lunedì 5 novembre 2018

Commemorazione personale del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale

Sarei restio a parlarne, ma gli aspetti personali che mi spingono a farlo sono almeno due. Uno è famigliare: il fratello maggiore di mia madre si chiamava Ettore Viola che quella guerra ha combattuto guidato dalla fortuna e dall'eroismo. Come Ardito si è meritato l'unica medaglia d'oro concessa alla fanteria italiana. Inoltre, compare, come personaggio, nel romanzo autobiografico di Emingwey sulla Grande Guerra, durante la quale  passò il suo tempo tra scontri, assalti di trincee alla baionetta, ricoveri ospedalieri per le ferite ricevute. Infine, non si fece mancare neppure l'influenza spagnola, dalla quale guarì dopo una ubriacatura di champagne, portato al suo capezzale da amici commilitoni.

Ma se ne parlo è anche per un altro motivo meno eroico, però senz'altro più congeniale ai miei studi: la prima guerra mondiale mi fornì, infatti, un esempio statistico molto concreto per "visualizzare", nel lontano 1985, la mia intuizione sulla dialettica caso-necessità.

Di mio zio potrei raccontare molti aneddoti. Mi limiterò al seguente che mi riguarda da vicino. Quando la mia bella e giovane moglie partorì il nostro primogenito a Roma, mia madre prese il treno da Massa Carrara e andò a trovarla in clinica accompagnata dall'eroico fratello maggiore, ormai settantenne. Stuzzicato sul mio conto, riguardo al tempo perduto nei miei studi personali, rispose: "di Piero puoi dire quello che vuoi, ma lui un figlio è stato capace di farlo".

Insomma, con tutte le donne che l'eroico zio ha avuto nella sua lunga carriera di eroe di guerra e di seduttore, nessuna gli ha dato un figlio, neppure, in seguito, la moglie. Non sapeva che si trattava di una conseguenza dell'influenza spagnola: dalla quale era uscito salvandosi la vita, ma incapace di generarla.

Brevemente concluderò sottolineando che la prima guerra mondiale mi ha ricordato il complimento ricevuto dall'eroico zio (di complimenti da parte dei miei parenti ne ho ricevuti molto pochi, sempre per quella mia mania di studiare, invece di fare affari), ma soprattutto mi ha ricordato il colpo di genio personale che mi portò a concludere nel lontano 1985: riguardo ai singoli, è il caso che predomina, ma, riguardo ai complessi, è la cieca necessità che s'impone. Se il caso ha permesso la sopravvivenza del singolo, eroico capitano degli arditi, è la cieca necessità che si è impadronita di decine di milioni di morti prodotti da mitragliatrici, cannoni, aeroplani, carri armati, gas, bombe a mano, baionette e persino da ... un'influenza.

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