l'indipendenza e l'esistenza individuale, si arresta la giurisdizione di questa sovranità". Questa seconda limitazione ammette l'esistenza di una indipendenza individuale che limita la sovranità della comunità politica dei cittadini. In questo modo sorge una contraddizione, prima inesistente, tra la necessità della comunità politica e la casualità dei singoli individui, che motiverà la lotta tra le pretese dell'una e degli altri.

Partendo da questa concezione, che contrappone la pretesa libertà individuale alla pretesa sovranità collettiva, Constant critica Rousseau che, nel "Contratto sociale", aveva definito il contratto tra la società e i suoi membri "come la completa alienazione di ogni individuo con tutti i suoi diritti e senza riserve alla comunità". Di Hobbes critica, invece, l'assolutismo dispotico: "L'uomo che più finemente ha ridotto a sistema il dispotismo, Hobbes, si è affrettato a riconoscere la sovranità come illimitata per dedurre la legittimità del governo assoluto di uno solo. La sovranità -egli dice- è assoluta...".

Per Hobbes, scrive Constant: "La democrazia è una sovranità assoluta nelle mani di tutti; l'aristocrazia è una sovranità assoluta nelle mani di alcuni, la monarchia una sovranità assoluta nelle mani di uno solo. Il popolo ha potuto spossessarsi di questa sovranità assoluta a favore di un monarca che ne è divenuto allora possessore legittimo". A ben guardare, però, anche nella concezione di Constant il popolo può "spossessarsi" della sovranità quando la delega a un monarca o a un parlamento. La differenza tra Constant e Hobbes è solo sui termini di "relativo" e "assoluto".

In precedenza siamo giunti alla conclusione che l'assolutismo deterministico di Hobbes annullava ogni contraddizione tra individuo e comunità, perché il primato della comunità era incontrastato e assolutamente necessario. Ora possiamo giungere a un'altra conclusione riguardo a Constant, e cioè che egli introduce una contraddizione tra individuo e comunità, perché la comunità perde il suo primato, non essendo questo assolutamente necessario, ma solo relativo. Ora individuo e comunità possiedono un primato relativo o un mezzo primato a testa: due metà tra loro in contraddizione.

Constant rileva che Hobbes ha fatto derivare tre necessarie forme di coercizione: il diritto di punire, di fare guerra, di essere il legislatore assoluto. E conclude: "Nulla di più falso di queste conclusioni. Il sovrano ha diritto di punire, ma soltanto le azioni colpevoli; ha il diritto di fare guerra, ma solo quando la società è aggredita; ha il diritto di fare le leggi, ma solo quando queste leggi sono necessarie e quando sono conformi alla giustizia. Non v'è nulla di assoluto, nulla di arbitrario in queste attribuzioni".

A questo punto, egli indica la sfera dei diritti individuali, indipendenti da ogni autorità, la cui violazione può essere considerata illegittima: "I diritti dei cittadini sono la libertà individuale, la libertà di religione, la libertà di opinione, che comprende la libertà di manifestarla, il godimento della proprietà, la garanzia contro ogni arbitrio. Nessuna autorità può attentare a questi diritti senza lacerare il suo titolo". Così stabilisce la sfera d'azione o sfera delle legittime libertà degli individui e la sfera d'azione o sfera dei legittimi diritti della sovranità. Ma, mentre, riguardo alle libertà individuali fornisce una definizione positiva senza entrare nel merito del possibile arbitrio individuale, riguardo ai diritti sovrani, fornisce una definizione negativa negando che si tratti di diritti assoluti e ponendo delle condizioni.

E qui sorge un problema: chi può stabilire quando e in che misura  l'autorità sovrana oltrepassa le condizioni legittime, ad esempio, di fare guerra solo quando la società è aggredita? Quando e in che misura l'autorità sovrana attenta ai diritti individuali? Non è un caso che Constant sia costretto a prendere in considerazione la seguente obiezione: "contro la limitazione della sovranità: è possibile limitarla? C'è una forza che possa impedire di violare i confini stabilitit? Si dirà che, mediante ingegnose combinazioni, si può restringere il potere dividendolo. Si possono contrapporre ed equilibrare le sue differenti parti. Ma come si otterrà che la somma totale non sia illimitata? Come limitare il potere se non con il potere?"

Insomma, come può una sovranità essere limitata se non da una sovranità superiore? Constant pensa di cavarsela facilmente attribuendo alla "forza" dell'opinione la capacità di limitare la sovranità; ma aggiunge anche la distribuzione e la bilancia dei poteri. In ogni caso, la necessità della "forza" dell'opinione e della distribuzione e bilancia dei poteri prova che la limitazione della sovranità necessita di forme di contrasto e di lotta esterne e interne alla sovranità stessa. Insomma, il liberalismo rappresenta una concezione in opposizione al potere sovrano, considerato in senso negativo come qualcosa da limitare, frenare e, infine, utilizzare ai fini di una particolare forma di individualismo: l'individualismo borghese.

Riguardo all'individualismo in genere, occorre di nuovo sottolineare il fatto che Constant, nella definizione delle libertà individuali, non ponga alcuna condizione e non si ponga neppure la domanda: se queste libertà individuali debbano essere illimitate o presentino, invece, dei limiti, superati i quali esse diventino illegittime. Riguardo, invece, alla nostra netta affermazione che il liberalismo concepisce soltanto l'individualismo borghese, possiamo fornire subito una conferma, prendendo in considerazione Constant quando tratta le "condizioni di proprietà". Qui, immediatamente, viene chiarito che la pretesa sovranità di tutti si riduce alla reale sovranità di pochi: i proprietari. All'appello manca, infatti, la "classe laboriosa" che rappresenta la maggioranza della popolazione. Nonostante si inchini di fronte al patriottismo e ai sacrifici resi in guerra da questa classe, Constant non le concede alcuna possibilità di esprimere una volontà, appellandosi alla distinzione aristotelica tra cittadini attivi e cittadini passivi.

Infatti scrive: "Coloro che l'indigenza mantiene in un'estrema dipendenza e condanna ai lavori giornalieri non sono né più illuminati dei fanciulli in merito agli affari pubblici, né più interessati degli stranieri a una prosperità nazionale di cui non conoscono gli elementi e di cui godono i vantaggi solo indirettamente". Quindi, aggiunge, la principale condizione per essere cittadini dello Stato "è il tempo indispensabile all'acquisizione della cultura e di un retto giudizio. Soltanto la proprietà rende gli uomini capaci di esercitare i diritti politici". La proprietà privata rende dunque gli uomini "liberi"!

Ora, se si esclude in questo modo dalla "volontà generale" la classe dei lavoratori dipendenti, la classe dei non proprietari, essa non sarà più nè la volontà di tutti né la volontà della maggioranza del popolo, ma solo la volontà di una minoranza: la volontà della classe dei proprietari, della borghesia appunto. E ancora, se la maggioranza degli individui non possiede diritti politici, non possiede neppure il diritto alle libertà individuali, quelle libertà che devono essere difese contro l'arbitrio dell'autorità sovrana. Quindi Constant un limite alla libertà individuale lo pone: questo limite è la mancanza assoluta di libertà per la maggioranza del popolo.

Ma se non si riconosce questo diritto alla maggioranza del popolo, questa è implicitamente assoggettata a una autorità sovrana assoluta. L'assolutismo, abolito per la borghesia, è di fatto mantenuto per la maggioranza della popolazione. In conclusione, la libertà pretesa da Constant è inesistente per il proletariato ed è senza limiti per la borghesia. Ne deriva, come conseguenza assolutamente inevitabile, che la libertà dell'individuo borghese non può essere limitata da chi non ha diritto alla libertà, e quindi è illimitata nei confronti dei suoi lavoratori dipendenti. Ad hoc!

Quanto il popolo vero e proprio, il popolo dei lavoratori dipendenti, sia escluso da ogni diritto, lo si può appurare anche riguardo alla "libertà religiosa". Constant critica ogni forma di intolleranza civile e religiosa, perciò ammette una libertà completa per tutti i culti e anche per l'ateismo. Però distingue: partendo dalla seguente, "ammirevole" osservazione: "La religione è nella sua essenza la compagna fedele, l'ingegnosa e infaticabile amica dell'"infelice"", trae la seguente conseguenza: "Non avrei cattiva opinione di un uomo colto se mi venisse presentato come estraneo al sentimento religioso; ma un popolo incapace di questo sentimento mi sembrerebbe privo di una facoltà preziosa e diseredato dalla natura". Insomma, al popolo ignorante, cui si concede soltanto l'istinto "dei fanciulli e di tutte le classi dipendenti", non è concesso di sottrarsi ai dogmi religiosi, così come non è concesso di sottrarsi alla sovranità assoluta dello Stato e alla libertà illimitata della classe che lo sfrutta.

Nelle sue ultime considerazioni, in verità parecchio pessimistiche sulla garanzia delle libertà individuali continuamente attentate da ogni forma di arbitrio, Constant ricorda "d'aver reclamato per vent'anni la libertà del pensiero, la garanzia della proprietà, l'abolizione di ogni arbitrio". Ma avrebbe dovuto precisare che la sua teoria ammetteva la libertà di pensiero solo per chi può pensare, la garanzia della proprietà solo per chi può averla e, infine, l'abolizione di ogni arbitrio solo per chi è pensatore e proprietario. Dulcis in fundo, che nessuno è libero di pensare se non è proprietario.

In conclusione, la libertà teorizzata da Constant è la libertà pretesa da una borghesia che ha appena abbattuto il potere feudale,  è la libertà dei proprietari di poter fare liberamente i propri affari senza l'ostacolo della sovranità dello Stato Assoluto, è, infine, la libertà dei proprietari di poter sfruttare la forza lavoro senza l'ostacolo dei diritti degli individui lavoratori.

Tratto da "La dialettica Caso-necessità nella Storia" Volume 4° (2003-2004)

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